Fotovoltaico, celle alla perovskite più efficienti e “stampabili”

Un gruppo di ricercatori canadesi ha realizzato celle alla perovskite senza ricorrere alle elevate temperature richieste dalle normali lavorazioni. Più efficienza e stabilità, oltre alla futura possibilità di applicare direttamente lo strato solare su una moltitudine di superfici.

ADV
image_pdfimage_print

Celle solari alla perovskite, ottenute con un procedimento a bassa temperatura, più efficienti e utilizzabili per tantissime applicazioni, addirittura “stampabili” su diverse superfici – schermi di cellulari, vetri, eccetera – trasformandole in generatori di elettricità.

L’Università di Toronto sta lavorando in questa direzione, come spiega una nota dell’ateneo canadese che riassume i test condotti da un gruppo di ricercatori.

Oggi quasi tutte le celle sono realizzate con fettine di silicio cristallino di elevata purezza. L’intero processo produttivo richiede temperature superiori a mille gradi e, di conseguenza, un cospicuo dispendio energetico e l’impiego di vari solventi chimici, potenzialmente pericolosi.

Al contrario, si legge nel documento diffuso dall’università, le celle di perovskite si basano su uno strato di microscopici cristalli – ognuno è circa mille volte più sottile di un capello umano – costituito da materiali fotosensibili molto più economici del silicio.

Il problema della perovskite, prosegue la nota riassuntiva della ricerca, è sempre stato come estrarre dai cristalli gli elettroni sollecitati dall’irraggiamento solare: serve uno strato speciale chiamato electron-selective layer (ESL) ricavato da una sorta di “polvere” di materiale che deve essere cotta ad almeno 500 gradi.

Ecco la ragione per cui è impossibile applicare direttamente questo strato, durante la lavorazione, su un foglio di plastica flessibile o una cella di silicio: si scioglierebbero.

Il team canadese ha quindi sviluppato una nuova reazione chimica, che ha permesso di realizzare un ESL fatto di nano particelle. Tale tecnica prevede temperature inferiori a 150 gradi, molto meno del punto di fusione della maggior parte delle plastiche.

Le nanoparticelle sono state poi coperte da uno strato di atomi di cloro, che ha la doppia funzione di “legare” più saldamente l’ESL alla perovskite e migliorare il flusso degli elettroni dai cristalli. Il risultato è un’efficienza nell’ordine del 20%, il massimo finora ottenuto con i procedimenti a bassa temperatura.

Ricordiamo che le celle di perovskite fabbricate in modo tradizionale hanno raggiunto una capacità di conversione della luce solare in energia elettrica del 22%, mentre il record del silicio multi cristallino-monocristallino è rispettivamente del 22 e del 25% circa, secondo le più recenti sperimentazioni in laboratorio (vedi QualEnergia.it sul record del Fraunhofer Institute).

Un altro vantaggio della tecnica utilizzata dai ricercatori di Toronto è la stabilità della cella di perovskite, che riesce a mantenere oltre il 90% della sua efficienza anche dopo 500 ore di funzionamento, al contrario di molte celle il cui rendimento decade già dopo poche ore.

Le frontiere aperte da questa soluzione sono molteplici: si va dalle celle ibride di perovskite in tandem con il silicio – in questi casi l’efficienza potrebbe toccare il 30% complessivamente – a schermi di cellulari che si auto ricaricano con l’energia solare, passando per i vetri fotovoltaici, sempre grazie alla possibilità di applicare direttamente la perovskite sulle differenti superfici, senza il rischio di fonderle o danneggiarle, come avverrebbe con la “cottura” ad alta temperatura.

ADV
×