Il mondo prova a bandire i gas refrigeranti nocivi per il clima

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In Ruanda quasi 200 paesi hanno deciso di limitare molto gradualmente l’utilizzo degli idrofluorocarburi HFC comunemente contenuti in frigoriferi e condizionatori. Per l’ONU è un’intesa storica che contribuirà in modo decisivo a evitare il surriscaldamento terrestre. Quali alternative ai gas dannosi?

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Bandire progressivamente l’utilizzo dei gas refrigeranti dannosi per l’ambiente: è questo lo storico accordo raggiunto a Kigali, capitale del Ruanda, da quasi 200 Paesi nell’ambito di un summit delle Nazioni Unite per rivedere il vecchio protocollo di Montreal.

Stiamo parlando degli idrofluorocarburi (HFC, hydrofluorocarbons) comunemente impiegati in tutto il mondo in frigoriferi e impianti di raffrescamento/climatizzazione sia domestici sia commerciali.

Il loro impatto sui cambiamenti climatici può essere molto rilevante ed è per questo – si legge in una nota dell’ONU – che l’accordo rappresenta il maggiore singolo contributo stabilito finora dalla comunità internazionale per mantenere il surriscaldamento terrestre entro i due gradi centigradi.

Secondo le stime dell’UNEP (United Nations Environment Programme), senza gas HFC l’aumento delle temperature medie da qui alla fine del secolo potrebbe essere inferiore di circa mezzo grado rispetto a uno scenario business as usual.

Dall’ozono ai gas serra

L’intesa di Kigali è un emendamento al Protocollo di Montreal, approvato nel 1987 ed entrato in vigore due anni più tardi, che aveva proibito l’uso dei famigerati CFC (clorofluorocarburi) contenuti anche nelle bombolette spray, che stavano deteriorando lo scudo protettivo di ozono nell’atmosfera.

Tuttavia, mentre i nuovi gas HCFC e poi HFC, da una parte, avevano risolto l’incognita del buco nell’ozono con il suo passaggio di raggi ultravioletti, dall’altra quegli stessi gas stavano creando un altro problema.

Gli idrofluorocarburi, infatti, hanno un valore GWP (Global Warming Potential) molto consistente: non danneggiano l’ozono, ma il loro rilascio nell’atmosfera provoca un incremento sensibile dell’effetto serra, molto più di quanto faccia la stessa CO2, che è sempre stata al centro del dibattito mondiale sui cambiamenti climatici prima e dopo la Cop21.

Ad esempio, il valore GWP del gas HFC più comune (R134A) è pari a 1430 su un orizzonte di cento anni: significa che inquina 1430 volte più della CO2 emessa dai combustibili fossili.

I limiti dell’accordo

Va detto, però, che i tempi fissati nell’accordo ruandese sono molto lunghi. Le nazioni più sviluppate dovranno iniziare a eliminare i gas refrigeranti dannosi dal 2019, al contrario delle economie emergenti (la Cina rientra in questa definizione) che potranno seguire una linea molto più morbida.

In pratica, dovranno “congelare” i consumi di HFC tra il 2024 e il 2028 secondo le diverse aree geografiche, per poi bandire gradualmente gli idrofluorocarburi.

Evidente, quindi, il compromesso tra azione salva-clima e necessità di soddisfare le richieste delle economie meno industrializzate, soprattutto in Africa e Asia. In questi paesi sta infatti crescendo rapidamente il fabbisogno energetico per la climatizzazione degli edifici, a causa delle temperature medie stagionali elevate e della costante espansione della classe media nelle aree urbane.

Nel complesso, evidenzia l’UNEP, le emissioni nocive degli idrofluorocarburi stanno aumentando nell’ordine del 10% l’anno.

Quali alternative ai gas HFC

Quali alternative esistono ai gas HFC? Al momento, l’ONU parla in generale di investimenti addizionali pari a diversi miliardi di euro a livello mondiale per finanziare attività di ricerca e sviluppo. Nessuna cifra è stata concordata, né sappiamo quale sarà l’aiuto che i paesi più ricchi dovranno dare a quelli più poveri: se ne discuterà al prossimo vertice di Montreal nel 2017.

Bisognerà agire in due direzioni: da un lato, installare sistemi di refrigerazione e climatizzazione più efficienti, in grado di consumare sempre meno energia ed emettere meno gas serra nell’atmosfera. Dall’altro, sostituire gli idrofluorocarburi con altre sostanze chimiche meno impattanti sul clima.

Allora entriamo nel campo dei refrigeranti naturali (vedi questa guida di Greenpeace sul tema) tra cui, ad esempio: ammoniaca, acqua, idrocarburi, come isobutano e propano.

Entriamo anche nel campo di soluzioni come il solar cooling, il raffrescamento evaporativo, la produzione di energia frigorifera con la trigenerazione, cioè tutte quelle tecnologie che consentono di ottenere il freddo senza ricorrere a gas pericolosi per l’ambiente.

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