La complicata sfida energetica dell’India tra carbone e rinnovabili

Domanda elettrica in costante crescita, emissioni di CO2 in aumento, sotto-elettrificazione di vaste regioni rurali: il colosso asiatico potrà risolvere una parte dei suoi problemi con le tecnologie rinnovabili. In programma 175 GW di potenza totale entro il 2022. Ma punterà ancora troppo sul carbone.

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L’India è diventata il terzo peso massimo dell’energia nel mondo, dopo Cina e Stati Uniti. Lo sviluppo economico e l’aumento della popolazione stanno premendo contro un sistema elettrico sempre più obsoleto, che rischia di collassare tra blackout, disservizi e infrastrutture inadeguate.

Come evidenzia Bloomberg New Energy Finance (BNEF) nel rapporto “Financing India’s Clean Energy Transition” (allegato in basso), il gigante asiatico ha tre sfide davanti a sé: produrre più energia, ridurre l’inquinamento atmosferico e garantire l’accesso all’elettricità a più di 300 milioni di persone che ne sono prive, soprattutto nelle zone rurali.

Nuova Delhi, infatti, ha predisposto un piano per arrivare a 175 GW di potenza installata nelle fonti rinnovabili nel 2022, con un incremento medio annuo del 26%; ora siamo a circa 40 GW di capacità cumulativa, vedi grafico sotto.

Oltre agli impianti più grandi utility-scale, l’India ha assegnato un ruolo fondamentale alla generazione distribuita delle piccole installazioni fotovoltaiche su tetto, che tra sei anni dovranno rappresentare un buon 40 GW di potenza. Decisiva per il successo di questo piano sarà anche la diffusione delle micro-reti e dei sistemi solari domestici (SHS, solar home systems), con cui elettrificare oltre 18.000 villaggi.

Il governo di Narendra Modi, inoltre, dovrebbe lanciare a breve un programma di sussidi e incentivi per creare una filiera industriale indiana di fabbricazione di moduli fotovoltaici (L’India è la nuova Cina del solare FV? Sfide e obiettivi delle rinnovabili in Asia).

Il problema è che l’India viaggia prevalentemente a combustibili fossili: il 70% del mix elettrico, secondo dati ufficiali del ministero dell’energia, è costituito da carbone, gas e petrolio. Il carbone è la fonte predominante con 187 GW di capacità installata, il 61% circa del totale.

Il 30% del mix è rinnovabile, equamente diviso tra il grande idroelettrico e le altre tecnologie pulite con circa 43-44 GW per parte. Il fotovoltaico, in particolare, è cresciuto moltissimo in termini percentuali negli ultimi quattro anni, +59% mediamente ogni dodici mesi, sfiorando 7 GW di potenza allacciata alla rete a marzo 2016, anche se al momento vale solo il 2% del mix complessivo di generazione.

Nel 2015, prosegue BNEF, gli investimenti totali nei grandi impianti verdi in India hanno superato dieci miliardi di dollari. Per raggiungere l’obiettivo di nuovi 135 GW di potenza al 2022 tra fotovoltaico utility-scale, eolico e biomasse – gli altri 40 GW saranno nel solare di taglia minore – serviranno investimenti aggiuntivi nell’ordine di cento miliardi di dollari.

Spostiamo ora l’attenzione sugli impianti solari FV su tetto. Il grafico sotto mostra una crescita molto rapida tra il 2013 e il 2016: +95% in media l’anno, che ha permesso di toccare 5-600 MW di capacità cumulativa, realizzata prevalentemente da utenze industriali e commerciali. Per centrare il bersaglio previsto nel 2022, osserva BNEF, il ritmo delle nuove installazioni dovrà accelerare a +108% circa.

Tuttavia, l’India continuerà a investire anche sul carbone, si legge nel rapporto di Bloomberg; il grafico sotto riassume la probabile (insostenibile) evoluzione del mix energetico del paese fino al 2040. La domanda elettrica, secondo le stime, avrà un picco di 5.000 TWh tra poco più di trent’anni, più del quadruplo dei consumi registrati nel 2015.

Nonostante il boom delle rinnovabili con 484 GW di potenza complessivamente installata (escluso il grande idroielettrico), il carbone avrà un peso molto rilevante. Tanto che le emissioni di CO2 da produzione elettrica aumenteranno a tre miliardi di tonnellate l’anno, come si vede dal grafico.

Sul carbone vale la pena spendere qualche altra osservazione, aiutandoci con il rapporto “Beyond coal” (allegato in basso) pubblicato da una serie di centri di ricerca e organizzazioni no-profit. Il succo dello studio è che questa fonte fossile non è affatto riuscita ad alleviare la povertà energetica nelle comunità rurali e, più in generale, nelle aree sprovviste di collegamenti alle principali linee elettriche.

Guardiamo la mappa sotto dell’India: nelle regioni dove c’è il maggior numero di centrali a carbone, si nota chiaramente, i tassi di elettrificazione sono tra i più bassi del paese. In molte zone ricche di impianti fossili soltanto il 40-70% delle case può accedere alla corrente. In alcune regioni le case elettrificate sono meno del 40% del totale.

In India c’è quindi un problema di eccessiva concentrazione degli impianti e sovraccapacità produttiva, a sua volta accentuata dalla mancanza di moderne infrastrutture di rete. Questo è un freno per le stesse fonti rinnovabili, perché senza linee di trasmissione e distribuzione efficienti – magari con sistemi di accumulo integrati – c’è il rischio di sprecare una buona parte dell’energia prodotta.

Nelle zone rurali, invece, la soluzione ottimale potrebbero essere le micro reti rinnovabili o ibride con generazione diesel di backup/emergenza (Mini-grid rinnovabili, costi in discesa e tecnologie sempre più evolute).

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