Le piccole imprese italiane pagano l’elettricità più cara dell’Eurozona

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Il costo dell'energia elettrica per le piccole imprese italiane, con consumi tra 500 e 2.000 MWh annui, è il 22,8% maggiore rispetto alla media dei Paesi Euro. La causa è da ricercarsi nell'elevata quota di tasse ed oneri rispetto agli altri paesi (quasi il 45%). I dati elaborati dall'Ufficio Studi della CGIA.

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Nella classifica del costo dell’energia elettrica dell’Eurozona le piccole imprese italiane pagano più di tutte.

I dati riferiti al primo semestre del 2016 indicano per l’Italia un costo di 152,6 euro per MWh, il 22,8% in più rispetto alla media dei Paesi Euro, dove il costo è di 124,3 euro ogni mille kWh.

Le piccole imprese italiane pagano l’elettricità il 36,9% in più rispetto al Belgio, il 38,1% in più della Spagna, il 53,7% in più della Francia e addirittura il 78,1% in più rispetto ai Paesi Bassi.

L’analisi sul costo dell’energia elettrica per le piccole imprese è stata condotta dall’Ufficio Studi della CGIA di Mestre che ha esaminato i costi della fascia di consumo elettrico più rappresentativa per le piccole imprese, cioè quelli tra i 500 e i 2.000 MWh annui.

La causa dietro questa elevata spese per le piccole imprese è da ricercarsi nella elevata tassazione rispetto agli altri paesi dell’area Euro.

Ad esempio ogni 100 euro di costo sostenuto dalle piccole imprese italiane quasi 45 euro sono da attribuirsi a tasse ed oneri. L’incidenza della tassazione in Italia, pari al 44,8%, è superiore di 10 punti percentuali rispetto all’Eurozona dove la quota di tasse ed oneri è al 34,8%.

Al di là della Germania dove il peso del fisco è ancora superiore (47,6%), ma il costo del kWh è comunque inferiore all’Italia, i principali paesi hanno una tassazione molto più bassa leggera: il 28,1% in Francia, il 23,9% in Olanda, il 23,8% in Belgio e appena il 4,9% in Spagna.

“In effetti – precisa il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo – se guardiamo al prezzo dell’energia elettrica per le piccole imprese italiane è chiaro come la componente fiscale sia la principale imputata dei costi elevati. Si pensi che, tra il 2011 e il 2015, il gettito garantito dalla componente parafiscale degli oneri generali per il sistema elettrico è lievitata da 7,5 miliardi di euro a 15,8 miliardi di euro, aumentando quindi la tassazione sull’energia”.

Dall’analisi dello storico si intravedono comunque alcuni aspetti positivi. Se, infatti, è palese come il conto più salato sia pagato dalle piccole imprese italiane, in realtà dopo il secondo semestre del 2012 (periodo nel quale il differenziale di prezzo tra Italia e Area Euro aveva raggiunto il massimo, +46%) il divario è diventato meno netto, come detto, al +22,8% nel primo semestre 2016.

Questa riduzione del divario è spiegabile quasi interamente da una diminuzione del prezzo al netto di tasse e oneri: -26,5% tra I sem. 2011 e I sem. 2016, più che proporzionale rispetto a quanto intervenuto nell’Area Euro (-12,7%).

In sostanza, se nel I semestre del 2011, per la componente legata al prezzo della materia prima/servizio le piccole imprese italiane pagavano 114,5 €/MWh contro gli appena 92,9 dell’Area Euro (+23,3% di gap), dopo 5 anni (I sem. 2016) il differenziale è di appena il +3,8%: 84,2 €/MWh per l’Italia e 81,1 €/MWh per l’Area Euro.

Va anche detto che le piccole imprese italiane pagano l’energia elettrica molto più delle imprese grandi; questo divario è addirittura del 67,9% in più. Un gap molto elevato che comunque è in linea con la media dell’Area Euro

Secondo Renato Mason, Segretario della CGIA, “bisogna lavorare ancora sul fronte dell’energia elettrica in modo da contenere gli enormi costi sostenuti dalle piccole imprese. In un paese come il nostro dove le imprese con meno di 50 addetti rappresentano il 99,5% del totale delle imprese, danno lavoro al 67% degli addetti e producono il 52% del valore aggiunto, ci vorrebbero altri provvedimenti per abbassare il prezzo finale dell’elettrica come avvenuto nel 2014 con il decreto taglia-bollette, garantendo una vera competitività per il tessuto imprenditoriale italiano”.

Necessario anche favorire tutte le forme di incentivo per fare interventi di efficientamento energetico sul processo, evitando esborsi iniziali insostenibili per le imprese e tempi di ritorno degli investimenti molto brevi. Questo è utile anche per la loro competitività nel medio-lungo periodo.

Concludiamo con un dato fornito da CNA su elaborazione dei dati settoriali di consumi elettrici forniti Terna che ci dice che nel 2015 la domanda di energia elettrica delle imprese non agricole ammonta a 205,12 TWh, in salita dell’1,6% rispetto all’anno precedente, incremento che segue tre anni consecutivi di cali.

Il 51,3% della domanda elettrica delle imprese è determinata dal manifatturiero e un ulteriore 40,3% dai servizi vendibili. Seguono con il 7,5% le imprese di energia ed acqua e con un limitato 0,6% quelle delle costruzioni. Nel 2015 tra i maggiori settori la crescita dei consumi delle imprese è trainata dall’aumento del 4,4% della domanda nei servizi e dell’1,4% nell’energia e acqua, mentre si riduce dello 0,4% nel manifatturiero, il quarto annuo consecutivo di calo.

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