Un modello di mondo che va a fonti rinnovabili

Un modello chiamato "The global Internet of Energy", realizzato dal centro di ricerca Neo Carbon Energy, vuole dimostrare che delle fonti non rinnovabili per la produzione elettrica si potrebbe fare del tutto a meno, addirittura entro 15 anni. Una simulazione anche per l'Italia.

ADV
image_pdfimage_print

È da tempo che i ricercatori producono modelli di sistemi energetici per questa o quella nazione: ne abbiamo visti per l’Australia, gli Usa, l’Europa, l’Arabia e così via.

Ma come sarà e come funzionerà, complessivamente, il mondo energetico del futuro?

Per averne una prima idea basta raggiungere questa pagina internet e utilizzare il simulatore che ospita. Vedrete così come potrà funzionare, almeno per quanto riguarda l’energia elettrica, un mondo che ha abbandonato del tutto l’uso di combustibili fossili e nucleare, insomma ciò che fino a pochi decenni fa era definita una pura utopia.

Anzi, ancora oggi pensare a una Francia senza nucleare o a una Cina senza carbone pare un pio desiderio, eppure questo modello chiamato The global Internet of Energy, realizzato dall’economista Christian Breyer e dall’ingegnere Pasi Vainikka, della finlandese Lappeenranta University of Technology, membri del centro di ricerca Neo Carbon Energy, vuole dimostrare proprio questo: che delle risorse non rinnovabili per la produzione elettrica si potrebbe fare del tutto a meno, addirittura entro 15 anni.

«Sappiamo che l’ottimistica data del 2030, applicata al nostro modello, non è realistica. Era solo per segnalare al pubblico che, questa transizione non è fantascienza destinata a un lontano futuro», ci dice Breyer.

«Comunque bisogna anche aggiungere che non abbiamo provato a renderci le cose più facili, per esempio ipotizzando grandi riduzioni nei consumi grazie all’efficienza energetica: sappiamo che gran parte del mondo avrà bisogno di molta più energia per migliorare la propria condizione di vita, e che non sarà certo un’efficienza migliorata a poterlo evitare. Tanto più che nella nostra visione l’elettricità dovrà assumere un ruolo sempre maggiore anche in settori dove oggi è poco presente, come riscaldamento e trasporti».

Alla Neo Carbon Energy non contano neanche molto su certe risorse rinnovabili molto controverse, come le biomasse, o molto costose, come l’eolico offshore, relegate nel loro modello a un ruolo abbastanza marginale, mentre riconoscono che la comodità di uso degli idrocarburi è praticamente imbattibile, e che quindi questi continueranno ad avere un ruolo anche in futuro.

«Ma non gli idrocarburi fossili – precisa Breyer – bensì quelli che potremo produrre usando il power to gas, cioè l’impiego di elettricità o luce solare per far reagire il carbonio della CO2 nell’aria con l’idrogeno dell’acqua, e ottenere metano o idrocarburi liquidi. Già nel nostro modello globale, il power to gas è una delle principali forme di accumulo energetico, insieme a batterie e pompaggio idro, e la più adatta per l’accumulo di lungo termine».

Il cuore del concetto del The global Internet of Energy, come dice il nome stesso, è mutuare nel mondo dell’energia la struttura della rete, permettendo un veloce scambio di elettroni fra le varie regioni, invece di contare, come oggi, che ognuna di esse si produca tutta o quasi la propria energia.

Ovviamente a farla da padrona in questa visione sono sole e vento: in pratica ogni regione del mondo, a secondo del proprio clima, dovrebbe ospitare molte decine di GW di fotovoltaico e di turbine, talvolta, come nel caso delle regioni più ricche di risorse ma più spopolate, come il Sahara, sufficienti a produrre più volte quanto necessita localmente, per poter esportare il surplus.

Tramite computer di controllo e superlinee elettriche ad alta tensione e corrente continua, gli eccessi produttivi vengono indirizzati dove c’è carenza di energia, oppure, quando neanche l’esportazione è sufficiente, immagazzinati in batterie, pompaggio idro, aria compressa o trasformati in metano, che viene poi successivamente bruciato in centrali termiche nei momenti di “stanca” di sole e vento.

Tutto questo è visualizzato in modo abbastanza chiaro nel simulatore: andando su una regione del mondo, si vedono i centri di produzione-consumo indicato come dei cerchi rosso-verdi (quando la produzione supera i consumi il cerchio ha il centro rosso e l’esterno verde, se l’area produce meno di quanto consuma i colori si invertono), e le linee di interscambio dell’energia, di spessore proporzionale alla quantità, che si muovono dall’esportatore all’importatore.

Nella parte destra del simulatore si vede la potenza oraria in GW dell’area per un intero anno, divisa fonte per fonte: passando con il mouse sulle curve colorate sopra lo “0” si vedono i GW prodotti da ogni fonte, import compreso, mentre sotto lo zero viene indicato quanto di quella produzione è assorbito dalla domanda, quanto accumulato (e come) e quanto esportato.

