La visione BP sul petrolio nel mix energetico che sta cambiando

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Lo squilibrio tra domanda e offerta del petrolio, lungi dall’essere risolto, continua a mantenere bassi i prezzi del barile e mettere in difficoltà i giacimenti americani di shale oil. Tutte le risposte di un’economia che non vuole rinunciare all’oro nero, ma vede aumentare il peso specifico delle energie rinnovabili.

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Caduta dei prezzi, sbilanciamento tra domanda e offerta, ripresa dei consumi: ecco le principali caratteristiche del mercato petrolifero mondiale nel BP Statistical Review 2016 (in allegato in basso). Il peso dell’oro nero nel fuel-mix è salito per la prima volta dal 1999, arrivando al 32,9% dei consumi globali di energia primaria con un incremento di 1,9 milioni di barili giornalieri nel 2015 (+1,9% quasi il doppio della media registrata negli ultimi anni).

Tuttavia, la produzione complessiva di petrolio è cresciuta ancora più rapidamente della domanda, attestandosi a 2,8 milioni di barili quotidiani (+3,2%). A spingere sono stati soprattutto due Paesi, Iraq e Arabia Saudita, rispettivamente +750.000 e +510.000 barili ogni ventiquattr’ore, portando così l’area OPEC a superare il record produttivo del 2012 con un output totale giornaliero pari a 38,2 milioni.

La produzione non-OPEC

Intanto la produzione dei Paesi non-OPEC è un po’ calata rispetto all’apice del 2014. Stiamo parlando di 1,3 milioni di barili in più, di cui la maggioranza proveniente dagli Stati Uniti. Questi ultimi, infatti, si sono confermati come primo fornitore mondiale di oro nero.

Che cosa sta succedendo, più in dettaglio, nel settore degli idrocarburi e quali sviluppi dobbiamo attenderci? Come ha spiegato Spencer Dale, capo economista del colosso petrolifero anglosassone, due anni fa c’era stato un boom della produzione cosiddetta “non convenzionale”. Questa definizione si deve alle speciali tecniche estrattive per sfruttare i giacimenti americani di shale oil, il petrolio di scisto contenuto in rocce piuttosto profonde e impermeabili.

Il ruolo che hanno avuto tali pozzi è stato dirompente: le risorse di petrolio e gas tecnicamente recuperabili sono balzate del 15% circa a livello mondiale. L’America settentrionale ha iniziato a sfornare una quantità di barili impensabile fino a pochi anni prima, contribuendo in modo decisivo al surplus di offerta.

Squilibrio tra domanda e offerta

Il mercato nel 2015 ha risposto con un aumento dei consumi, favorito per l’appunto dai bassi prezzi del barile. Sul lato delle forniture, la produzione americana di shale oil, raggiunto il picco nel 2014, ha rallentato la sua corsa.

L’impatto delle quotazioni si è fatto sentire su molti giacimenti a stelle e strisce: il petrolio di scisto non era più in grado di competere come prima sulla scena internazionale. Questi due fattori – consumi globali in ascesa e rallentamento dell’output USA – avrebbero dovuto equilibrare il mercato dell’oro nero.

Non è stato così, secondo il capo economista BP, per diverse ragioni. La prima è che l’area OPEC, anziché cedere terreno per sostenere i prezzi, ha scelto la strada opposta, cioè produrre di più (+1,6 milioni di barili giornalieri) sotto la spinta, come abbiamo visto, di Iraq e Arabia Saudita.

Il risultato è stato il perdurare dello sbilanciamento tra domanda e offerta, con una nuova tendenza al ribasso dei prezzi. In teoria, questo scenario dovrebbe promuovere un’ulteriore crescita dei consumi e ostacolare la produzione statunitense di shale oil, i cui costi di estrazione, come sappiamo, sono più elevati rispetto a quelli dei pozzi tradizionali.

Il paragone con gli anni ‘80

Eppure, ha evidenziato Spencer Dale, la situazione è più complessa perché bisogna considerare lo stock invenduto di petrolio che, negli ultimi anni, è notevolmente aumentato. Il mercato insomma ritroverà un equilibrio solo quando le scorte si saranno assottigliate.

Per quanto riguarda i prezzi, ha osservato l’analista BP, la media del Brent è stata di 52 dollari nel 2015 (con un minimo di 36 verso la fine di dicembre), mai così male dal 2004 e circa il 50% in meno dei dodici mesi precedenti.

Secondo Dale, lo scenario attuale ricorda moltissimo quello osservato a metà degli anni ’80, quando i prezzi crollarono a causa della scoperta di nuovi giacimenti nel Mare del Nord e in Alaska. Il mercato impiegò parecchio tempo ad assorbire quell’output aggiuntivo e le quotazioni del barile, di conseguenza, rimasero basse.

Petrolio e rinnovabili

Tutti questi elementi aiutano a capire la probabile evoluzione delle altre fonti energetiche, in particolare le rinnovabili. Dallo Statistical Review 2016 sono emerse alcune tendenze importanti per la transizione energetica: la crisi del carbone, la diffusione sempre più rapida e costante delle tecnologie pulite, lo stop “strutturale” della crescita delle emissioni inquinanti. Segnali chiari che il fuel-mix sta cambiando, anche se appare difficile sradicare le fondamenta della nostra economia petrolifera.

La lezione-chiave della storia, sostiene infatti il capo-economista di British Petroleum, è che alle nuove forme di energia servono decenni per conquistare fette considerevoli di mercato. Facendo scattare le lancette dell’orologio nel momento in cui una fonte è riuscita a coprire l’1% del mix di energia primaria, abbiamo visto che il petrolio ha impiegato oltre quarant’anni per arrivare al 10% della torta e il gas, dopo cinquant’anni, non era salito oltre l’8% del mix globale.

Ecco perché le previsioni BP assegnano, sì una crescita sostenuta alle rinnovabili, grazie anche alla continua diminuzione dei loro costi (lo confermano tutte le più recenti analisi LCOE), ma d’altra parte ritengono che le fonti pulite saranno frenate dalle caratteristiche “naturali” del sistema energetico, in particolare l’alta intensità di capitale per gli investimenti e, di conseguenza, la persistenza delle infrastrutture e degli impianti.

Una visione quella di Dale che – forse non c’è neanche bisogno di dirlo – potrebbe essere distorta dal suo particolare punto di osservazione, interno a un colosso del petrolio. I dati infatti ci mostrano che la transizione energetica verso le rinnovabili sta avvenendio a ritmi superiori a quelli delle previsioni più ottimistiche fatte negli anni scorsi e i paragoni con i cambiamenti del passato sono ben poco significativi viste le accelerazioni che la tecnologia imprime alla Storia.

Le soluzioni per favorire la penetrazione delle rinnovabili in tutti i settori esistono, dall’efficienza energetica all’elettrificazione dei trasporti, passando per la generazione distribuita degli impianti eolici e solari. La partita per mettere fuori mercato le risorse più obsolete e inquinanti, allora, dipenderà moltissimo anche dalle scelte politiche presenti e future, sulla scia degli obiettivi fissati alla Cop21 parigina.

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