Come utilizzare al meglio la pompa di calore elettrica

La corretta gestione della PDC varia secondo il tipo di distribuzione del nostro impianto: a pavimento, ventilconvettori, caloriferi tradizionali. Controllo da remoto con applicazioni mobili e possibile integrazione con la rete elettrica grazie alle smart heat pump. Accumulo elettrico vs accumulo termico a confronto.

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Dopo aver parlato di contabilizzazione e termoregolazione del calore nei sistemi centralizzati di riscaldamento – mancando pochi mesi di proroga per mettersi in regola – proseguiamo il nostro “viaggio” di aggiornamento tecnologico con gli impianti autonomi, puntando di nuovo i riflettori sulle pompe di calore elettriche

Abbiamo visto come cambierà la bolletta con l’eliminazione della tariffa sperimentale D1. Ora con l’aiuto dell’ing. Fernando Pettorossi di Assoclima, approfondiamo alcuni aspetti legati al corretto impiego di queste macchine e alle possibili evoluzioni future.

Impiegare la PDC alla massima efficienza

Un punto molto importante da tenere a mente, è che dobbiamo gestire la pompa di calore (PDC) in base alle caratteristiche del sistema di distribuzione. Caloriferi, ventilconvettori, serpentine a pavimento: l’impostazione del generatore cambierà nei diversi casi.

Partiamo allora dai pannelli radianti a pavimento, che si contraddistinguono per l’elevata inerzia termica. La PDC può rendere al massimo della sua efficienza se lasciata funzionare in modo continuo a bassa temperatura (intorno ai 30 gradi).

Per quanto riguarda la temperatura degli ambienti interni, è sufficiente impostare 18-19 gradi costanti durante il giorno, perché la percezione del calore proveniente “dal basso” è più intensa rispetto agli altri sistemi di distribuzione, che di solito richiedono circa 20 gradi come livello di benessere.

Con i ventilconvettori, invece, è preferibile accendere/spegnere con più frequenza la pompa di calore, programmando la temperatura-comfort nei vari momenti della giornata. Ad esempio, basta far partire la macchina mezz’ora prima di entrare in casa, per poi spegnerla quando si esce, perché le unità fancoil sono molto veloci nel raggiungere i gradi desiderati.

Molto dipende, ovviamente, anche da altri fattori, soprattutto il grado di coibentazione dell’appartamento, la sua esposizione e così via.

Quando la PDC è collegata ai caloriferi, invece, è opportuno far lavorare l’impianto a non più di 50-55 gradi in modalità “sempre acceso”, lasciando che la pompa di calore mantenga la temperatura richiesta nell’abitazione. Il suo rendimento, infatti, si riduce molto se deve funzionare con temperature dell’acqua nell’ordine di 60-70 gradi, come nella maggior parte degli impianti tradizionali a gas.

Cosa succede quando fa molto freddo?

Tra i problemi maggiori delle pompe di calore, c’è l’accumulo di ghiaccio sulle unità esterne quando le temperature sono basse, non necessariamente sotto zero.

Fino a pochissimi anni fa, le macchine dovevano invertire il ciclo di funzionamento per parecchi minuti, con la conseguente immissione d’aria fredda nell’abitazione e un crollo del rendimento effettivo (COP inferiore a 2).

I dispositivi più moderni, invece, risolvono l’inconveniente con inversioni di ciclo molto rapide, quasi impercettibili per gli occupanti, micro-scioglimenti periodici del ghiaccio accumulato (defrosting) che permettono di conservare il livello di comfort interno.

Va detto, aggiungiamo noi, che il rendimento della PDC diminuisce quando il freddo è molto intenso, quindi nei climi più rigidi può essere utile affiancare a questa soluzione una caldaia a gas per coprire i picchi di riscaldamento, a meno di abitare in una casa costruita-ristrutturata secondo la “filosofia” NZEB (near-zero energy buildings), molto ben isolata termicamente.

Apparecchi intelligenti

La logica “smart” sta iniziando a interessare anche le pompe di calore: parliamo di smart heat pump, una macchina intelligente dotata di un chip, in grado di dialogare con la rete elettrica attraverso i contatori di seconda generazione che saranno installati in milioni di case italiane.

Potranno aprirsi nuove frontiere per la gestione attiva della domanda: ad esempio, la rete potrà chiedere alle pompe di calore di staccarsi o autolimitare la potenza per pochi secondi o minuti, contribuendo così ad appiattire le punte di carico, senza necessità di aumentare la capacità complessiva di produzione elettrica.

Se questo può sembrare un po’ prematuro agli occhi di molti utenti, già oggi la pompa di calore è a portata di touchscreen grazie alle numerose applicazioni che consentono di programmare-regolare a distanza il loro funzionamento, tramite il cellulare o tablet.

Quale tipo di accumulo?

Parliamo infine delle diverse possibilità di abbinare la pompa di calore a un sistema di accumulo elettrico/termico per massimizzare l’autoconsumo energetico di un impianto fotovoltaico; in questo articolo abbiamo citato alcuni esempi tratti da un’analisi di RSE.

La ricerca nel campo degli accumuli elettrochimici, riassume l’ing. Pettorossi, sta evidenziando che l’utilizzo di determinati elementi, in particolare silicio e grafite, fornisce risultati eccellenti a costi contenuti.

È bene precisare che l’elettricità generata dai pannelli FV, per essere considerata rinnovabile, non può essere “sfruttata” per usi termici a effetto Joule (il tipico esempio è la resistenza di un boiler). Possiamo, però, impiegare l’energia elettrica da fotovoltaico per alimentare una PDC e così trasformarla con maggiore efficienza in calore, con cui produrre-accumulare acqua calda sanitaria.

Dalle analisi di RSE, emerge che l’accumulo elettrochimico in una piccola batteria al litio da 2 kWh garantisce un autoconsumo più elevato – e quindi aumenta il risparmio sulle bollette – rispetto all’accumulo termico, ma va detto che ogni soluzione va studiata e progettata caso per caso, secondo le esigenze individuali, le caratteristiche dell’abitazione, il costo di un impianto solare termico e così via.  Tuttavia su questo aspetto faremo a breve delle analisi più accurate.

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