Decarbonizzare i trasporti in Italia: le scelte della politica e dei cittadini

Anche in Italia arrivano i primi segnali di novità nelle scelte politiche per la mobilità. Ma ci si scontra con la ripresa della vendita di automobili, la crisi del trasporto pubblico e il basso prezzo dei carburanti. E le emissioni crescono. Una panoramica di Anna Donati.

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Anche in Italia ci sono segnali interessanti che qualcosa sta cambiando sulle scelte politiche per la mobilità.

Segnali incoraggianti per il futuro che devono fare i conti con la dura realtà del presente; la ripresa della vendita di automobili, la crisi persistente del trasporto pubblico, l’incremento, nel 2015, del 3,6% del traffico autostradale rispetto al 2014, il prezzo basso dei carburanti fossili, la crescita, stimata da Ispra, del 2% delle emissioni di CO2 nel 2015, di cui una quota è certamente legata al traffico su strada.

Siamo ancora lontani dai livelli di traffico pre crisi, ma è evidente il limite di una strategia che ha fatto ben poco per la mobilità sostenibile e che ha ridotto le emissioni di CO2 nel settore a causa della crisi economica e della riduzione degli spostamenti.

Con il rischio che, se la crisi sarà superata, non avendo fatto qualcosa di strutturale ed adeguato si ritorni all’aumento del traffico, dei gas serra, delle emissioni inquinanti e della congestione. Per questo sono in campo idee nuove, si è avviata la sharing mobility, si parla molto di veicoli elettrici, la bicicletta sembra essere tornata da protagonista, la cura del ferro per merci e passeggeri è un obiettivo di nuovo attuale e anche il trasporto collettivo su gomma progetta nuove soluzioni elettriche.

Avvertenze utili

Il peso delle emissioni di CO2 nei trasporti in Italia e in Europa è pari rispettivamente al 26% ed al 25% del totale. Per questo, l’Unione Europea ha indicato rilevanti obiettivi per “Decarbonizzare i trasporti: avoid, shift, improve” e per l’estate 2016 è atteso un pacchetto di ulteriori misure.

Risparmiare traffico, puntare sul riequilibrio modale verso modalità a basso impatto, migliorare le tecnologie e l’efficienza dei veicoli, sono le parole d’ordine dei Piani europei. Secondo la UE l’obiettivo nei trasporti al 2030 è di ridurre le emissioni di gas serra del 30% rispetto al 2005. Al 2050 è del 60% rispetto al 1990. Sono da aggiornare dopo l’accordo di Parigi Cop 21, che implica obiettivi più sfidanti e tempi più rapidi di riduzione. Per Il Libro Bianco dei Trasporti 2011 in ambito urbano serve:

  • dimezzare entro il 2030 l’uso delle autovetture nelle città “alimentate con carburanti tradizionali”
  • eliminarle completamente entro il 2050
  • una logistica urbana per le merci a zero emissioni di CO2 entro il 2030.

Le automobili hanno ridotto in modo significativo i consumi unitari e le emissioni inquinanti, ma l’uso esteso rende ancora problematica la qualità dell’aria nelle città come indicano i superamenti dei limiti persistenti in Italia. Secondo l’Ispra circa il 50% di emissioni inquinanti deriva dal traffico veicolare. In Italia abbiamo un parco veicolare vecchio con emissioni più elevate. Circa il 50% dei veicoli è Euro 1, 2, 3.

Va poi sottolineato che la riduzione delle emissioni (caso Volkswagen) è soggetta a controlli di laboratorio e la differenza rispetto alla strada è significativa (cfr la ricerca di T&E che documenta un 31% di scarto).

Anche nel trasporto pubblico gli autobus sono vetusti; una media di undici anni contro i sette anni della media europea. Il 30% degli autobus è Euro 2 e il 29% è euro 3.

Le risorse per il Tpl sono state ridotte da 6.2 miliardi a 4.8 miliardi dal 2010 al 2015 di contributi. Ci sono anche buone notizie come la realizzazione di 55 km di nuove reti tramviarie negli ultimi quindici anni ma rimane uno spread di -68% rispetto al resto dell’Europa. Analogo ragionamento riguarda l’estensione delle reti metropolitane realizzate in alcune città italiane, con un deficit a confronto dell’Europa di -58%. Sono stati realizzati anche investimenti e servizi ferroviari metropolitani, ma rispetto a quanto programmato siamo al 40% di realizzato.

In quest’ambito c’è una domanda significativa a causa dell’ampliamento delle città, dei nuovi quartieri e delle percorrenze che sono aumentate rispetto ai servizi di trasporto collettivo scarseggiano. In Italia, l’utilizzo della bicicletta dovrebbe essere promosso e incoraggiato rispetto al misero 3,3% odierno: basti pensare che ben il 46% di chi si sposta non percorre più di 5 km; camminare e muoversi in bicicletta sono una ottima soluzione per lo spostamento.

