Da Trump all’Italia, quel G7 Energia che non convince

Il vertice delle sette Nazioni più ricche e industrializzate del mondo a Roma è terminato senza una dichiarazione congiunta sui cambiamenti climatici, perché gli Stati Uniti si sono smarcati. Pure la posizione italiana rimane sfumata tra “ossessione” del gas e sviluppo delle fonti rinnovabili. Vediamo perché.

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Il clima-scetticismo di Donald Trump è uscito dai confini nazionali per condizionare l’esito del G7 Energia che si è chiuso ieri a Roma.

Finora, le mosse del presidente repubblicano, assolutamente coerenti con le dichiarazioni della campagna elettorale (il clima come “bufala” orchestrata dai cinesi rimarrà la più celebre) avevano preso di mira le misure verdi di Obama.

Le prime settimane della nuova amministrazione hanno marcato un deciso cambio di rotta interno: via libera all’oleodotto Keystone XL, tagli pesanti ai fondi dell’Environmental Protection Agency (EPA) al cui vertice è stato nominato Scott Pruitt, noto negazionista del surriscaldamento globale, un ordine esecutivo per disinnescare una volta per tutte i limiti più severi contro l’inquinamento delle centrali a carbone imposti dal Clean Power Plan, l’annuncio di una linea più morbida sulle emissioni dei veicoli (vedi QualEnergia.it).

Era molto difficile immaginare, con questi presupposti, che Trump si sarebbe schierato a difesa dell’ambiente con gli altri Paesi più ricchi e industrializzati del mondo.

Difatti, il vertice sull’energia dei ministri di Stati Uniti, Canada, Giappone, Italia, Francia, Germania e Gran Bretagna, non è riuscito a produrre quel documento congiunto che avrebbe dovuto rafforzare la cooperazione internazionale per combattere il global warming.

La presidenza italiana del G7 ha potuto pubblicare solo una specie di riassunto delle discussioni che si sono svolte nella capitale.

Come ha spiegato il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, gli Stati Uniti si sono smarcati perché stanno rivedendo la loro politica climatica. Impossibile, quindi, convincerli a firmare una nota condivisa con un riferimento esplicito agli accordi di Parigi.

Gli Stati Uniti andranno per la loro strada, mentre le restanti Nazioni, si legge nel documento (vedi link in basso), hanno confermato l’impegno a rispettare l’intesa siglata due anni fa in Francia, con l’obiettivo di contenere l’aumento delle temperature medie entro 2 gradi centigradi, rispetto ai livelli preindustriali.

Quella andata in scena al G7 è una delle tante versioni della politica nazionalista voluta da Trump, che in campo energetico prevede l’indipendenza USA dagli approvvigionamenti esteri, grazie allo sviluppo di tutte le risorse fossili presenti nel sottosuolo americano.

L’allontanamento della Casa Bianca da Parigi, è la domanda che molti analisti si pongono, metterà a rischio l’intero programma delle Nazioni Unite per tagliare le emissioni di CO2? Il timore è che qualche Paese emergente potrebbe seguire il cattivo esempio americano.

Tuttavia, le più recenti dichiarazioni dei rappresentanti cinesi (vedi QualEnergia.it) fanno ben sperare, perché il colosso asiatico, uno dei principali responsabili dell’inquinamento globale, sembra davvero intenzionato a costruire un’economia sempre più sostenibile e meno energivora di quella che ha caratterizzato il boom economico di Pechino negli anni passati.

Tornando al documento di Roma, troviamo diversi passaggi che richiamano il ruolo-chiave della transizione energetica, lo sviluppo delle fonti rinnovabili e delle tecnologie pulite nei trasporti; c’è perfino un accenno all’impegno di eliminare i sussidi dannosi ai combustibili fossili entro il 2025.

Eppure, come ha osservato Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente, l’eventuale fallimento delle politiche salva-clima non coinvolge solo gli Stati Uniti. “Dopo giorni in cui non si è fatto altro che parlare di TAP e TAP 2, un secondo gasdotto proveniente da Israele e Cipro – ha detto Zanchini – quella del gas pare un’autentica ossessione del ministro”.

Torniamo così alle incognite, segnalate anche da Greenpeace durante il G7, della Strategia energetica nazionale (SEN) che il Governo italiano dovrebbe presentare tra pochi giorni.

L’auspicio è che sia orientata a favorire il più possibile le tecnologie pulite, la generazione distribuita, l’elettrificazione dei trasporti, anche se diverse affermazioni di Calenda vanno un po’ nella direzione contraria.

Il documento romano sottoscritto dai vari ministri, infatti, prima ancora delle rinnovabili, si concentra sulla sicurezza delle forniture internazionali di gas e sul potenziamento delle relative infrastrutture, soprattutto gasdotti e terminali LNG.

Impossibile non pensare al corridoio sud del gas ampiamente sponsorizzato da Bruxelles e dall’Italia in particolare (TAP, Trans Adriatic Pipeline) sulla cui effettiva utilità futura sono emersi parecchi dubbi, come abbiamo spiegato in questo articolo.

Non è del tutto chiaro, in definitiva, se l’Italia vorrà diventare un centro (hub) del gas per l’Europa, con tutte le difficoltà e contraddizioni del caso, piuttosto che un paese capofila delle rinnovabili e dell’efficienza energetica, grazie anche alle numerose competenze tecnologiche della nostra filiera industriale, pensiamo ad esempio al previsto boom dei sistemi di accumulo elettrochimico.

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