Le nuova proposta UE sui tagli delle emissioni: -33% entro il 2030 per l’Italia, ma con “scappatoie”

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Un'analisi della nuova proposta della Commissione UE sulle emissioni "non ETS". Cruciali sono non solo i numeri della ripartizione degli obblighi di riduzione delle emissioni, ma anche le regole. In primis l'anno baseline è da considerare importante quasi quanto la percentuale dei tagli.

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-33% è l’obiettivo di impegno di riduzione delle emissioni di gas serra che l’Italia dovrà raggiungere entro il 2030, rispetto alla media degli anni 2016-2018.

È quanto risulta dal pacchetto di misure in merito all’attuazione dell’impegno dell’Unione Europea di ridurre le emissioni di gas serra di almeno il 40% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990, presentato il 20 luglio a Bruxelles dalla Commissione Europea (vedi fact sheet in allegato in basso).

Cos’è l’Effort Sharing

La proposta Effort Sharing, sulla “condivisione dello sforzo” di riduzione delle emissioni di gas serra, presenta obiettivi annuali vincolanti delle emissioni per gli Stati membri per il periodo 2021-2030.

Queste emissioni coprono la maggior parte dei settori non inclusi nel sistema UE di scambio delle emissioni (EU ETS), come i trasporti (a eccezione di quelli aerei e della navigazione marittima internazionale), costruzioni, agricoltura, silvicoltura, settori dei rifiuti e uso del territorio.

La proposta si somma alle misure già delineate di riduzione delle emissioni che rientrano nei settori coperti dal sistema ETS, con un taglio previsto del 41%.

Tutti gli obiettivi nazionali di emissione per il 2030 sono calcolati come variazioni percentuali rispetto alla media degli anni 2016-2018 e definiti in base della ricchezza relativa degli Stati membri, ovvero misurate in base al prodotto interno lordo pro capite.

Perciò il range spazia da una riduzione delle emissioni del 40% del Lussemburgo e della Svezia, a una stabilizzazione delle emissioni per la Bulgaria.

I tagli più consistenti sono richiesti ai Paesi nordici, ad esempio Svezia -40% di emissioni nei settori non-ETS al 2030, Finlandia e Danimarca -39%, qualcosa di meno Germania e Francia, rispettivamente -38% e -37% in confronto ai livelli di CO2 del 2005. Per l’Italia, come detto, l’obbligo di riduzione è fissato a -33%.

Per i paesi meno ricchi sono consentiti aumenti delle emissioni in questi settori perché la loro crescita economica, relativamente più elevata, rischia di essere accompagnata da emissioni superiori. Va anche detto che i livelli delle emissioni di queste Nazioni erano già precipitati negli anni passati, a causa soprattutto della recessione economica. Siamo così nell’ordine di percentuali inferiori al 10% per Ungheria, Polonia, Romania, eccetera, toccando addirittura lo zero nel caso della Bulgaria, che quindi non dovrà ridurre alcunché.

Nessun cenno, invece, alla Brexit: la Gran Bretagna è infatti presente nella tabella di ripartizione con l’obiettivo del -37% delle emissioni.

Inoltre, la Commissione ha assicurato che lavorerà attivamente per garantire che la spesa del bilancio dell’UE sia allineata con gli obiettivi climatici: almeno il 20% del bilancio UE attuale sarà speso per l’azione per il clima.

Il vicepresidente UE, responsabile dell’Unione Energetica, Maroš Šefčovič, ha dichiarato: “Con la proposta di riforma del sistema di scambio delle emissioni l’anno scorso e la proposta di oggi (20 luglio, ndr) su obiettivi di emissioni di gas serra per gli Stati membri, ancoriamo la strategia energia e clima 2030 alla legislazione. Il pacchetto dimostra che stiamo mobilitando tutte le nostre politiche verso un’economia competitiva, circolare e a basse emissioni di carbonio”.

“L’Ue ha un obiettivo di riduzione delle emissioni ambizioso, ma sono convinto che possiamo raggiungerlo attraverso gli sforzi collettivi di tutti gli Stati membri – ha aggiunto il Commissario europeo per l’azione per il clima e l’energia Miguel Arias Cañete. – Gli obiettivi nazionali vincolanti che proponiamo sono giusti, flessibili e realistici. Forniscono i giusti incentivi per scatenare gli investimenti in settori come i trasporti, l’agricoltura, costruzioni e gestione dei rifiuti.”

Contro gli “early mover”

Uno degli aspetti cruciali della proposta riguarda non solo i numeri della ripartizione degli obblighi di riduzione delle emissioni, ma anche le regole. Per calcolare la quantità totale di carbonio che ogni paese potrà emettere dopo il 2020, infatti, il punto di partenza è importante quanto la percentuale di riduzione. La Commissione ha optato per definire l’anno base rispetto a un livello medio di emissioni per il periodo 2016-2018.

Su questo punto è intervenuto anche il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti: “Sulla riduzione delle emissioni di gas serra l’Italia è sempre pronta a fare la sua parte, ma la proposta di distribuzione delle quote della Commissione Europea per i settori non ETS e i meccanismi di flessibilità previsti non sono equi e non tengono conto dei grandi passi in avanti fatti nel tempo dal nostro Paese”.

