Idroelettrico, a ciascuno le sue emissioni di gas serra

CATEGORIE:

Ogni anno sono miliardi le tonnellate di gas serra emesse dagli impianti idroelettrici a bacino, un impatto ancora sottovalutato e stimato nell’1,3% delle emissioni globali antropiche. La colpa? E' dei processi di decomposizione anaerobica di materia organica sommersa nei bacini.

ADV
image_pdfimage_print

Secondo un recente studio, l’1,3% delle emissioni globali antropiche deriva dai processi di decomposizione anaerobica della materia organica sommersa nei bacini idroelettrici.

Storicamente regina delle rinnovabili, quella idroelettrica è la più flessibile tra le fonti pulite e sicuramente svolge un ruolo importante nel mix energetico mondiale, giungendo a coprire oltre il 16% della produzione di energia elettrica del pianeta.

I vantaggi dell’energia idroelettrica includono l’affidabilità di una tecnologia ormai collaudata, una grande capacità di stoccaggio e costi di esercizio e di manutenzione molto bassi. Molte centrali, quando ben gestite, forniscono ulteriori servizi come il controllo dei fenomeni d’inondazione, la regolazione della rete irrigua, la navigazione fluviale e la fornitura di acqua dolce.

In verità, è ormai da molto che ci s’interroga in merito agli impatti ambientali, sociali e anche politici, degli impianti idroelettrici.

Di norma l’analisi degli impatti ambientali di uno sbarramento idraulico comprende l’esame dei danni arrecati alla biodiversità fluviale, i problemi causati dall’erosione dei pendii, la perdita di sedimenti trasportati dal corso d’acqua e bloccati dalla diga, fino alla valutazione delle possibili variazioni microclimatiche che si ripercuotono nelle zone circostanti (Vedi questo articolo di QualEnergia.it  sugli effetti socio-ambientali dell’idroelettrico).

Solo da qualche anno a questa parte si è iniziato a prendere in considerazione l’impatto climatico di un fenomeno strettamente relazionato alla presenza di invasi artificiali: l’emissione di gas serra dovuta alla fermentazione dei sedimenti presenti nelle acque del bacino.

Nella figura (clicca per ingrandire), ripresa da Bioscience, rivista scientifica dell’università di Oxford e relativa all’articolo “Greenhouse Gas Emissions from Reservoir Water Surfaces: A New Global Synthesis”, si indicano in alto le emissioni di metano, di anidride carbonica al centro e di protossido di azoto in basso.

Il principale gas a effetto serra che si forma sul fondo degli invasi è il metano: il processo chimico-fisico comprende infatti la decomposizione batterica di materiale organico in un ambiente povero d’ossigeno. Oltre al metano, il cui effetto serra è di circa 25 volte superiore a quello delle molecole di CO2, i prodotti della reazione sono come detto l’anidride carbonica e il protossido di azoto, altro potente gas climalterante.

Il fenomeno era già stato studiato nel 2011 da un gruppo di ricercatori coordinati dal brasiliano Nathan Barros e presentato su Nature Geoscience in cui si analizzavano i processi di emissione di anidride carbonica e di metano di 85 laghi artificiali costruiti in varie parti del mondo. Ma è di recente che si è incominciato a cogliere la portata del fenomeno.

Il problema è che – stando alle cifre riportate su BioScience (vedi articolo completo), gli impianti a diga emetterebbero circa il 25% in più di metano per unità di superficie rispetto a quanto stimato in precedenza. Per farsi un’idea, se si considerasse un orizzonte temporale di 100 anni, i laghi artificiali produrrebbero più metano di tutte le piantagioni di riso dell’intero pianeta.

Analizzando più di 250 dighe i ricercatori hanno infatti riconosciuto che le dighe emettono più metano rispetto ai laghi naturali e altre zone umide.

Lo studio citato contribuisce a diffondere una più profonda conoscenza dei fattori che influiscono sul processo di produzione di gas, dimostrando a esempio come la quantità di emissioni non dipenda solo dall’ubicazione o dall’età degli impianti, come suggerito da altre ricerche, ma anche dalla composizione della materia organica, dal livello di eutrofizzazione del bacino e dalla pressione esercitata dall’acqua.

La ricerca giunge quindi a proporre alcune strategie impiantistiche finalizzate a ridurre la produzione di metano. È importante ridurre in particolare l’afflusso di nutrienti, così da inibire l’eutrofizzazione del bacino.

Un sistema potrebbe essere situare gli impianti a monte dalle fonti di nutrienti di origine antropica, in particolare degli scarichi delle acque dei centri abitati, mentre altra semplice accortezza sarebbe quella di pulire regolarmente i fondali dei bacini.

Con l’attuale espansione dell’idroelettrico a bacino, i gas serra legati all’utilizzo di questa tecnologia non potranno che rappresentare una frazione ancora più vasta del totale delle emissioni.

Innanzitutto è necessario che globalmente venga adottata una più accurata contabilità delle emissioni ascrivibili a questa tecnologia per poter quindi giungere a una migliore gestione delle risorse idriche, oltre ad una più attenta ubicazione dei nuovi impianti e una migliore gestione di quelli già esistenti.

ADV
×