Con Biomassplus più controlli sulla filiera del legno. Ecco come funziona

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Tracciabilità e legalità della materia prima, sostenibilità ambientale del ciclo produttivo “dal bosco al camino”, qualità del prodotto: i tre cardini del nuovo sistema di certificazione promosso da AIEL. Vediamone le caratteristiche più importanti con l’intervento di Massimo Negrin.

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L’utilizzo di biomasse legnose per produrre energia termica talvolta incorre nelle critiche sulla reale “sostenibilità” di questo combustibile, soprattutto quando il tema è il riscaldamento domestico.

La questione, come emerso anche nell’assemblea annuale dei soci di AIEL (Associazione Italiana Energie Agroforestali), può essere affrontata e risolta in due direzioni. Da una parte, come abbiamo approfondito in un recente articolo, aumentare l’efficienza dei generatori, classificandoli secondo i livelli di rendimento ed emissioni inquinanti. Dall’altra, attraverso nuovi sistemi di certificazione per garantire la qualità della biomassa prodotta e immessa sul mercato italiano. Così dopo lo schema ENplus per il pellet si sta sviluppando il metodo dedicato ai biocombustibili legnosi, Biomassplus.

Biomasse e km zero

A spiegare le sue caratteristiche a QualEnergia.it è Massimo Negrin, referente del Gruppo Produttori Professionali Biomasse di AIEL. Partendo da una considerazione di ordine generale che vuole un po’ sfatare il luogo comune del chilometro zero come massima espressione di sostenibilità ambientale

. Ciò che conta, sostiene Negrin, è il ciclo produttivo nel suo complesso, “dal bosco al camino”. Quindi entrano in gioco diversi elementi: non solo la distanza in sé, ma anche la logistica, l’efficienza dei mezzi di trasporto, i metodi di lavorazione, il tipo di assortimento del biocombustibile legnoso e così via.

Proprio per questo, in buona sostanza, non sembra corretto ridurre l’indice di sostenibilità delle biomasse solo a un fattore chilometrico, considerando unicamente la maggiore o minore distanza che intercorre tra il luogo di origine della materia prima e la sua destinazione finale.

La filiera corta può essere certamente un vantaggio: pensiamo, ad esempio, a un altro tipo di biomasse, quelle vegetali impiegate nei biodigestori. Uno dei principi del “biogas fatto bene” secondo il CIB (Consorzio Italiano Biogas) è proprio la vicinanza delle risorse rispetto agli impianti di produzione. Non a caso, il biogas è visto come opportunità per integrare il reddito agricolo sfruttando principalmente gli scarti zootecnici e agroforestali.

I tre principi della certificazione

La filiera delle biomasse legnose è complessa anche perché una buona parte della materia prima è importata da altri paesi.

«L’unica vera risposta che possiamo dare – afferma allora Negrin – è un indice basato su tre principi: tracciabilità e legalità della biomassa, sostenibilità ambientale della filiera e rispetto di parametri qualitativi di prodotto e processo».

Sono i tre cardini della certificazione volontaria Biomassplus, che si applica a produttori e distributori di cippato, bricchette e legna da ardere che ne fanno richiesta. Per il momento, in Italia sono due le aziende già valutate con successo dall’organismo di certificazione terzo (ENAMA) e sei quelle che stanno per ottenere il via libera all’apposizione del nuovo marchio.

Quest’ultimo prevede quattro categorie: B1, A2, A1 e A1 plus riservata ai prodotti che devono essere conformi a requisiti particolarmente severi nell’ambito dei processi produttivi. Ad esempio, l’azienda deve possedere un sistema di essiccazione e vagliatura, oltre a dover stoccare la biomassa in strutture coperte e pavimentate.

Controlli su tutta la filiera

Per quanto riguarda il primo cardine di Biomass Plus, cioè la tracciabilità/legalità delle forniture, prosegue il referente di AIEL, «lo schema prevede che la biomassa sia conforme al regolamento EUTR 995/2010, la cosiddetta Timber Regulation.

Ogni produttore e distributore è provvisto di un codice identificativo unico, che permette all’organismo di certificazione d’individuare le varie fasi di lavorazione e trasformazione della materia prima lungo l’intera filiera».

Per quanto riguarda la sostenibilità ambientale, spiega poi Negrin, il parametro di riferimento è la riduzione delle emissioni. I produttori/distributori certificati, infatti, devono garantire un risparmio di tonnellate di CO2 equivalente pari almeno al 70% rispetto al ciclo produttivo del gas naturale, a parità di energia primaria generata.

Passando, infine, al terzo punto dello schema, Negrin evidenzia che le aziende devono rispettare la qualità del prodotto in conformità alla norma ISO 17225, attraverso verifiche periodiche dell’ENAMA e un piano di controllo dei lotti interno all’azienda. L’obiettivo insomma è garantire una qualità costante e continua.

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