“I criteri fissati dalla Commissione – spiega il Ministro – impongono a Stati ‘early mover’ come l’Italia, cioè che prima degli altri hanno applicato politiche virtuose di riduzione, sforzi superiori a quelli che vengono chiesti a Paesi che hanno ridotto di meno in questi anni. In particolare, il punto di partenza per la riduzione prevista incredibilmente non tiene in conto il raggiungimento, e per l’Italia l’ampio superamento, degli obiettivi fissati al 2020, né paradossalmente la ridotta incidenza della nostra agricoltura nella produzione di emissioni inquinanti. La Commissione finisce così per premiare chi emette di più e punisce i comportamenti virtuosi”.

Secondo il ministro definire l’anno base più vicino a dove le emissioni si collocheranno effettivamente nel 2021, avrebbe incrementato il taglio delle emissioni di almeno 850 milioni di tonnellate ed evitato la distorsione per cui si troveranno svantaggiati proprio gli Stati che hanno ridotto prima le emissioni.

“In occasioni ufficiali e informali, in ultimo con una lettera trasmessa domenica al Commissario Canete – conclude Galletti – avevamo chiesto alla Commissione una proposta diversa, più bilanciata, con criteri di calcolo rispondenti alla realtà: ora lavoreremo assieme agli altri Paesi per ristabilire l’equilibrio necessario”.

Le “scappatoie”

Oltre ai numeri e al periodo di riferimento, un altro punto su cui si gioca la questione sono i criteri di “flessibilità”, che sono di tre tipi.

Il primo riguarda il momento in cui realizzare i tagli di emissione: mentre è definita, in modo lineare, la traiettoria di diminuzione delle emissioni, negli anni in cui le emissioni sono inferiori rispetto alle loro assegnazioni annuali di emissioni (AEAs), gli Stati membri possono incassare eventuali AEAs surplus e utilizzarli negli anni successivi, quando i limiti sono più bassi (nel limite del 5% delle AEAs, cosiddetto “banking”).

Negli anni in cui le emissioni sono superiori al limite annuale, si possono prendere in prestito AEAs dall’anno successivo (“borrowing”). Questo dà agli Stati membri la flessibilità necessaria per trattare con fluttuazioni annuali delle emissioni dovute a condizioni climatiche o condizioni economiche. Inoltre gli Stati membri possono anche vendere le allocazioni non utilizzate ad altri Stati, nella quota massima del 5%.

Oltre a queste regole, già garantite nella prima direttiva Effort Sharing del 2009, si propone adesso di introdurre altre forme di flessibilità: riguardo all’utilizzo di una parte dei crediti eccedenti dall’EU ETS e da attività di forestazione.

È quelle che alcune associazioni ambientaliste, tra cui Transport & Environment, definiscono i loopholes” della proposta, ovvero le scappatoie: si consentirebbe ai paesi di utilizzare 100 milioni di tonnellate di crediti in eccesso dal mercato del carbonio dell’UE (ETS) e 280 milioni di tonnellate di crediti derivanti da foreste per compensare emissioni in settori come l’agricoltura e il trasporto.

Queste novità ridurrebbero quindi l’obiettivo reale complessivo previsto di taglio delle emissioni. Secondo William Todts, direttore clima a Transport & Environment “le scappatoie che i governi dell’UE hanno chiesto e che la Commissione ha inserito in questa proposta non sono solo inutili, ma anche dannose“.

Proposta EU e Accordo di Parigi

Secondo Wendel Trio, direttore europeo del Climate Action Network, “la proposta mira a mettere in atto un impegno che è fuori linea rispetto all’Accordo di Parigi.”

Infatti, nell’Accordo è previsto un meccanismo per aumentare nel tempo i tagli alle emissioni e gli obiettivi degli Stati aderenti, tramite dei nuovi negoziati di cui il primo, nella forma di un “dialogo facilitativo”, si svolgerà già nel 2018. Nella proposta della Commissione Europea manca completamente una tale forma di meccanismo correttivo al rialzo. “Dopo tutta la retorica sulla necessità di aumentare l’ambizione attraverso revisioni periodiche, rispetto cui l’UE ha spinto a Parigi, non riuscire a includere un meccanismo di revisione nelle nostre leggi invierebbe un segnale sbagliato all’estero”, ha aggiunto Trio.

Insomma, per la Commissione, si tratta di un buon compromesso che assicura equità e solidarietà. Ma per alcune organizzazioni ambientaliste, come il WWF, il piano è poco ambizioso e lascia troppo spazio a queste scappatoie, utilizzabili dai singoli Stati membri per sminuire il loro impegno effettivo nella lotta al cambiamento climatico.

Si prevede che la decisione definitiva in merito all’Effort Sharing venga presa entro la fine del 2017; certo, questo è il primo test dopo la firma dell’Accordo di Parigi e l’Europa non può permettersi di fallire.

Il fact sheet della Commissione (pdf)

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