Oil & gas, clima e investitori: è allarme trasparenza

CATEGORIE:

Un report Carbon Disclosure Project mostra come le varie aziende del settore delle fonti fossili stiano affrontando il cambiamento in atto nel mondo dell'energia. Alcune si stanno adeguando più rapidamente, ma in generale resta un enorme problema di trasparenza che rischia di danneggiare anche gli investitori.

ADV
image_pdfimage_print

Le emissioni di CO2 dell’industria petrolifera e del gas pesano per circa il 50% del totale globale.

Chiaro che come le aziende di questo settore si muoveranno sarà fondamentale sia per la lotta al cambiamento climatico che per il futuro delle compagnie stesse.

Se non adegueranno per tempo le loro attività alla necessaria transizione energetica, le grandi dell’oil&gas da una parte renderanno molto più difficile il rallentamento del cambiamento climatico, dall’altra si ritroveranno con un volume preoccupante di stranded asset, cioè investimenti in riserve di idrocarburi impossibili da valorizzare per via delle politiche di contenimento delle emissioni.

È dunque importante vedere come queste imprese si stiano muovendo. L’osservatorio su business e decarbonizzazione, Carbon Disclosure Project  lo spiega con il nuovo reportIn the pipeline”  (executive summary in allegato in basso).

Lo studio analizza un raggruppamento significativo di aziende del settore oil & gas, che capitalizzano in totale 1.200 miliardi di dollari. Si conclude che nel comportamento dei grandi del settore c’è innanzitutto un grosso problema di trasparenza e che questo potrebbe danneggiare seriamente gli investitori, oltre che il clima.

Gli attuali modelli di business – si legge nello studio – continuano ad affidarsi in modo consistente alla scoperta e alla gestione delle riserve di idrocarburi. I tradizionali parametri di misurazione della performance aziendale e la loro interpretazione però sono “potenzialmente antiquati”, non tenendo conto del profilarsi di un picco futuro della domanda di petrolio, cioè del fatto che la transizione energetica imporrà di ridurne i consumi.

Gli investitori, inoltre, “potrebbero essere a rischio dal momento che le aziende sono ora obbligate a segnalare solo le riserve accertate, con una conoscenza limitata di come le stime siano sensibili alla volatilità dei prezzi petroliferi”.

Un monito di questo aspetto si è avuto con la batosta ricevuta da chi ha investito in riserve molto costose da estrarre come le sabbie bituminose: con i bassi prezzi del petrolio di questo ultimo periodo non sono ovviamente particolarmente redditizie.

La ricerca sottolinea che “l’assenza di dati affidabili sulle riserve probabili e possibili rappresenta una perdita significativa di informazioni preziose per gli investitori che cercano di confrontare il rischio del portafoglio delle attività all’interno delle aziende.”

Ma i punti critici per il settore rilevati dalla ricerca sono diversi. Vediamo di riassumerli schematicamente.

Futuro incerto: le grandi aziende di oil&gas devono prendere decisioni chiave a breve e a lungo termine per proteggere i loro modelli futuri di business, come ad esempio un riequilibrio del portafoglio negli anni a venire, una più ampia diversificazione o sulla gestione del declino nel corso dei prossimi decenni.

Normativa: l’industria del petrolio e del gas sarà influenzata da interventi normativi che interesseranno la domanda nei settori che essa rifornisce. Da tenere in considerazione ad esempio i limiti alle emissioni della flotta automobilistica, per quanto riguarda il petrolio, e target sulla riduzione della CO2 e carbon pricing per quanto concerne l’uso del gas nella produzione elettrica.

Efficienza operativa: rimane un problema nel settore, con le undici aziende dello studio che perdono in media il 6% della loro produzione di gas attraverso il gas flaring, lo sfiato e le fuoriuscite di metano.

Pacchetti di remunerazione dei dirigenti: sono attualmente molto usati per premiare le performance aziendali in merito ai livelli di produzione degli idrocarburi; attualmente solo cinque aziende hanno elencato parametri della performance legata al clima.

Acqua: il 40% del petrolio onshore e della produzione di gas è attualmente localizzato in aree di stress idrico medio o alto. Ciò nonostante, la divulgazione societaria rimane ancora indietro rispetto ad altri settori che affrontano rischi simili.

Detto questo, non tutte le compagnie esaminate sono esposte in maniera uguale ai rischi del cambiamento.

Nella classifica creata da CDP (vedi tabella sotto) quelle europee ottengono i migliori risultati rispetto a quelle americane per quanto riguarda il passaggio al gas, gli investimenti in tecnologie a basse emissioni e una più ampia governance sulla questione del clima e della strategia da adottare.

Come si vede, Statoil, Eni e Total sono le aziende più performanti dal punto di vista dei parametri relativi alle emissioni di carbonio in confronto alle altre. Suncor, ExxonMobil e Chevron si posizionano invece in coda.

“Su entrambi i versanti dell’Atlantico, comunque, le grandi aziende internazionali petrolifere e di gas hanno bisogno di vedere come si inseriscono in un sistema energetico in grado di raggiungere gli obiettivi climatici fissati nell’Accordo di Parigi”, commenta Tarek Soliman, Senior Analyst, Investor Research di CDP.

Quel che serve, innanzitutto per permettere agli investitori di tutelarsi, si consiglia, “è una migliore disciplina di mercato per assicurare a queste aziende il proprio posto in un futuro a basse emissioni di carbonio.”

ADV
×