Cambiamenti climatici, impatti su comunità locali e rinnovabili

Alla presentazione del progetto "Compose" si è parlato di sensibilizzazione delle comunità rurali e locali agli effetti del riscaldamento climatico, del ruolo delle rinnovabili e dell’efficienza energetica. Temi affrontati nell'occasione anche dalla climatologa Lučka Kajfež Bogataj che ritirò il premio Nobel per l’IPCC nel 2007.

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Sensibilizzare alle rinnovabili e all’efficienza energetica le comunità rurali dei paesi dell’Europa mediterranea è stato questo il tema trattato il 18 e il 19 gennaio a Roma, in un evento organizzato da Kyoto Club per l’avvio del progetto Interreg MED COMPOSE – Rural communities engaged with positive energy (Comunità rurali impegnate con energia positiva).

Undici nazioni rappresentate e trentasei partecipanti, fra i quali, in qualità di ambasciatrice del progetto, Lučka Kajfež Bogataj, climatologa slovena, professoressa all’Università di Ljubjana e ricercatrice dell’IPCC, l’Intergovernmental Panel on Climate Change delle Nazioni Unite, per il quale, unica donna, nel 2007 ritirò il premio Nobel per la Pace.

Il tema centrale del progetto COMPOSE è dunque la sensibilizzazione, attraverso progetti pilota, delle realtà rurali, e più in generale a livello locale, per un maggiore uso di fonti rinnovabili e di interventi di efficienza energetica. Un focus presente nel corso di tutta la presentazione della premio Nobel.

Efficiency first, prima di tutto l’efficienza energetica – ha sostenuto – perché questa è innanzitutto una questione che riguarda le nostre abitudini e percezioni”.

Partendo dal consumo medio per cittadino dell’UE, stimato in 125 kWh/giorno (fonti: International Energy Agency e UN Department of Economics and Social Affair) – Lučka Kajfež Bogataj ha sottolineato che “quello legato all’illuminazione risulta appena pari a 4 kWh; una cifra minima sul totale dell’energia utilizzata. Tuttavia spesso per la maggior parte delle persone l’azione immediata per risparmiare energia è solo quella di spegnere la luce”.

Sulle fonti rinnovabili ha spiegato che “la base di un intervento lungimirante per il loro sviluppo è anche la conoscenza approfondita dell’energy mix. Ci sono molti dati a livello nazionale, disponibili in una pluralità di database, mentre è notevolmente più difficile reperire quelli locali, spesso essenziali per una corretta pianificazione.

“Accade spesso – ha proseguito – che in un territorio si programmi la realizzazione di impianti di produzione di energia da rinnovabili concentrandosi sulla fonte sbagliata, per il solo fatto che la lobby locale legata a quella tecnologia sia più radicata rispetto ad altre. Ciò porta alla costruzione di strutture con pesante impatto ambientale e di inquinamento visivo, come ad esempio un’eccessiva presenza di turbine eoliche su un ristretto ambito territoriale, non giustificata dal potenziale locale per quella specifica fonte di energia”.

Lučka Kajfež Bogataj ovviamente non poteva non affrontare il tema dei cambiamenti climatici e la loro connessione con le rinnovabili. “Avranno – ha spiegato – un notevole impatto anche sulla disponibilità di fonti rinnovabili e sul loro potenziale a livello locale. È un problema molto sottovalutato e la ricerca in proposito è ancora troppo scarsa”.

Ad esempio, ha aggiunto, “se consideriamo i grandi bacini idroelettrici alpini, è probabile che in futuro, con una presumibile notevole riduzione delle superfici dei ghiacciai e delle precipitazioni, il potenziale di generazione da fonte idroelettrica potrebbe diminuire in maniera drastica. Anche i profili di velocità del vento e dell’insolazione potranno mutare molto rapidamente nel corso di questo secolo. Questo potrebbero ribaltare la valutazione economica sull’opportunità di realizzare, oggi o a breve, grandi impianti eolici o fotovoltaici in aree in cui tra qualche decina di anni potrebbero essere molto meno convenienti”.

In merito all’attività futura dell’IPCC la climatologa ha detto che il prossimo Assessment Report dell’IPCC (AR6 – previsto tra il 2019 e il 2021) sarà incentrato molto più sull’adattamento ai cambiamenti climatici che sulla mitigazione. In questo senso le città avranno sempre più un ruolo centrale. Le previsioni future danno una quota di inurbamento che arriverà, su scala globale, al 70%, e le popolazioni delle città saranno proprio quelle più vulnerabili.

Fenomeni come le ondate di calore, la siccità o l’aumento del livello del mare – ha spiegato – avranno un impatto più evidente nelle aree urbane. Problemi ambientali già esistenti, come l’inquinamento dell’aria, verranno ovviamente amplificati e resi più acuti con l’aumento della temperatura.

A livello locale, le azioni che andranno sviluppate dovranno essere quelle in grado di far fronte a più criticità. Ad esempio, “il miglioramento dell’isolamento di un edificio permetterà di consumare meno energia durante l’inverno, ma anche di limitare il problema delle ondate di calore estive, oltre che proteggere i cittadini da questo fenomeno, fornendo al contempo un contributo sia alla mitigazione che all’adattamento”, ha detto.

La climatologa riguardo il prossimo Special Report dell’IPCC, previsto per il 2018, ha detto che “il suo scopo non sarà di dimostrare che l’aumento di 1.5 °C sia o meno raggiungibile – personalmente credo che con le politiche attuali si arriverà molto vicini ai +3 °C  – ma piuttosto di sottolineare la differenza in termini di effetto sui cambiamenti climatici tra un obiettivo di +2 o di +1.5 °C. Ad esempio, mantenendosi su +1.5 °C, il fenomeno delle ondate di calore nelle città rimarrebbe simile ad oggi, cioè circa 5-6 per ogni estate, mentre raggiungendo i +2 °C la frequenza raddoppierebbe”.

Il rapporto – ha specificato Lučka Kajfež Bogataj – proverà a dimostrare che mentre sarà necessario un notevole impegno e grandi cambiamenti per mantenere la temperatura entro i due gradi, passare da +2 °C a +1.5 °C potrebbe non comportare ulteriori grandi sforzi: se possiamo arrivare a +2 °C, riusciremo anche per un obiettivo più ambizioso. Di questo ne sono certa”, ha concluso l’esperta dell’IPCC.

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