Pianificare trasporti e logisticaMa qualcosa di nuovo si affaccia. Ha cambiato pelle – almeno a parole – l’Allegato Infrastrutture al Def 2016 presentato dal Governo. Non più il solito Piano di Infrastrutture Strategiche (Pis) previsto dalla Legge Obiettivo, ma un documento di “Strategie per le infrastrutture di trasporto e logistica” che configura la nuova politica del ministro Graziano Delrio per la mobilità e le reti.

Il documento è coerente con i contenuti del nuovo Codice Appalti che cancella le semplificazioni della Legge Obiettivo 443 del 2001 del governo Berlusconi. Si torna a un unico regime ordinario di regole per realizzare le opere, la programmazione delle infrastrutture viene demandata a due strumenti fondamentali:

  • Il Piano Generale dei Trasporti e della Logistica che deve indicare le politiche, gli obiettivi e gli strumenti, che motivano la scelta delle opere, da aggiornare ogni tre anni;
  • Il Documento Pluriennale di programmazione (Dpp) che deve integrare tutti i programmi esistenti nelle opere pubbliche – Rfi, Anas, Porti, Aeroporti, reti urbane, Concessionarie Autostradali – con coerenza e visti in modo integrato.

A questi strumenti si aggiunge la project review, per rivedere le opere non ancora avviate ma già decise con le procedure della legge obiettivo, che sarebbero ben 165 opere per un costo complessivo di 145 miliardi. L’Allegato, con le analisi sulla mobilità e le infrastrutture, è già la premessa ad un nuovo “Piano Generale dei Trasporti e della Logistica” con un quadro organico degli obiettivi, delle strategie, delle azioni intraprese e da intraprendere.

Analizza il contesto italiano con i punti di forza e di punti di debolezza, tra cui le scarse risorse investite per la manutenzione, la ripartizione disomogenea di infrastrutture e servizi sul territorio nazionale, lo squilibro modale a favore della modalità stradale. Nel secondo capitolo vengono indicati quattro obiettivi prioritari della strategia per le infrastrutture e di trasporti:

  • L’accessibilità ai territori all’Europa e al Mediterraneo
  • La qualità della vita e competitività delle aree urbane
  • la mobilità sostenibile e sicura
  • il sostegno alle politiche industriali di filiera

Per l’accessibilità viene indicato un obiettivo, un target: il 30% della popolazione dovrà essere servita dall’Alta velocità entro il 2030, e un massimo di due ore per accedere a porti ed aeroporti. Molto significativo e opportuno per le aree urbane e metropolitane il target di mobilità sostenibile entro il 2030: la ripartizione modale della mobilità urbana dovrà raggiungere il 40% di trasporto pubblico, il 10% di mobilità ciclopedonale e si dovrà incrementare con un + 20% i km di tram/metro per abitante.

Obiettivi sfidanti e necessari per garantire accessibilità, vivibilità nelle città e riduzione dei gas serra, che qualificano in senso innovativo la strategia del Ministro Delrio sulla mobilità urbana. Ma i tempi al 2030 per riportare sotto il 50% gli spostamenti quotidiani in auto sono troppo lunghi e vanno abbreviati.

Le linee d’azione puntano all’integrazione modale, alla cura del ferro, allo sviluppo urbano sostenibile, alla crescita della portualità e della logistica, al riequilibro modale, favorire l’uso degli Its, ad incrementare la manutenzione delle reti e la valorizzazione del patrimonio esistente, il potenziamento tecnologico delle infrastrutture. Tra gli strumenti non viene mai richiamata la Vas, la Valutazione Ambientale Strategica che accompagna i processi di elaborazione, partecipazione e valutazione dei piani e programmi, ormai obbligatoria.

Cosi come riteniamo che tra gli obiettivi di sostenibilità dovrà esserci la riduzione dei gas serra e delle emissioni inquinanti secondo gli impegni assunti in sede europea e con gli accordi Cop 21 di Parigi. Positivo quindi che si torni a ragionare di pianificazione, di programmazione, di qualità dei progetti, con una critica esplicita alle semplificazioni e alle liste della Legge Obiettivo, da sostituire con “investimenti realmente utili al Paese” per offrire servizi di trasporto capaci di soddisfare i bisogni di mobilità ed accessibilità del paese.

Il documento contiene in Appendice anche la “lista delle 25 opere prioritarie” – già in corso di realizzazione, approvate o in progetto secondo le procedure della Legge Obiettivo già indicate nel Def 2015 dal ministero – che vanno avanti mentre dovrebbero essere verificate e riviste secondo i criteri di utilità pubblica e analisi costi/benefici indicati dallo stesso documento.

