Mercato ETS: il danno della troppa CO2 regalata alle industrie. Come rimediare?

Altri dubbi circondano il corretto funzionamento del mercato europeo delle emissioni: la sovrabbondanza di quote gratuite di CO2 ha permesso a molte imprese, anche italiane, di realizzare extra profitti. L’interrogazione di un senatore M5S prova a fare luce sulla vicenda.

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Mentre la riforma del mercato europeo della CO2 (Emissions Trading Scheme) sta per entrare nell’ultima fase di negoziati trilaterali, coinvolgendo i rappresentanti del Parlamento, del Consiglio dei Ministri e della Commissione, continuano a emergere dubbi sulla validità del sistema, almeno per come ha funzionato finora.

L’ETS, ricordiamo, dovrebbe promuovere l’efficienza energetica in oltre 11.000 impianti industriali dei 28 Stati membri più Islanda, Norvegia e Liechtenstein.

Sul banco degli imputati, infatti, ci sono le “free allowances”, le quote assegnate gratuitamente da Bruxelles a determinate industrie, ad esempio cartiere, cementifici, raffinerie, stabilimenti petrolchimici.

Il senatore del M5S Andrea Cioffi ha presentato in questi giorni un’interrogazione ai ministri competenti (Ambiente e Sviluppo economico), basata su un articolo pubblicato da Altreconomia e sulle analisi dell’organizzazione indipendente olandese CE Delft.

Facciamo prima un veloce riepilogo del meccanismo: l’ETS è un mercato di tipo cap and trade che stabilisce un tetto massimo annuale per le emissioni complessive di CO2, riducendolo ogni dodici mesi con un fattore lineare (1,74% che la riforma vorrebbe portare al 2%).

In pratica, Bruxelles mette a disposizione ogni anno un certo volume di diritti di emissione; le imprese possono acquistare tali diritti nelle aste pubbliche o sul mercato, oppure ottenerli in regalo grazie per l’appunto alle free allowances, che valgono quasi metà delle quote totali disponibili.

Il primo paradosso è che lo schema ETS, complice la crisi economica con il conseguente rallentamento della produzione manifatturiera, ha generato una sovrabbondanza di quote invendute-inutilizzate. L’eccesso di offerta sulla domanda, quindi, ha fatto crollare i prezzi dei diritti di emissione: siamo intorno a 5 €/tonnellata di CO2, troppo poco per stimolare investimenti in tecnologie più efficienti e pulite.

L’altro paradosso, illustrato da CE Delft, è che il surplus di quote si è trasformato in un boomerang per la politica salva-clima europea.

In sintesi, si legge nel documento “Calculation of additional profits of sectors and firms from the EU ETS 2008-2015″ (allegato in basso), l’eccedenza di crediti di CO2 ha permesso a molte industrie energivore e inquinanti di realizzare extra profitti, con una sorta di “carbon welfare” al contrario.

Secondo le stime di CE Delft, nel 2008-2015 le imprese europee hanno guadagnato oltre 7,5 miliardi di euro sfruttando quelle stesse quote regalate da Bruxelles, rivendendole sul mercato comunitario ETS.

Com’è stato possibile? Il punto, spiegato in un recente articolo di Altreconomia, è che molte aziende, soprattutto cementifici, ricevevano le free allowances usando come parametro di riferimento (benchmark) il dato sulla produzione boom di cemento prima del 2008.

Poiché la produzione è crollata negli anni successivi, il risultato è che il volume delle emissioni “reali” era nettamente inferiore rispetto alla quantità di CO2 assegnata gratuitamente alle industrie.

In altre parole: ai cementifici sarebbero bastate molte meno quote per rispettare i vincoli del sistema ETS. Invece hanno ricevuto un notevole surplus di diritti di emissione da rivendere o “salvare” per un utilizzo futuro. Sempre secondo i calcoli di CE Delft, in Italia il settore cemento ha realizzato profitti addizionali per 515 milioni di € nel periodo considerato, con Italcementi in cima alla lista (131 milioni di €).

Cioffi, nell’interrogazione, riassume le tappe principali del mercato ETS con le stime sui profitti extra delle aziende italiane, garantiti dalla sovrabbondanza di crediti di CO2.

Due le richieste al Governo del senatore e degli altri firmatari: “ritirare” le quote gratuite eccedenti, evitando così che diventino un vero e proprio sussidio alle industrie inquinanti e poi introdurre una carbon tax per accelerare la transizione energetica verso le fonti rinnovabili.

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