Perovskite, dalla Corea nuove celle FV più efficienti e stabili

Un team di scienziati sudcoreani ha sviluppato un materiale che si degrada molto più lentamente e che raggiunge un’efficienza del 22% circa, grazie anche a un metodo di fabbricazione innovativo e a bassa temperatura. Restano però molti dubbi sui tempi di una eventuale commercializzazione.

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Nuovo record di efficienza, maggiore durata e stabilità dei materiali: per la ricerca scientifica nel campo della perovskite è tempo di annunciare un’altra scoperta – l’ennesima in pochi mesi – che promette di accelerare la commercializzazione delle celle solari del futuro.

Protagonista dei test di laboratorio è il politecnico sudcoreano Ulsan National Institute of Science and Technology (UNIST), che ha presentato il lavoro del team guidato dal prof. Sang-Il Seok, in collaborazione con i ricercatori del Korea Research Institute of Chemical Technology (KRICT), pubblicato di recente sulla rivista Science.

Le celle solari di perovskite (PSC, perovskite solar cells), ricordiamo brevemente aiutandoci con le note fornite dagli scienziati sudcoreani, sono costituite da un mix ibrido di elementi inorganici e molecole organiche, la cui struttura cristallina unica è in grado di catturare la luce e convertirla in energia elettrica.

Raggiungono un’efficienza di conversione intorno al 22%, di poco inferiore ai valori massimi (25% circa) ottenuti con i moduli di silicio monocristallino.

Inoltre, si caratterizzano per la loro flessibilità e trasparenza, quindi sono particolarmente appetibili per svariate applicazioni. Pensiamo ad esempio alle vetrate solari o agli schermi dei cellulari (Fotovoltaico, celle alla perovskite più efficienti e “stampabili”).

Tra i problemi maggiori della perovskite c’è la fotostabilità: la cella, infatti, si degrada con una rapidità impressionante quando esposta alla luce solare. Bastano pochi giorni di permanenza all’esterno per azzerare del tutto le prestazioni di un modulo realizzato con questa struttura organica-inorganica, al contrario dei pannelli di silicio che restano efficienti per molti anni.

Raggi UV e temperature elevate sono due nemici micidiali per la perovskite. I ricercatori di varie università hanno cercato di risolvere l’inconveniente, applicando strati protettivi e impiegando elettrodi con nano-tubi di carbonio al posto dei materiali organo-metallici tradizionali (vedi anche QualEnergia.it).

Il politecnico sudcoreano ha sviluppato una cella di perovskite basata su un nuovo materiale semiconduttore, ricavato tramite un procedimento a temperatura molto più bassa – circa 200 gradi – di quella toccata nei processi standard di fabbricazione, intorno ai 900 gradi.

La cella così ottenuta, oltre ad avere un’alta efficienza (21,2%) ha dimostrato una resistenza fuori del comune, perché ha conservato il 93% circa del suo rendimento iniziale dopo 1000 ore di esposizione ai raggi solari.

Il team coordinato dal prof. Seok ha anche proposto un nuovo metodo di fabbricazione, “Hot-Pressing Method”. Semplificando un po’, prevede di far aderire saldamente due superfici – in questo caso si tratta dei diversi “strati” della cella – con una combinazione di temperatura e pressione.

Tali innovazioni hanno infuso un certo ottimismo ai ricercatori. Nella nota diffusa dal Politecnico coreano, infatti, si legge che il costo per produrre le celle di nuova generazione sarebbe del 50% inferiore rispetto ai moduli attuali di silicio.

Tuttavia, è lecito avere più di un dubbio sulla portata di simili affermazioni. Come ci spiegavano esperti dell’ENEA (vedi la nostra intervista a Mario Tucci sul solare FV innovativo), è assai improbabile che la perovskite riuscirà ad affacciarsi sul mercato prima di una quindicina d’anni, a causa dei molteplici rischi e problemi che circondano la sua eventuale industrializzazione.

Per il momento, l’industria del fotovoltaico punta sul silicio, grazie a una filiera produttiva consolidata in tutto il mondo, lasciando la perovskite alle continue e intense sperimentazioni di laboratorio, che continueremo comunque a seguire.

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