C’è quindi una vistosa contraddizione tra i buoni princìpi e la realtà delle grandi opere in corso.Strategia del governo e novità dalle cittàUn primo esito di questo cambiamento di strategia politica può essere letto nel Contratto di Programma Stato-Rfi sugli investimenti ferroviari con l’addendum 2015, che ha sbloccato 8,9 miliardi di fondi: crescono le risorse per il trasporto regionale, per il trasporto merci e la rete ordinaria (che raggiungono circa la metà del fondo), mentre quelle per l’alta velocità restano stabili. Anche la nuova missione delle Ferrovie dello Stato è di migliorare e far crescere il trasporto pendolari e il trasporto merci.

Nella Legge di Stabilità 2016 sono state destinate risorse per incentivare il trasporto marittimo (marebonus) e il trasporto intermodale ferroviario (ferrobonus) per il rilancio della portualità e ridurre il trasporto su gomma delle merci, che oggi domina il mercato.

Sbloccati anche i 350 milioni destinati ai nuovi autobus, ma sono decisamente insufficienti – denuncia Asstra – a svecchiare il parco mezzi: per abbassare l’età e mantenerla nel tempo servirebbe un investimento annuo di 920 milioni ogni anno di cui circa 500 a carico dello Stato; questo sarebbe un modo concreto per puntare sulla mobilità elettrica anche nel trasporto collettivo, che ha bisogno di veicoli innovativi e di confort per gli utenti.

Sempre nella Legge di Stabilità, le risorse dedicate nel triennio alla mobilità ciclistica per le città e le ciclovie turistiche sono circa 90 milioni di euro, mentre nel Collegato Ambientale circa 35 milioni sono destinati agli spostamenti casa-lavoro e casa scuola con l’uso della bicicletta, del pedibus, dei percorsi pedonali, che dovranno essere realizzati e coofinanziati dalle città.

La nuova gestione Anas punta sulla manutenzione della rete esistente, con investimenti e adeguamenti, abbandonando vecchi progetti faraonici come l’Autostrada Orte-Mestre di 400 km. Anche qui, lentamente, la valorizzazione e l’adeguamento tecnologico della rete esistente, stanno diventando le parole chiave della nuova politica delle reti stradali, mentre purtroppo questo cambio di passo non è avvenuto per gli investimenti delle concessionarie autostradali, ancora tutti in corsa.

Ma è dalle città che sono già arrivate negli ultimi anni importanti innovazioni con la sharing mobility, e il passaggio fondamentale dal possesso del veicolo al servizio: un cambio dovuto sia alla rivoluzione digitale ma anche una diversa cultura della condivisione che si sta affermando in particolare nei giovani.

A Milano e Roma, in due anni, vi sono 450mila iscritti ai servizi di car sharing. Blablacar è la piattaforma di car pooling più utilizzata per i passaggi da città a città. In crescita il car pooling aziendale come JoJob che coinvolge 50mila lavoratori e 43 aziende. Oltre al bike sharing l’ultima novità è lo scooter sharing.

Queste forme di condivisione dei veicoli e dei servizi vanno incentivate e sostenute. Sono in sperimentazione nuove forme di servizi come il car pooling urbano, innovazioni del servizio taxi per semplificare ricerca e pagamento, il noleggio auto davvero “easy” proposto dalle tradizionali aziende di noleggio.

Di recente è arrivata nelle città la logistica a pedali, che per le consegne di ridotte dimensioni delle merci (tipiche dell’e-commerce) è una soluzione appropriata. Anche nel sistema delle consegne a casa vi sono delle innovazioni e delle novità, come IoRitiro (presso bar e punti vendita), e la Packstation, presso stazioni della rete ferroviaria e metropolitana.

L’auto del futuro è oggetto di forti ricerche ed investimenti per arrivare all’auto senza guidatore, connessa e sicura, come dimostra il recente accordo di Fca con Google. Ci sono segnali promettenti dove l’aspettativa è avere un’auto elettrica, senza guidatore, sicura, ad energia rinnovabile, da utilizzare in sharing. In Italia – a parte gli incentivi per i punti di ricarica – manca un piano strategico di lungo periodo per lo sviluppo del veicolo elettrico, come è stato adottato in Norvegia.

Di recente il governo ha messo al lavoro un gruppo di studio per elaborare un piano di sviluppo della mobilità elettrica del valore complessivo di 500 milioni. Vedremo se a questi annunci seguiranno fatti concreti.

Infine sono in arrivo i Pums (Piani Urbani per la Mobilità Sostenibile), secondo le linee guida europee, le cui parole chiave sono partecipazione, trasporto collettivo, bicicletta e riqualificazione urbana.

Nella riforma del Trasporto Pubblico Locale, in discussione ai sensi del decreto Madia/Delrio, è prevista la regolamentazione dei Pums che dovranno diventare il nuovo strumento in mano alle città che abbiano voglia di puntare davvero sulla mobilità sostenibile. Certo l’eredità è pesante e negativa, ma “eppur si muove” qualcosa per la mobilità nuova del futuro anche in Italia.

L’articolo è stato pubblicato nel n.3/2016 della rivista bimestrale QualEnergia, con il titolo “Segnali di movimento”.

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