Veicoli senza autista, le tante implicazioni di una probabile rivoluzione

All’inizio del prossimo decennio il servizio dell'auto senza guidatore sarà disponibile in diverse città. Una innovazione che potrebbe coinvolgere anche l'autotrasporto di merci. Ecco quali potrebbero essere gli effetti economici, sul traffico e sull'inquinamento. Ma anche quelli sull'occupazione. Un articolo di Gianni Silvestrini.

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Si parla sempre più sui media dell’auto senza guidatore. Le ultime notizie riguardano le due sperimentazioni di taxi a guida automatica, partite in parallelo a Singapore e a Pittsburgh.

Certo, si tratta di test con un’autista presente per ogni evenienza, ma l’accelerazione in atto fa prevedere che, all’inizio del prossimo decennio, questo servizio sarà disponibile in alcune città.

E fra un paio di decenni questa soluzione sarà molto diffusa, provocando impatti di enorme portata. Verranno infatti messi in discussione molti mondi, dall’industria dei trasporti ai colossi petroliferi, dai camionisti ai taxisti. Anche le città cambieranno.

Ma cos’ha di particolarmente eversivo questa tecnologia rispetto a molte altre che hanno cambiato le nostre abitudini?

Pensiamo a innovazioni come la lavabiancheria o l’ascensore. Hanno facilitato la vita delle persone riducendo il tempo dedicato al lavaggio o al raggiungimento dei piani alti dei palazzi. L’automobile ha favorito i nostri spostamenti fino a quando la saturazione delle strade ha rimesso in discussione la sua efficacia.

Queste tecnologie hanno svolto un rilevante ruolo sociale. L’ascensore e l’auto, ad esempio, hanno favorito la crescita delle città in altezza e in ampiezza.

Anche l’auto senza guidatore, la cui diffusione sarà con ogni probabilità inarrestabile, avrà notevoli impatti sulla società, sul mondo delle imprese, su quello del lavoro, sulle nostre abitudini, sulla mobilità, sull’urbanistica …

Ma, prima di analizzare i settori che verranno rimessi in discussione e quelli che vedranno nuovi spazi, è bene sottolineare la principale ricaduta: quella di rendere praticabile la separazione su larga scala tra la proprietà e l’uso dell’auto.

È noto che gli autoveicoli sono utilizzati solo per il 5-10% del tempo e rappresentano quindi un’enorme ricchezza sottoutilizzata. Si stima che il passaggio ad un servizio di mobilità basato sull’auto autonoma utilizzata da più persone nell’arco della giornata potrebbe portare ad un dimezzamento dei veicoli in circolazione.

Per spiegare come si arriverà a questo risultato bisogna mettere a fuoco due altre trasformazioni che stanno cambiando il volto della mobilità. Parliamo della diffusione del car sharing, con 7 milioni di utilizzatori in rapida crescita, e della mobilità elettrica destinata nei prossimi anni a conquistare fette importanti di mercato grazie alla riduzione dei prezzi delle batterie. 

Il salto di qualità avverrà con la sinergia tra queste due novità, una sul fronte gestionale e l’altra su quello tecnologico, resa possibile dall’arrivo di una terza innovazione, ancora più impattante, quella dell’auto autonoma.  

Il car sharing elettrico, che pure è disponibile in diverse città, pensiamo al successo di Autolib a Parigi, rende problematico l’approccio “free floating” che consente di lasciare e prendere la macchina in qualsiasi parcheggio. In Germania, ad esempio, il car sharing tradizionale che coinvolge 430.000 cittadini è stato rapidamente superato dal servizio free floating che ha raggiunto 660.000 utenti.

Immaginiamo un gestore, tipo Uber, dotato di una flotta di auto elettriche senza guidatore in grado di ottimizzare la ricarica dei veicoli in funzione del livello delle batterie e delle richieste di un grande numero di clienti. Questo è il futuro immaginato da gruppi come Uber e Lyft per poter ridurre i prezzi ed essere più competitivi.

Al momento, una corsa risulta da due a tre volte più cara rispetto alla stessa effettuata con la propria auto. Con il passaggio all’auto autonoma si eliminerebbe il costo del guidatore, oltre la metà del prezzo per il passaggio, e l’esborso diverrebbe paragonabile o inferiore a quello dell’auto di proprietà.

E che fine faranno i guidatori che attualmente fanno riferimento ad Uber? Gli scenari che si aprono devono preoccuparli non poco se a New York sono già partite le prime proteste del sindacato degli autisti.

Questa ricaduta è solo uno delle tante che potrebbero colpire il fronte occupazionale sul medio e lungo periodo.