Il modello matematico usato è pensato prima di tutto per minimizzare lo spreco di energie intermittenti.

Cliccando su supply sources la raffigurazione sulla carta geografica cambia da produzione/domanda e import/export, a grafico a torta delle fonti usate, purtroppo consultabile solo “a occhio” tramite i (molti) colori della legenda, e non quantitativamente passandoci sopra con il mouse. 

«Ovviamente la nostra è una simulazione ma rispecchia, per le varie regioni, le fonti e i potenziali di domanda, produzione e accumulo previsti al 2030, considerando costante l’attuale livello tecnologico e anche di uso dell’elettricità per i vari scopi. Quindi, per esempio, in questa simulazione non è stato ancora previsto un massiccio uso di auto elettriche o di pompe di calore. La prossima versione del modello del mondo a rinnovabili, però, simulerà tutti i settori energetici, riscaldamento e trasporti compresi», precisa Breyer

E per l’Italia?

Vediamo allora come immaginano i ricercatori finlandesi il sistema elettrico a rinnovabili 100% in un paese a caso: l’Italia.

Prendiamo i due momenti estremi per produzione e consumi, il solstizio di estate e di inverno.

La mezzanotte del 21 giugno, secondo la simulazione, la domanda di 23 GW sarebbe soddisfatta da 7 GW di idro, 6 GW di scarica da batterie, 4 GW di eolico onshore, 4 GW di biomasse, 2 GW di importazione (soprattutto da vento e idro dei Balcani).

Alle 12 del 21 giugno, invece i 50 GW di domanda sono più che soddisfatti da 75 GW di fotovoltaico (di cui 40 auto consumati dagli stessi produttori), 7 di idro, 1 di eolico. Dell’eccesso di produzione l’Italia esporta 9 GW (soprattutto verso il nord Europa), 14 GW ne pompa in bacini idro e 10 li stocca in batterie.

Più complessa la situazione in pieno inverno. A mezzanotte del 21 dicembre i 38 GW di domanda sono coperti da 14 GW di import (soprattutto da vento dalla Gran Bretagna attraverso la Francia), 3 GW di eolico, 6 di idro più 2 da recupero di acqua pompata, 2 di biomasse, 3 da biogas, 3 dalla scarica di batterie, 5 da turbine alimentate da power-gas.

A mezzogiorno la domanda sale invece a 68 GW (di cui però 14 sono per la carica di batterie e 13 per il pompaggio idro), soddisfatti da 14 GW di import (sempre dall’eolico del Nord Europa), 5 di turbine a power-gas,   6 da idro, 2 eolico, 16 di solare per la rete, 25 di solare autoconsumato (dev’essere una gran bella giornata quel 21 dicembre 2030!).

Insomma, come si vede, il modello usa assunzioni piuttosto estreme sulla quantità di eolico e solare da installare (in Italia almeno un centinaio di GW di FV, di cui la metà su tetti, con un certo ottimismo sulla sua capacità di produrre in inverno), oltre che su quantità stratosferiche di batterie in cui accumulare energia, per cui forse non ci sarebbero neanche abbastanza risorse minerarie.

«In realtà il modello non prevede poi neanche tante batterie destinate allo storage per la rete, in quanto noi immaginiamo che verranno destinate a questo uso anche quelle dei mezzi elettrici. È vero che forse di litio a basso costo per quello scopo non ce n’è forse abbastanza, ma la ricerca su altre batterie, per esempio all’alluminio, è effervescente».

Ma, a parte le controverse considerazioni su costi e possibilità materiale di installare così tante rinnovabili e sistemi di accumulo, come pensate che possa essere convinto il pubblico, soprattutto in paesi densamente popolati e “delicati” come l’Europa, a inondare i territori di pannelli, turbine e linee elettriche?

«In realtà nelle nostre simulazioni abbiamo inserito un limite di occupazione di suolo: 4% massimo, non proprio un grande invasione. E comunque crediamo che di fronte alla necessità di evitare una catastrofe climatica, un qualche sforzo massivo finanziario e industriale, e anche qualche “sacrificio estetico”, vada pur fatto».

Però la situazione dipinta dal vostro modello potrebbe in un certo senso essere “alleviata” aggiungendo un sistema di traffico internazionale di idrogeno o di idrocarburi di sintesi, prodotti dove ci sono enormi risorse da rinnovabili (per esempio i mari antartici per il vento o le coste del Sahara per il sole) e poca popolazione.

«È vero, è un fattore che crediamo anche noi diverrà importante in futuro, appena saranno messe a punto le necessarie tecnologie: scambiarsi prodotti energetici sintetizzati con le rinnovabili, usando buona parte delle infrastrutture già esistenti, potrebbe essere più conveniente di linee elettriche intercontinentali, e sicuramente ambientalmente meno rischioso che scambiarsi biomasse. Sicuramente, insieme ai dati su trasporti e riscaldamento, farà parte del nostro The global Internet of Energy 2.0».

ADV
×