Tremonti Ambientale e controlli delle Entrate, una questione aperta

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I controlli sull'agevolazione fiscale sono sistematici e coinvolgono un numero importante di imprese. Ma c'è un difetto di legittimazione dell’Agenzia delle Entrate come controllore: la totale assenza delle competenze tecniche che è stata riconosciuta come motivo di annullamento.

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Riproponiamo per i nostri lettori questo articolo del 7 ottobre sui controlli dell’Agenzia delle Entrate riguardanti le agevolazioni della Tremonti Ambientale.

QualEnergia.it insieme allo Studio Magnani ha in programma per la fine di gennaio 2017 un workshop sul tema (della durata di metà giornata). Obiettivo è coinvolgere le imprese interessate ad affrontare tutti gli aspetti riguardanti la questione e le ultime novità in materia.

Pertanto chiediamo agli operatori concretamente interessati all’incontro di scriverci a: [email protected]

 

Da alcuni anni l’Agenzia delle Entrate ha intrapreso una serie di controlli delle posizioni fiscali delle imprese che hanno utilizzato l’agevolazione prevista dalla L. 388/00 art. 6, comma 13, procedendo a riprendere a tassazione gli importi relativi agli investimenti effettuati e agevolati, con conseguente richiesta delle imposte, suppostamente dovute e non pagate, oltre a relative sanzioni e interessi.

Ultimamente questa tipologia di controlli ha acquisito il carattere della sistematicità, coinvolgendo un numero decisamente importante di imprese.

Tale situazione è la manifestazione più evidente di come la suddetta norma di legge sia stata tanto importante quanto incompresa e disattesa, con il concreto rischio di un totale fallimento della stessa.

Nelle intenzioni del legislatore, infatti, e delle forze politiche che la sostenevano, tale normativa avrebbe dovuto rappresentare niente di meno che la riforma del sistema tributario a sostegno di uno sviluppo ecosostenibile.

Una prima macroscopica responsabilità sembra ascrivibile agli stessi organi istituzionali.

La l. 388 art. 6, commi da 13 a 19, cosiddetta Tremonti ambientale, la cui paternità e finalità istituzionale – come si desume dallo stesso testo di legge – va chiaramente ascritta al Ministero dello Sviluppo Economico, di concerto con il Ministero dell’Ambiente, il cui braccio operativo era stato individuato, dalla stessa normativa, nell’A.N.P.A. (Agenzia Nazionale Protezione Ambiente), è stata completamente abbandonata sia nelle fasi di chiarimenti e indirizzi interpretativi/normativi che di controllo, sia formale che di merito, all’Agenzia delle Entrate.

Quest’ultima, le cui finalità istituzionali sono diametralmente opposte a quelle del MiSE, si è trovata a dover gestire, quale unico interlocutore, una normativa estremamente scarna ed “essenziale” che coinvolgeva competenze professionali specialistiche diverse e complementari (dai tecnici ambientali agli esperti di contabilità ambientale) in assenza di un necessario ed esauriente regolamento di attuazione, senza, peraltro, che nessuna specifica attribuzione di potere in tal senso le venisse attribuito dalla norma in oggetto.

A monte di questa situazione di disordine istituzionale di ruoli e di competenze si può ravvisare una confusione concettuale nelle misure di incentivazione industriale tra il concetto di “tributo” ed il concetto di “contributo”.

La circostanza che una misura di incentivazione agli investimenti sia concessa sotto forma di risparmio di imposta non determina, infatti, necessariamente il sorgere di un rapporto di tipo tributario.

Occorre precisare che a fronte della mancanza del suddetto regolamento, che integrasse e sostanziasse le scarne e imprecise disposizioni di legge secondo le linee di politica economica per uno sviluppo sostenibile perseguite dai Ministeri competenti, è stata emanata un’unica circolare interpretativa – n. 1/E del 31.1.2001 – da parte dell’Ministero delle finanze, che nulla aggiungeva e chiariva dell’originale testo di legge.

Tranne un piccolo, forse involontario, inciso: la limitazione ai danni causati all’ambiente “dall’attività d’impresa”. Inciso del tutto gratuito e fuorviante che ha poi permesso o indotto gli uffici accertatori periferici di controllo a tentare maldestramente di escludere interi settori industriali dai benefici di legge.

Ci riferiamo in particolare all’intero settore della “green economy” e, in particolare, ai produttori professionali di energia da fonti rinnovabili.

La successiva prassi dell’A.E. in materia, (risoluzione n. 226/E del 11.07.2002, n. 95 del 25.07.2005 e n. 78/E del 05.08.2010) è stata prodotta in modo disorganico ed estemporaneo a fronte degli inevitabili interpelli proposti da contribuenti del tutto incerti a fronte di una normativa oscura e lacunosa.

In particolare l’ A.E., al fine di chiarire il criterio cardine di valutazione degli investimenti ambientali, il cosiddetto “approccio incrementale” imbocca maldestramente la strada interpretativa dell’adeguamento alla disciplina comunitaria, introducendo la decurtazione dei futuri risparmi di spesa dal costo agevolabile, sovrapponendo le due normative, e, di fatto, scardinando la struttura della legge 388/00 art. 6, c.13, senza peraltro giungere ad un modello quantitativo definito capace di determinare con certezza il contributo spettante.

Si può quindi notare come tutta l’attività interpretativa e di controllo sulla Tremonti ambientale poggi su presupposti giuridico/interpretativi estremamente fragili come dimostrato dalla più recente giurisprudenza di merito e dalla stessa evoluzione della normativa comunitaria.

Queste contestazioni dell’Agenzia delle Entrate, infatti, sono infondate perché basate non sul testo di legge ma esclusivamente su propri atti amministrativi, come ormai riconosciuto da numerose sentenze delle Commissioni Tributarie Provinciali e Regionali.

Ma al di là della legittimità o meno delle contestazioni vi è da chiedersi se l’Agenzia delle Entrate sia, ab origine, legittimata ad effettuare valutazioni di merito circa la riconducibilità di determinati cespiti alla categoria degli investimenti ambientali ex Tremonti Ambientale e la loro valorizzazione.

Il difetto di legittimazione dell’Agenzia delle Entrate trova puntuale conferma nella totale assenza, per sua natura, delle competenze tecniche in materia ambientale, necessarie a svolgere il controllo di merito sulla spettanza dell’agevolazione.

Tale mancanza è stata esplicitamente riconosciuta come motivo di annullamento di diversi avvisi di accertamento da varie Commissioni Tributarie di primo e secondo grado, secondo cui ogni valutazioni di merito deve essere ricondotta esclusivamente al Ministero dello Sviluppo Economico.

In conclusione, riteniamo non possano di certo essere fatte pagare alle imprese, che hanno utilizzato correttamente ed in buona fede l’agevolazione, le carenze normative e regolamentari di una legge che per finalità ed intenti avrebbe meritato sorte migliore.

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