Industria fossile, con lotta al global warming a rischio 33mila mld di dollari

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La stima la fa un gigante della finanza, Barclays, nell'ambito della “Task Force on Climate Related Disclosures”, il gruppo di esperti messo assieme dal governatore della Banca d'Inghilterra per fare luce sui rischi economici legati al clima che cambia e alla lotta al global warming.

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Il settore delle fossili rischia di perdere entrate per 33mila miliardi di dollari nei prossimi 25 anni per le politiche sul clima, che costringeranno l’industria a lasciare sotto terra gran parte delle riserve di carbone, petrolio e gas per provare a fermare l’innalzamento della temperatura del pianeta entro i 2 °C.

L’impressionante stima, riportata da Bloomberg, è di Mark Lewis, direttore delle ricerca sulle equity delle utility europee del gigante della finanza Barclays. L’analisi è stata elaborata nell’ambito della “Task Force on Climate Related Disclosures”, il gruppo di esperti messo assieme dal governatore della Banca d’Inghilterra, Mark Carney, per fare appunto luce sui rischi economici legati al clima che cambia e alla necessaria lotta al global warming.

“Ci sarà meno domanda di fonti fossili e per definizione questo porta a prezzi più bassi”, ha spiegato Lewis.

La task force, diretta dal fondatore di Bloomberg LP, Michael Bloomberg, sta mettendo a punto delle linee guida per la volountary disclosure da parte delle aziende dei rischi ai quali saranno esposte dagli impatti del cambiamento climatico e dalla transizione energetica necessaria per frenarlo.

“Un bambino con un abaco può capire benissimo che quantità enormi di carbone, petrolio e gas andranno lasciate sotto terra. Eppure abbiamo consigli di amministrazione che ancora non parlano del problema con i propri azionisti”, ha sottolineato Anne Simpson, direttrice del più grande fondo pensione pubblico degli Usa, il California Public Employees’ Retirement System, citata da Bloomberg.

Per stare sotto ai 2 °C di riscaldamento globale dai livelli preindustriali, secondo la IEA, almeno due terzi delle riserve di carbone, petrolio e gas non potranno essere sfruttate.

Secondo l’ong Carbon Tracker, con le politiche da attivare per avere più del 50% di possibilità di fermare il riscaldamento globale a 2 °C, sono a rischio 2mila miliardi di dollari di investimenti in energie fossili.

Asset che nei prossimi 10 anni potrebbero divenire stranded, cioè incagliati, ossia che non si potranno valorizzare perché i prezzi delle commodity e le politiche per ridurre le emissioni costringeranno a non estrarre una grande quantità di riserve fossili, trasformando in una perdita netta la spesa sostenuta per svilupparle.

Tra gli investimenti a rischio per il petrolio 1.300 miliardi di dollari sono in nuovi progetti e 124 mld di $ in progetti esistenti; per il gas 459 miliardi in nuovi progetti e 73 miliardi in esistenti; infine per il carbone 177 miliardi nel nuovo e 42 nell’esistente.

Le nazioni con le più alte perdite economiche in caso di un accordo internazionale coerente con l’obiettivo di fermare il global warming a 2 °C sono nell’ordine Stati Uniti, Canada e Cina.

La grandissima maggioranza delle riserve fossili del pianeta inoltre appartegono ai governi o sono comunque a controllo governativo. Un fatto da tenere ben presente per capire quanto sia difficile per la politica internazionale adottare misure idonee a ridurre le emissioni di gas serra.

Un assaggio di quel che potrebbe accadere ci è stato dato con il crollo dei prezzi del barile nel 2015: l’anno scorso circa 380 miliardi di $ di investimenti in progetti di estrazione sono stati congelati, stima Wood McKenzie. A fermarsi sono soprattutto i progetti più costosi, come le trivellazioni in acque profonde e l’estrazione di riserve non convenzionali.

I prezzi del petrolio dell’ultimo anno, d’altra parte, oltre che da cause congiunturali come il rallentamento economico e il rientro in gioco dell’Iran, potrebbero avere anche una natura strutturale: dipendono cioè da un’economia sempre meno energy intensive e che si sta lentamente affrancando dalle fossili.

La transizione energetica verosimilmente impedirà di far fruttare adeguatamente gran parte degli asset in miniere e trivelle: se si adottassero le politiche necessarie a fermare il riscaldamento globale, mostrano le stime del gruppo bancario HSBC, il valore di gran parte delle aziende delle fossili crollerebbe del 40-60%.

Una bolla sulla quale stanno mettendo in guardia da tempo, oltre agli ambientalisti, i report di gruppi bancari e analisti come Citigroup, Deutsche Bank, Kepler Chevreux e Moody’s i citati Bloomberg, Barclays, la Banca d’Inghilterra e altri ancora.

Se non ci si muove già ora per cercare un atterraggio morbido, gli effetti economici potrebbero essere disastrosi, visto che la capitalizzazione legata alle risorse fossili su varie Borse al momento ha un ruolo molto importante – dal 20 al 30% in piazze come Londra, Mosca, Toronto e San Paolo – e che nelle fossili hanno investito e continuano ad investire moltissimo Stati, enti locali e grandi fondi pensione: circa il 72% delle riserve mondiali di petrolio, il 73% di quelle di gas e il 61% di quelle di carbone sono possedute o controllate indirettamente dalle nazioni.

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