Geotermia elettrica in Italia: qualcosa si muove?

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Tra le rinnovabili, la geotermia ad alta entalpia per la produzione elettrica, è quella che si è dimostrata meno dinamica negli ultimi 6 anni. Ora però, ammesso che si superino vuoti normativi e opposizioni locali, le nuove tecnologie potrebbero sbloccare la situazione fino a raddoppiarne la produzione.

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La geotermia italiana ad alta entalpia, presa fra lentezze ministeriali e opposizioni locali, continua a ristagnare: mentre tutte le altre fonti rinnovabili galoppavano, dal 2010 – quando il settore, prima monopolio Enel, fu liberalizzato – al 2016 la produzione annuale da questa fonte in Italia è passata solo da 5 a 5,9 TWh.

Non che manchino le iniziative, ma dopo sette anni quasi tutto è ancora al livello di “valutazione iniziale”.

Nuove aree e decreti mancanti

Per ora ci 23 permessi di ricerca, tutti intorno alle due aree “storiche” – Larderello e Amiata – e un solo nuovo pozzo esplorativo, ma la geotermia per la produzione elettrica sta  tentando di espandersi anche in altre regioni.

Secondo il sito del MiSE, ci sono infatti altri 14 permessi di ricerca in atto – 8 nel Lazio, 2 in Lombardia, 3 nel Lazio e 1 in Sicilia – e ben 42 domande per ulteriori permessi (oltre alle regioni precedenti anche in Umbria).

Le risorse di vapore meno pregiate di quelle “storiche” a cui mirano questi progetti, quasi sempre dovrebbero essere sfruttate tramite impianti a ciclo binario, dove il fluido geotermico non va direttamente in turbina, ma fa bollire un liquido a basso punto di ebollizione e viene re-iniettato nel sottosuolo.

«Enel, che pure ha centrali a ciclo binario in Arizona, dice che i fluidi in Toscana non sono adatti a queste tecnologie. Ma i nuovi operatori, evidentemente, la pensano diversamente», spiega a QualEnergia.it Sergio Chiacchella, direttore del Consorzio per lo Sviluppo delle Aree Geotermiche.

«Purtroppo a frenarli – continua – è la mancanza di una normativa chiara. Sono anni che l’aspettiamo, ma per ora è uscito solo un documento di buone pratiche a cura del MISE».

Verso impianti a emissioni nulle

Oltre al consueto “decreto mancante”, a frenare c’è anche l’opposizione dei tanti comitati del No alla geotermia“, prima contrari agli impianti geotermici tradizionali, ora spesso anche a quelli binari.

Ciò che più temono gli «antigeotermia» è che una volta che il fluido è stato utilizzato, vengano rilasciati in aria i gas che contiene e che non possono essere condensati con il raffreddamento, alcuni dei quali, come idrogeno solforato, ammoniaca o mercurio, sono tossici.

«In realtà questo problema sussisteva con la vecchia geotermia, le cui centrali sono state però ormai tutte o rinnovate o chiuse – precisa Chiacchella – e gli attuali impianti sono dotati di tecnologie che abbattono quasi totalmente i gas inquinanti e il loro impatto sulla salute della popolazione, come dimostrato da vari studi sanitari, è inesistente».

Un’affermazione confermata ad esempio dall’ultimo studio in materia commissionato dall’Ars Toscana e pubblicato a dicembre 2016 (“Esposizione ad acido solfidrico ed effetti acuti sulla salute. Uno studio case-crossover in Amiata”, qui in pdf), che “non rileva situazioni di particolare criticità”, con l’eccezione di alcuni picchi di emissioni nei fermi degli impianti più vecchi.

Volendo, però, nell’abbattimento dell’inquinamento la geotermia può andare ancora oltre: il Ministero dello Sviluppo economico finanzia con appositi incentivi progetti per impianti sperimentali sotto i 5 MW, a emissioni nulle, visto che re-iniettano nel sottosuolo sia il fluido che i gas non condensabili.

Nuove tecnologie per rilanciare la fonte

Dieci proposte per impianti di questo tipo sono in varie fasi di autorizzazione presso il ministero.

«Due di esse, una nel pisano e una all’Amiata, dovrebbero essere vicini alla partenza, perché, a differenza dei progetti maggiori, in questi casi la sussistenza delle risorse geotermiche necessarie è già accertata, mentre la presenza di incentivi correlati alle difficoltà tecniche che si incontrano riduce i rischi per gli operatori», ci dice Chiacchella.

Riuscire a installare i primi impianti pilota a ciclo binario e re-iniezione totale, sarebbe, secondo Chiacchella, fondamentale per il rilancio del settore, perché dimostrerebbe la fattibilità e la convenienza di sfruttare risorse geotermiche più diffuse in Italia, oltre a migliorare l’accettabilità sociale di questa fonte.

Ma neanche la re-iniezione totale potrebbe bastare ai comitati del “No”. Ci sono per esempio proteste contro questi impianti sperimentali a Orvieto, e anche a Pozzuoli e all’Isola d’Ischia, in Campania, regione che con essi comincerebbe a utilizzare le sue abbondanti risorse geotermiche.

Nel mirino i possibili impatti sul paesaggio o sulla sismicità da re-iniezione dei fluidi e l’alterazione delle falde idriche, che potrebbero indurre.

«L’impatto sul paesaggio è già considerato nella valutazione di impatto ambientale», risponde Edo Bernini, direttore della direzione Ambiente ed Energia della Regione Toscana. Insomma se l’impianto deturpa, niente VIA.

«La sismicità indotta è provocata dalla variazione di pressione nel sottosuolo, come accade nel fracking per gli idrocarburi – spiega invece Chiacchella – Ma una corretta “coltivazione” del campo geotermico con la re-iniezione del fluido utilizzato, consente di evitare questi rischi. E i fluidi geotermici vengono captati a migliaia di metri di profondità, molto più in basso delle falde di acqua potabile.»

Vale la pena?

«La popolazione locale deve valutare se un impianto geotermico sia compatibile con le attività locali – osserva Chiacchella – ma deve essere informata correttamente, sia sui reali impatti, sia sulle risorse che portano al territorio sotto forma di royalties e per l’uso diretto del calore. Una volta che si sono valutati bene i pro e contro, però, la politica deve decidere, senza farsi bloccare in eterno da veti, provenienti, spesso, da associazioni che rappresentano poche persone.»

Viene però da chiedersi se questa insistenza per la geotermia sia in fondo giustificata: anche se tutti questi progetti andassero in porto le quantità in gioco sembrano modeste.

«Non è ancora possibile conoscere la nuova potenza complessiva che verrà installata in Toscana, essendo le ricerche ancora in corso, ma si stima sia sui 150 MW», dice Bernini. Il che porterebbe la potenza geotermica a superare di poco il GW, contro gli attuali 880 MW.

Se la situazione si sbloccasse del tutto, poi, secondo l’Unione Geotermica Italiana, la geotermia italiana, entro il 2030 potrebbe più che raddoppiare potenza e produzione, arrivando fino a 2 GW e 12 TWh, visto che, a differenza di altre rinnovabili, questa fonte dà energia 24 ore al giorno.

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