Quegli “sporchi segreti” delle energie pulite

L’Economist dedica la copertina del settimanale ad un aspetto critico per il mercato elettrico legato alla forte diffusione delle rinnovabili. Il punto è che l'analisi si basa su assunti parziali e tipici di una visione conservatrice del mercato dell'energia e dalla parte della grande produzione centralizzata.

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A dire corbellerie e fare analisi parziali sull’energia rinnovabile la stampa italiana è spesso maestra. Stavolta però vale la pena segnalare un articolo pubblicato su uno dei fari del giornalismo mondiale, l’Economist, sulla cui copertina dell’ultimo numero campeggia, su sfondo giallo, il titolone “Clean energy’s dirty secret”.

Ne parliamo perché, al netto di tante argomentazioni pro rinnovabili o conservatrici, questo è il succo del dibattito in corso sulla transizione energetica. Vediamo allora quale sarebbero questo “sporco segreto”.

L’editoriale, “Wind and solar power are disrupting electricity systems”, ci fa sapere che dopo 150 anni dalla loro scoperta fotovoltaico ed eolico riescono solo a soddisfare il 7% dell’elettricità mondiale e, come se non bastasse, stanno pure mettendo a soqquadro il mercati elettrici.

Innanzitutto viene sottovalutato il fatto che la fase, per così dire, commerciale delle due tecnologie sia iniziata solo dopo la metà degli anni ’90 e che solo da poco più di un decennio queste due fonti sono una modalità di generazione elettrica che è entrata a pieno titolo nei sistemi elettrici nazionali, sistemi – va ricordato – ideati originariamente per la produzione energetica centralizzata.

Ma lo “sporco segreto” delle rinnovabili per l’Economist è soprattutto legato all’effetto della loro crescente diffusione: più si produce elettricità da fonti pulite, più si abbassa il prezzo di vendita dell’energia di tutte le fonti, incluse anche quelle rinnovabili.

Il settimanale anglosassone, che ovviamente vede il mondo dalla sua logica liberistica e dal punto di vista degli investitori, non può che considerare questo aspetto, oramai riconosciuto dagli osservatori del settore, come una vera e propria iattura e anche causa del rallentamento o dello stop degli incentivi alle fonti pulite in moltissimi paesi. Dei benefici per il consumatore e della nascente nuova figura del prosumer nessun cenno.

Sebbene non si consideri come una soluzione auspicabile fare a meno del solare e dell’eolico, nell’articolo si ritiene che si dovrà assegnare loro una diversa modalità di definizione del prezzo per favorire, si spiega, una transizione energetica a basso contenuto di carbonio.

Strano però che un giornale improntato alla teoria del libero mercato stigmatizzi il fatto che il mercato delle rinnovabili sia stato drogato dai sussidi (considerati ovviamente uno “spreco”), senza però mai citare quelli alle fonti fossili, molto più elevati ed elargiti da molto più tempo anche in maniera spesso indiretta, quando non oscura.

Forse sarebbe il caso di rammentare che quegli 800 miliardi di dollari di sussidi alle fonti pulite dal 2008 citati nell’articolo sono serviti a mala pena a compensare un mercato fortemente distorto da migliaia di miliardi di dollari dati a piene mani alle fonti fossili e al nucleare.

Così operando si è potuta creare, proprio grazie a questi sussidi, quell’overcapacity di potenza elettrica nei paesi industrializzati di cui molti oggi si lamentano, che ha di fatto saturato un mercato ora spesso incapace di assorbire sempre più elettricità da fonti pulite rinnovabili. Insomma c’è un prima e c’è un dopo, una causa ed un effetto, che il giornale britannico omette.

Il fatto che il costo marginale delle fonti rinnovabili, come solare ed eolico, sia pressoché nullo, dovrebbe invece essere un vantaggio per i consumatori, attori essenziali in un’economia di mercato, ma curiosamente trascurati nell’articolo che si focalizza solamente sui problemi dei grandi produttori di energia e degli investitori.

Il costo nullo, o quasi, delle rinnovabili sarebbe anche un beneficio per il clima e per i conti ambientali, grazie allo spostamento dei consumi energetici da parte dei consumatori – sebbene ancora lento e faticoso – dalle fonti fossili a quelle pulite.

Una energia a prezzi sempre più bassi, grazie anche alle rinnovabili, dovrebbe essere tuttavia un vantaggio anche per chi produce se, al tempo stesso, i suoi costi si abbassano, consentendo così di ottenere dei margini operativi sostenibili.

Come spiegano anche gli economisti meno noti ai media, i redditi crollano quando i prezzi scendono senza un corrispondente calo dei costi di produzione. È un po’ quello che sta succedendo alle centrali a carbone.

Poi si sceglie pure di spendere molto denaro, anche degli stessi consumatori, per tenere accese queste centrali e risolvere così l’intermittenza delle fonti rinnovabili. Ma non sarebbe più utile invece investire nella gestione dell’offerta (accumuli e smart grid) e della domanda?

Ha ragione l’autore dell’articolo a dire che tutto ciò è e sarà costoso, ma ogni transizione energetica nella storia lo è stata. E non crediamo sia possibile, né che ne valga la pena per la nostra civiltà, continuare a bruciare petrolio, carbone e gas per tutto questo secolo.

Ma sicuramente questi aspetti non sono ancora stati recepiti nella dottrina del libero mercato.

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