Un ponte per aggirare lo stretto… sguardo innovativo del governo

Un paese in difficoltà come l’Italia dovrebbe saper investire nei settori più promettenti: industrializzazione della riqualificazione edilizia, mobilità elettrica o storage, anticipando anche i cambiamenti in arrivo. Ma per fare queste scelte serve una visione che non c'è. L'editoriale di Gianni Silvestrini.

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Per un paese in difficoltà come l’Italia è importante catturare le occasioni che si presentano, anticipare i cambiamenti in arrivo e indirizzare gli investimenti nei settori più promettenti. Evitando, al tempo stesso, di disperdere energie e risorse, nell’annunciare o, peggio ancora, realizzare grandi opere spesso inutili.

Un esercizio che sarebbe anche agevolato da alcune decisioni internazionali che indicano con chiarezza evoluzioni future come quelle legate al riscaldamento del pianeta e all’economia circolare.

In particolare, gli impegni climatici sono quanto mai attuali, vista l’accelerazione in atto che dovrebbe consentire di avviare l’Accordo di Parigi già nel 2016 (per il Protocollo di Kyoto ci vollero ben sette anni, malgrado esso coinvolgesse solo i paesi industrializzati).

Nelle scorse settimane è stata indicata la percentuale di riduzione al 2030 delle emissioni per l’Italia nei settori non ETS. Uno sforzo non banale: dovremo infatti fare funzionare i trasporti, l’edilizia, le piccole e medie imprese, l’agricoltura con emissioni climalteranti inferiori di un terzo rispetto a quelle attuali.

Un obiettivo di riduzione che, peraltro, potrebbe essere alzato, dopo che nel 2018 l’IPCC avrà pubblicato il rapporto sugli scenari emissivi in grado di contenere l’incremento di temperatura a 1,5 °C.

Insomma, un’impresa sfidante e per niente scontata che dovrebbe comportare un piano nazionale con obiettivi, tempistiche, strumenti, così come stanno facendo altri paesi, dagli Usa alla Cina, dalla Germania alla Svezia. 

Da noi non si vede niente di tutto questo. Non solo, ma quando vengono predisposti nuovi strumenti, succede che non vengono utilizzati in maniera efficace.

Prendiamo il caso di Industria 4.0, un programma volto a favorire l’utilizzo delle opportunità del digitale da parte delle imprese. Pur arrivando in ritardo rispetto ad altri paesi, si tratta di uno strumento che potrebbe svolgere un’utile azione di stimolo. 

Peccato che si teorizzi una sua “neutralità”, abdicando ad ogni ruolo di indirizzo. Sarebbe stato invece importante indicare dei filoni prioritari su cui concentrare l’attenzione.

Pensiamo a settori che vedranno un notevole sviluppo e rispetto ai quali sarebbe opportuno far crescere una nostra presenza. È quello che del resto fanno gli Usa con i programmi Sunshot sul fotovoltaico, o quelli per lo sviluppo della “driverless car”; e così opera la Germania, ad esempio nell’affrontare il tema strategico dell’accumulo a breve e lungo termine nell’ambito della Energiewende.

Noi no, siamo neutrali, e così rischiamo di farci sfuggire sotto il naso la possibilità di inserirci in aree di intervento che avranno un grande sviluppo e che aiuteranno a vincere le sfide che dobbiamo affrontare. 

Pensiamo, ad esempio, alle nuove opportunità offerte dall’industrializzazione della riqualificazione edilizia, alla mobilità elettrica, ai sistemi di accumulo, eccetera. Tutti filoni innovativi rispetto ai quali occorrerebbe promuovere alleanze in una logica europea e sollecitare l’impegno delle nostre imprese.

Ma per fare delle scelte occorre avere una visione. E proprio questa è quella che manca.

E quando traspaiono delle scelte “forti”, queste fanno cadere le braccia, come nel caso del Ponte sullo Stretto.

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