Emissioni negative e CCS, una controversa ricetta contro il global warming

Uno studio americano evidenzia che gli impegni presi dalle singole Nazioni alla Cop21 sono insufficienti per contrastare il cambiamento climatico. Delle due strade una: tagliare da subito in modo più netto le emissioni di gas serra, o rimuovere una grossa fetta di CO2 in eccesso entro fine secolo.

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Il nostro Pianeta rischia di surriscaldarsi con un ritmo molto più veloce del previsto. Quante volte abbiamo sentito affermazioni simili? Soprattutto dopo gli accordi della Cop21 di Parigi, scienziati e climatologi continuano a sfornare previsioni abbastanza nefaste sulla nostra capacità di limitare il global warming entro due gradi centigradi rispetto all’età preindustriale.

Ancora più difficile sarebbe mantenere l’innalzamento medio delle temperature a 1,5 gradi, evitando così le conseguenze più disastrose sugli ecosistemi mondiali tra cui siccità estreme, alluvioni, scioglimento repentino dei ghiacci eccetera (vedi QualEnergia.it).

Parigi non basta

Un nuovo studio è stato pubblicato di recente dal National Center for Atmospheric Research (NCAR), gestito da un consorzio no-profit di un centinaio di università americane. Il punto di partenza è nuovamente Parigi: gli impegni presi dai singoli Paesi per ridurre le emissioni di gas-serra, evidenzia il documento americano, non permetteranno di disinnescare la bomba climatica che ci attende.

Secondo Benjamin Sanderson, il principale autore del rapporto, una politica energetica davvero efficace dovrebbe puntare a un taglio molto più netto delle emissioni di anidride carbonica. Il problema, infatti, è che andando avanti di questo passo, cioè seguendo le indicazioni dei piani nazionali presentati a Parigi, esauriremo rapidamente il carbon budget planetario. Significa che stiamo per raggiungere il tetto massimo di emissioni climalteranti compatibile con l’obiettivo dei due gradi.

Emissioni negative

A quel punto, l’unico rimedio possibile sarà eliminare dall’atmosfera la CO2 in eccesso. Ecco perché si parla di “emissioni nette negative”: non solo dovremo tagliare la produzione antropica di gas-serra, ma a un certo punto dovremo anche rimuovere l’anidride carbonica rilasciata nei decenni precedenti a causa dell’impiego di fonti fossili, carbone e petrolio in primis.

Qui entriamo in un campo che, per la stessa ammissione di Sanderson, è veramente aleatorio. Già rimanendo nell’alveo della climatologia esistono molte incertezze sui futuri impatti della CO2: la forchetta del surriscaldamento terrestre è piuttosto ampia. Due, tre, quattro o più gradi, secondo le variabili considerate.

Se poi parliamo di emissioni negative l’incertezza cresce ancora, e di molto. In sintesi, lo studio del National Center for Atmospheric Research prevede che tra il 2080 e il 2090 bisognerà iniziare a rimuovere 5-10 miliardi di tonnellate l’anno di CO2 dall’atmosfera per poi stoccarle nel sottosuolo, negli oceani o sul terreno. Purtroppo, nessuna delle tecnologie conosciute è pronta per essere applicata su vasta scala, per immaturità tecnologica, per i costi esorbitanti, per potenziali rischi ecologici.

Tecnologia BECCS, dubbi e rischi

Alcune opzioni sembrano abbastanza fattibili ed esenti da particolari controindicazioni, ad esempio la riforestazione e il ripristino di ecosistemi come torbiere e paludi. Altre scelte, invece, pongono vari interrogativi.

Pensiamo, in particolare, alla tecnologia BECCS (bioenergy with carbon capture and storage). I sistemi CCS per la cattura e il sequestro della CO2 in giacimenti sotterranei sono pensati per ridurre le emissioni nocive degli impianti industriali: centrali termoelettriche a carbone, acciaierie, stabilimenti chimici, eccetera. La stessa IEA ritiene che saranno indispensabili per contribuire alla diminuzione complessiva dei gas serra.

La tecnologia BECCS dovrebbe compiere un passo in più. Il circolo virtuoso sarebbe questo: le piantagioni crescendo assorbono la CO2 dall’atmosfera, dopodiché la biomassa vegetale/legnosa è utilizzata per produrre energia elettrica o biocombustibili, mentre un impianto CCS assorbe e immagazzina da qualche parte le emissioni.

Facile intuire i rischi aggiuntivi, in particolare la competizione delle piantagioni energetiche con l’agricoltura a scopo alimentare, il disboscamento per fare spazio alle colture intensive, la conseguente perdita di biodiversità. Allora la cura rischierebbe di essere peggiore del male.

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