Petrolio, gas, carbone: come sarà la “giostra” dei prezzi nel 2017

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Questo sarà un anno all’insegna della volatilità per le quotazioni dell’oro nero, con una domanda in rialzo e con prezzi crescenti, anche grazie alla riattivazione di molti pozzi di shale oil negli Stati Uniti. Il mercato internazionale del gas liquefatto sarà in espansione. Incertezze sul futuro ruolo del carbone.

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Come si evolveranno i prezzi dell’energia nel 2017 e negli anni successivi? Di recente, abbiamo visto quanto sia difficile azzardare previsioni sull’andamento futuro dei combustibili fossili, concentrandoci sull’oro nero (vedi QualEnergia.it, Petrolio: supply crunch dal 2018?).

Ora è un documento di S&P Global Platts, divisione di Standard & Pooor Global, a riportare l’attenzione sul tema, con una serie di stime su petrolio, gas e carbone.

La prima considerazione, piuttosto ovvia, è che le quotazioni saranno “molto volatili” dopo l’incremento registrato alla fine del 2016. Questo “rally dei prezzi”, si legge nell’analisi di Standard & Poor, si spiega in buona parte con la tendenza a rialzare le stime sulla domanda petrolifera nei passati dodici mesi.

Ad esempio, l’Agenzia internazionale dell’energia (IEA) ha corretto più volte la previsione iniziale di 95,2 milioni di barili giornalieri, portandola alla fine a 96,3 milioni. Nel frattempo, il valore del Brent ha guadagnato il 50% rispetto all’inizio del 2016, tornando a quota 50-55 dollari al barile lo scorso dicembre, come riassume il grafico sotto.

Tra l’altro, si legge nel documento, la domanda petrolifera nel 2017 dovrebbe attestarsi a 97,6 milioni di barili quotidiani, oltre un  milione in più in confronto all’anno precedente.

L’altro fattore decisivo, prosegue S&P Global Platts, è stato l’impegno a tagliare la produzione da parte del cartello OPEC e di altri paesi produttori, tra cui la Russia. È ancora presto, però, per dire se questi tagli si materializzeranno interamente: l’incertezza non fa altro che aumentare la volatilità dei mercati.

Tra le conseguenze principali del rally dei prezzi, c’è sicuramente la riattivazione di moltissimi pozzi di shale oil negli Stati Uniti. Tali pozzi contengono risorse petrolifere definite “non convenzionali” perché la loro estrazione richiede tecniche più invasive e inquinanti (parliamo del fracking, la fratturazione idraulica degli scisti).

Se il prezzo del barile è troppo basso, come per gran parte del 2016, la produzione di shale oil subisce un arresto, perché il greggio intrappolato negli scisti è più costoso da estrarre, rispetto a quello che fuoriesce dai pozzi tradizionali.

Tuttavia, la risalita del Brent sta favorendo il petrolio USA, perché aumenta il numero di giacimenti nuovamente redditizi sul suolo americano, come evidenzia il grafico sotto.

A sua volta, l’output crescente di oro nero “non convenzionale” contribuisce a determinare un tetto massimo alle quotazioni, perché ovviamente c’è una quantità sempre maggiore di petrolio (quindi di offerta) che si riversa sul mercato.

Per quanto riguarda il gas naturale, si legge ancora nel documento, S&P Global Platts prevede una convergenza dei prezzi a livello mondiale, grazie soprattutto all’espansione del mercato LNG (liquefied natural gas) americano e australiano, con forniture in aumento verso l’Europa occidentale, come sintetizza il terzo grafico che pubblichiamo.

A questo punto bisogna menzionare il carbone, il cui ruolo nel mix energetico dipenderà sempre di più dalle politiche ambientali dei singoli governi, oltre che dai costi del gas.

La parte finale dell’analisi, non a caso, è dedicata alla situazione inglese che abbiamo approfondito in questo articolo: la carbon tax della Gran Bretagna, unitamente ai prezzi bassi del gas naturale, ha spostato la produzione elettrica dal carbone verso il combustibile fossile concorrente e verso le fonti rinnovabili.

Le previsioni della IEA

Anche l’Agenzia internazionale dell’energia ha appena diffuso le sue previsioni di medio-termine sul mercato petrolifero globale, Oil 2017 (sintesi allegata in basso). Il rischio, si legge nell’analisi, è che dopo il 2020 ci sia un’impennata dei prezzi del barile, dopo un triennio all’insegna della volatilità.

Nei prossimi due-tre anni, sostiene la IEA, l’output di oro nero dovrebbe aumentare negli Stati Uniti, in Canada, Brasile e qualche altro paese, ma il problema è recuperare il crollo degli investimenti registrato nel biennio 2015-2016 nel settore upstream (estrazione di greggio).

La domanda petrolifera, secondo l’agenzia, supererà 100 milioni di barili quotidiani intorno al 2019, trainata dalle economie emergenti, soprattutto in Asia; nel frattempo, il tanto atteso boom dell’auto elettrica avrà un impatto molto limitato sulla riduzione dei consumi di carburanti nei trasporti.

L’evoluzione del mercato dipenderà molto dal ruolo dello shale oil americano: se i prezzi rimarranno intorno ai 60 dollari al barile, scrive la IEA, è probabile che la produzione dei giacimenti a stelle e strisce tornerà a salire con forza, anche se difficilmente dopo il 2020 l’offerta globale di greggio riuscirà a tenere il passo della domanda, salvo inaugurare un nuovo ciclo d’investimenti nell’esplorazione di nuovi pozzi.

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