Pensiamo all’autotrasporto delle merci che negli Usa vede impiegati 3,5 milioni di autisti, di cui 1,6 milioni impegnati a guidare sulla rete autostradale. Secondo una valutazione di Morgan Stanley il passaggio alla guida autonoma dei camion consentirebbe risparmi pari a 168 miliardi $/anno ed eviterebbe larga parte dei 3.900 morti e 100.000 feriti che annualmente si registrano per gli incidenti connessi con l’autotrasporto negli Stati Uniti. Ma molti posti di lavoro sarebbero a rischio.

Ovviamente l’automazione dei camion, più vicina rispetto alla più complessa guida autonoma nelle città, preoccupa molto i camionisti e non solo. In effetti gli impatti economici sarebbero ampli, coinvolgendo anche altri impieghi, pensiamo ai punti di ristoro, connessi con questa attività. Possiamo dunque immaginare una resistenza ben più agguerrita rispetto a quella dei taxisti nei confronti di Uber.

Va comunque detto che, anche se già sono state fatte sia in Europa che negli Usa le prima prove di camion a guida autonoma, la loro diffusione richiederà del tempo. Ma entro un decennio è possibile che, superati gli ostacoli tecnologici e regolatori, questa soluzione veda una rapida estensione.

Anche in ambito urbano sono partite le prime sperimentazioni: Uber e nuTonomy fanno circolare taxi a guida autonoma, seppure con un guidatore presente, per raccogliere dati. Molte case, ad iniziare da Ford, dichiarano di voler mettere in vendita regolarmente queste auto nel 2025. E poi ci sono gli outsider, Tesla, Uber, BYd, Apple, Google, fortemente interessati a questo futuro, ma ancora incerti sulla strategia vincente: cercare alleati, sfondare da soli?

Quale sarà l’impatto nelle città? Dipenderà dalle modalità con cui questa tecnologia si diffonderà. È probabile che ci saranno ricchi appassionati che acquisteranno i primi modelli, come è successo con Tesla. Ma la parte del leone la faranno dei gestori della mobilità, come Uber, che si candidano a fornire un servizio su larga scala con taxi singoli e collettivi. 

Quest’ultima soluzione, resa possibile dalla diffusione del digitale, sarà essenziale nella riduzione del numero di mezzi su strada. Il trasporto pubblico uscirà trasformato da questa concorrenza. Potrebbe vedere un declino, ma anche un rilancio candidandosi ad un uso combinato di linee forti, tram e metro, con mezzi senza guidatore in grado di portare alle fermate gli utenti “just in time”.

Il risultato potrebbe essere quello di centri urbani molto meno inquinati, visto che parliamo di veicoli elettrici, meno congestionati, con aree stradali “liberate” e larga parte dei parcheggi diventati inutili. Quindi nuovi spazi per piste ciclabili – le bici saranno più sicure – e per il verde urbano. 

Se leggiamo queste evoluzioni alla luce dei cambiamenti climatici, che nel frattempo avranno accelerato i loro impatti, ne traiamo una valutazione molto positiva.  Drastica riduzione delle emissioni di anidride carbonica e aumento delle aree verdi utili per mitigare l’effetto delle ondate di calore.

Ampliando l’analisi ai vari comparti produttivi gli sconvolgimenti potrebbero essere anche maggiori.

Secondo il Rocky Mountain Institute i consumi di benzina negli Usa potrebbero infatti ridursi di un terzo nel 2030 grazie alla rapida diffusione dell’auto autonoma.   

Più in generale, dobbiamo aspettarci che il picco della domanda di petrolio si avvicinerà rapidamente e che le vendite della auto caleranno: due grandi settori, le multinazionali automobilistiche e quelle petrolifere, vedono un futuro incerto e rischioso. Ma anche in questo caso i front runners potranno godere di vantaggi competitivi. Così il Regno Unito che si è mosso per tempo in questo settore potrebbe, secondo una valutazione di KPMG, vedere 320.000 nuovi posti di lavoro di cui 25.000 nella manifattura delle auto nel 2030.

La riflessione potrebbe continuare su molti versanti, ad iniziare dalle possibili controindicazioni. La disponibilità delle auto autonome potrebbe indurre ad aumentare gli spostamenti, incrementare lo sprawl urbano.

Ci sono poi gli aspetti etici da considerare. Come deve reagire il software che gestisce l’auto: investire dei pedoni sui bordi della strada o mettere a rischio l’incolumità dei passeggeri?  E più in generale, quale sarà l’accettabilità di questa soluzione? Non c’è il pericolo di disumanizzare i rapporti sociali?

È importante iniziare da subito a valutare sia le grandi potenzialità di questa soluzione che a considerare criticamente i possibili impatti. Sapendo che la sua diffusione sarà ineluttabile e probabilmente più rapida di quanto possiamo immaginare.

L’articolo sarà pubblicato anche su GSA – Giornale dei servizi ambientali – Igiene urbana, supplemento N. 4/2016

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