Cosa significa fare edilizia nell’era dell’economia circolare. Le sfide e le opportunità

La crisi nel settore delle costruzioni va superata con strumenti nuovi. A REbuild 2016 si parlerà di come ottenere più efficienza e qualità anche attraverso l’uso di materiali riciclati. L’opinione di Filippo Delle Piane, vicepresidente ANCE, uno dei relatori alla manifestazione del 21-22 giugno.

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Riutilizzare, ridurre gli sprechi, proteggere l’ambiente: questi, e altri, sono gli elementi che caratterizzano l’economia circolare di cui molto si continua a discutere a livello europeo. L’obiettivo è “chiudere il cerchio”, cioè ottimizzare lo sfruttamento di risorse e materie prime nell’intero ciclo di vita, dalla produzione al consumo e poi allo smaltimento/recupero.

Il tema sarà al centro di un convegno nell’ambito di REbuild 2016 (21-22 giugno a Riva del Garda). Come applicare l’economia circolare al mondo dell’edilizia e con quali vantaggi? Quali azioni servirebbero, da parte delle istituzioni, per promuovere il riciclo/riuso nelle nuove costruzioni e riqualificazioni di spazi urbani? QualEnergia.it ha sentito in anteprima Filippo Delle Piane, vicepresidente ANCE, che sarà uno dei relatori.

Economia circolare nell’edilizia: che cosa significa esattamente?

L’economia circolare comporta il massimo riutilizzo possibile dei materiali. Parliamo, ad esempio, degli inerti delle demolizioni e di tutti quei materiali riciclati, soprattutto nel campo degli isolanti, che provengono da diverse filiere industriali, come scarti del legno e del sughero, gomme e plastiche. D’altronde, sappiamo che la ricetta per costruire bene prevede un efficace isolamento termico, attraverso cui ridurre il fabbisogno energetico degli edifici.

Come possiamo tradurre questa ricetta nello scenario italiano?

Oltre il 50% del patrimonio immobiliare italiano è stato costruito tra gli anni ’50 e la fine degli anni ’90 con criteri di efficienza molto lontani dagli standard attuali e, inoltre, senza alcun tipo di valore storico/artistico da tutelare. Così in alcuni casi, come gli edifici posti in zone a rischio sismico o idrogeologico, si può pensare a un’edilizia di sostituzione. Per tutte le altre situazioni bisognerebbe procedere con ampi progetti di rigenerazione urbana, che però sono sicuramente i più complessi da realizzare.

Il problema, allora, è favorire gli investimenti che rispettano determinate caratteristiche. Qual è la situazione attuale nel nostro Paese?

Il percorso dell’economia circolare nelle costruzioni andrebbe indirizzato con scelte politiche forti, anche perché solitamente i materiali riciclati costano di più rispetto a quelli tradizionali e quindi sono meno convenienti per le imprese, a meno di premiare in qualche modo il loro utilizzo. Come spesso accade nel nostro Paese, ci si muove a macchia di leopardo; ad esempio in Toscana ci sono dei centri specializzati per il trattamento degli inerti, in modo da poterli immettere nuovamente nel ciclo produttivo, mentre in Liguria l’unica strada percorribile è quella del conferimento in discarica.

Quali sono gli incentivi migliori?

Fammi capire che credi davvero in quello che dici. Passare da uno slogan a misure concrete. Per quanto riguarda l’edilizia privata, credo che gli incentivi più efficaci siano agevolazioni fiscali e sconti sugli oneri di costruzione e urbanizzazione, oltre che lo snellimento delle procedure. La “moneta” urbanistica, leggi aumenti di cubature, è la ricetta del passato, oggi il mercato non la assorbe più. L’edilizia deve puntare sulla qualità e sul miglioramento del costruito. Sappiamo che oltre il 50% dell’inquinamento atmosferico nelle città dipende dal “sistema casa”, cioè dai consumi energetici delle abitazioni, soprattutto per il riscaldamento invernale. L’efficienza energetica, insieme alle fonti rinnovabili, rappresenta uno dei modi migliori per tradurre i principi dell’economia circolare nell’edilizia.

In Gazzetta Ufficiale è stato appena pubblicato il decreto con i punteggi premianti per l’uso di materiali riciclati nell’edilizia della pubblica amministrazione. Che cosa ne pensa?

È uno sforzo nella giusta direzione. Nell’ambito pubblico, infatti, gli incentivi possono essere di due tipi, entrambi legati al concetto di green public procurement, gli acquisti verdi delle amministrazioni: il primo è rendere obbligatorio l’impiego di certi materiali riciclati, trasformandolo così in un requisito indispensabile per partecipare alle gare d’appalto. Il secondo incentivo, quello che preferisco, è assegnare punteggi più elevati alle offerte che includono l’uso di materiali sostenibili. Nei bandi pubblici, in definitiva, occorre premiare le imprese che forniscono prodotti e materie prime provenienti dalle varie filiere del riuso/riciclo.

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