I rischi della finanza verde che frenano gli investimenti nelle rinnovabili

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Una guida del World Economic Forum evidenzia le principali barriere economiche, tecniche e normative che bloccano lo sviluppo delle fonti pulite. I gestori dei fondi internazionali investono troppo poco nella green economy, anche a causa di un’errata percezione dei vantaggi e svantaggi.

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Gli investitori istituzionali – fondi pensione e assicurativi, fondazioni, fondi sovrani e così via – sono chiamati a contribuire con più slancio alla green economy su scala mondiale.

Questo è l’avviso del World Economic Forum (WEF) nella sua guida introduttiva alla finanza verde, Renewable Infrastructure Investment Handbook: A Guide for Institutional Investors (allegata in basso).

Gli investimenti globali nelle tecnologie pulite hanno toccato la cifra record di 329 miliardi di dollari nel 2015. Quest’anno, però, ci sono state delle criticità con un terzo trimestre veramente “nero” per il settore (vedi QualEnergia.it).

Il dato che fa più riflettere, osserva il WEF, è che le risorse destinate alle fonti rinnovabili dai 500 principali gestori di fondi a livello internazionale sono pochissime: appena 138 miliardi di dollari possono essere classificati come investimenti low-carbon, su un totale di 38 trilioni (38.000 miliardi), quindi parliamo di nemmeno mezzo punto percentuale (0,4%).

Il problema, spiegano gli analisti del World Economic Forum, è dato dalla percezione un po’ distorta che molti investitori hanno dell’economia verde. Spesso, infatti, tra i gestori prevale l’idea che le infrastrutture energetiche rinnovabili non siano una classe finanziaria in grado di reggersi da sola (stand-alone asset class) e che, di conseguenza, l’affare sia troppo rischioso.

Quali sono le incognite che frenano i nuovi investimenti nelle rinnovabili? I rischi sono innumerevoli e di diverso tipo, come abbiamo spiegato anche in questo articolo tratto da uno studio IRENA: non solo finanziari, ma anche politici e normativi.

La tabella sotto riassume le maggiori barriere che impediscono alle fonti pulite di ricevere tutti il denaro di cui avrebbero bisogno. La preoccupazione più comune tra chi dovrebbe investire nell’energia verde è la mancanza di omogeneità, perché il quadro di regole tecniche, incentivi, norme contrattuali e quant’altro può cambiare sensibilmente da un paese all’altro.

Tuttavia, si legge poi nel documento del WEF, a fronte dei vari rischi ci sono tutti gli strumenti per tutelare i finanziamenti green e ridurre notevolmente le possibilità di un insuccesso (risk mitigation). Il punto più importante, in sintesi, è gestire con molta attenzione la stesura dei contratti con relative clausole, prevedendo adeguate coperture assicurative.

Tra le fasi più delicate troviamo senza dubbio la due diligence – la fase preparatoria che serve a sviscerare dati e informazioni – e la preparazione dei contratti PPA (power purchase agreement) fondamentali per garantire il ritorno economico dell’investimento.

Fino a pochi anni fa, il settore delle rinnovabili era considerato immaturo e con elevati rischi tecnologici, ma queste “scuse” ormai hanno perso validità e forza, evidenzia la guida del WEF richiamando due concetti che più volte abbiamo approfondito su queste pagine: la discesa dei costi delle tecnologie verdi e l’incremento della loro efficienza.

Parliamo allora di valori medi LCOE (levelized cost of energy) per l’eolico e il solare fotovoltaico, che negli ultimi anni sono diminuiti continuamente, tanto da rendere queste fonti competitive rispetto ai combustibili fossili in molte circostanze (Costi dell’energia, il solare batte il carbone anche negli Stati Uniti).

Il grafico sotto, invece, mostra l’andamento degli investimenti green dal 2004 a oggi; come si vede, per raggiungere gli obiettivi “salva-clima” sanciti dalla Cop21 nel 2015, il livello della finanza verde dovrebbe salire moltissimo da qui al 2030. La stima, infatti, è di circa 1000 miliardi di dollari aggiuntivi da destinare ogni anno alle infrastrutture energetiche “sostenibili”.

Tra i vari strumenti finanziari si stanno diffondendo i green bond, con un mercato in crescita soprattutto in Europa. Le obbligazioni verdi, come abbiamo illustrato in questo articolo, possono indirizzare gli investimenti verso le tecnologie rinnovabili, anche se per il momento non esiste uno standard globale per certificare la natura ecocompatibile dei progetti finanziati con tali bond.

La Francia, lo scorso settembre, ha annunciato il lancio nel 2017 di obbligazioni verdi sovrane per sostenere il suo piano di transizione energetica.

Questo, insieme con tanti altri, è un segnale che dimostra l’interesse crescente di governi e istituzioni per le opportunità offerte dalla green economy. Certo, come evidenzia il World Economic Forum, sono ancora troppi i soldi investiti nei settori più tradizionali, tra cui l’energia fossile.

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