Il governo “ratifica” l’accordo di Parigi. E intanto ci dice che il gas ci salverà

Il Consiglio dei Ministri dà il via libera al disegno di legge di ratifica ed esecuzione dell’Accordo di Parigi. Nello stesso giorno ministro e viceministro del MiSE ci raccontano però che dobbiamo spingere con la ricerca degli idrocarburi e far diventare il nostro paese un hub del gas.

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Il Consiglio dei Ministri ha approvato oggi, in extremis, il disegno di legge di ratifica ed esecuzione dell’Accordo di Parigi.

In questi mesi il nostro governo aveva tentato di ritardare in diversi momenti la ratifica della UE accampando scuse come la maggiore “equità” nella spartizione degli impegni tra i Paesi” (in soldoni: “non vogliamo impegnarci di più nella riduzione la CO2”).

E mentre si accoda al club dei Paesi che hanno ratificato l’accordo sul clima, nella stessa giornata riemerge il volto “fossile” del nostro esecutivo, almeno stando alle dichiarazioni del Ministro Carlo Calenda e della sua vice Teresa Bellanova.

La seconda ha dichiarato che presto ci sarà un accordo con la Regione Emilia Romagna per riprendere le attività di estrazione in mare.

La vice ministra, a Piacenza in occasione di Geofluid, la Mostra sulle Tecnologie e Attrezzature per la ricerca, l’estrazione e il trasporto dei servizi sotterranei, ha parlato dell’eccellenza rappresentata da questo territorio per il settore degli idrocarburi, “un patrimonio per l’intero Paese di competenze, professionalità, specializzazione”.

Per la viceministra innovazione e sviluppo sono dunque da rintracciare nella produzione nazionale di idrocarburi, rammaricandosi poi che oggi, probabilmente riferendosi al gas naturale, soddisfano appena il 10% del fabbisogno del paese. Forse perché non ce n’è così tanto?

L’aspetto paradossale, e demoralizzante al tempo stesso, è che in maniera disinvolta ha associato la ripresa della ricerca di idrocarburi al necessario processo di decarbonizzazione del paese.  

Ci risiamo. Ancora con questa sorpassata idea che il gas sia la “fonte ponte” per passare a quelle che chiama, con un linguaggio anni ’80, le fonti alternative.

Per la dottoressa Bellanova queste saranno sicuramente il futuro, afferma (una frase buona per tutte le stagioni). D’accordo, ma sappiamo che un forte impulso dato al gas naturale non aiuterà certo né la riduzione delle emissioni né favorirà l’accelerazione di una vera transizione energetica che deve comunque essere attuata con tempi rapidi, se vuole essere tale.

Abbiamo ancora tutto questo tempo, anche alla luce degli accordi appena ratificati?

Se la vice ministra, lamenta il rischio di peggioramento della bilancia dei pagamenti e della perdita di occupati in un settore in declino come quello dell’estrazione di gas e petrolio, potrebbe, da decision maker, creare, insieme al suo ministro Calenda, le condizioni legislative e politiche di breve, medio e lungo periodo per dare forza, invece di ostacolarli, agli investimenti in rinnovabili, efficienza e trasporto privato e pubblico elettrico. Ma non domani. Oggi. Arriverebbero sicuramente benefici per la bilancia dei pagamenti e per l’occupazione.

Puntare sul gas resta una tattica dilatoria. Ma il ministro Calenda ci dice oggi, che il governo “vuole dare un ruolo sempre più centrale all’Italia come hub del gas”. Se può dare una mano nel settore del trasporto va anche bene, ma non per gli altri impieghi, che sappiamo sono in caduta libera da anni.

Non serve raccontarci che il gas è il rimedio al pericolo sanitario e climatico del carbone. La scusa non regge più. Il governo guardi invece all’Italia come ad un paese che deve innovare, fare ricerca e orientare la sua industria nella direzione di quello che dovremmo consumare e produrre tra 15 o 20 anni, sfruttando fonti veramente pulite e cambiando radicalmente il nostro mix energetico. E ricordiamoci pure che la generazione nazionale da rinnovabili in questa fase sta persino regredendo.

La nuova Strategia Energetica Nazionale, che Calenda presenterà in concomitanza con il G7 Energia ad aprile in Italia, parte con il piede sbagliato. Già si parla di nuove infrastrutture come gasdotti o rigassificatori per accogliere il gas dall’estero. Infrastrutture che per essere ammortizzate richiederanno decenni.

Eccola pronta allora un’altra ottima scusa per ritardare il taglio dei consumi energetici e gli investimenti in efficienza e rinnovabili.

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