Le relazioni pericolose tra smog e rischi cardiaci

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Una ricerca decennale su un campione di migliaia di cittadini in sei zone metropolitane ha evidenziato il legame tra inquinamento e accelerazione dell’aterosclerosi. Nuovo capitolo della letteratura scientifica che prova a valutare gli effetti negativi, con relativi costi ambientali e sanitari, delle fonti fossili.

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Quanto incide l’inquinamento atmosferico sulla salute umana? A quali malattie è più esposta la popolazione che vive in centri urbani molto trafficati? Qual è la correlazione tra emissioni di CO2, particolato fine e altre sostanze nocive con il rischio di contrarre determinate patologie?

Sono domande che ricorrono con frequenza nel dibattito sul rapporto costi/benefici delle varie fonti energetiche. Un recente studio americano promosso dall’EPA (Environmental Protection Agency) si è concentrato sui legami tra inquinamento e problemi cardiovascolari. I ricercatori, guidati dal professor Joel Kaufman dell’Università di Washington, hanno monitorato per 10 anni quasi 6.000 persone di diverse etnie (bianchi, neri, latinoamericani e cinesi) residenti in sei zone metropolitane: New York, Chicago, Baltimora, St. Paul, Winston-Salem e Los Angeles.

Inquinamento e malattie cardiovascolari

I ricercatori, da un lato, hanno stabilito i livelli di concentrazione di alcuni elementi inquinanti, in particolare gli ossidi di azoto e il PM 2,5 incrociando tra loro diversi modelli di dati provenienti dall’agenzia federale e dalle centraline di monitoraggio locali. Dall’altro, hanno misurato ripetutamente con scanner CT i depositi di calcio nelle arterie coronariche dei partecipanti.

Dallo studio è emerso che le persone che vivono nelle aree dove la qualità dell’aria è peggiore sono molto più soggette all’insorgere dell’aterosclerosi, patologia che aumenta la probabilità di avere attacchi di cuore. Secondo i ricercatori, quindi, l’inquinamento atmosferico urbano è associato alla progressione della calcificazione coronarica e di conseguenza all’accelerazione dell’aterosclerosi. Semplificando un po’, insomma, l’esposizione prolungata allo smog cittadino sarebbe associata all’aumento dei rischi cardiovascolari.

Monetizzare le esternalità negative

Questo studio si aggiunge alla letteratura scientifica che, più in generale, cerca di approfondire le cosiddette “esternalità negative” delle fonti fossili, cioè i costi sanitari e ambientali di carbone, petrolio e gas naturale.

Sono costi occulti, perché sono largamente scaricati sulla collettività anziché concorrere a formare il prezzo “reale” che l’industria deve pagare per utilizzare le varie risorse energetiche. Va detto che è molto difficile e complesso calcolare tali esternalità: l’ultimo studio Althesys sui costi/benefici delle tecnologie rinnovabili ha provato a superare il metodo LCOE (levelized cost of electricity, che comprende solo i parametri industriali e finanziari) con l’indicatore GCE (global cost of electricity) che include nei costi complessivi della generazione elettrica gli impatti esterni sull’ambiente e la salute.

Fermandosi all’analisi LCOE, il carbone resta la fonte più economica in Italia con una media pari a 67 euro/MWh. L’eolico (89,8 €/MWh) è la fonte rinnovabile più concorrenziale e in grado di battere anche il gas naturale, che presenta una media LCOE di 92,8 €/MWh nello Stivale.

Se però includessimo gli effetti collaterali delle diverse forme di generazione, come le emissioni di CO2 e l’incremento delle malattie comunemente associate ad alti livelli d’inquinamento atmosferico, il carbone perderebbe tutta la sua convenienza economica: il suo GCE oscillerebbe tra 126 e 140 €/MWh (i dati in questo caso si riferiscono al panorama internazionale) mentre l’eolico sarebbe nella forbice 82-92 e anche il solare fotovoltaico sarebbe più economico con valori nell’ordine di 117-127 €/MWh.

Carbone vs fotovoltaico

La stessa Althesys avverte che sono dati di massima e puramente indicativi, perché il costo esterno di una certa tecnologia dipende moltissimo dal valore economico assegnato alla singola tonnellata di CO2, così come alle altre sostanze inquinanti. Il problema è capire a quanto effettivamente possono ammontare i danni sull’ambiente e sulla salute causati dalle fonti di produzione elettrica.

Appare chiaro, però, che gli effetti negativi delle rinnovabili sono estremamenti ridotti e si limitano alle fasi di costruzione degli impianti e smaltimento dei componenti alla fine della loro vita utile. Mettendo sul piatto della bilancia anche le esternalità, le fonti fossili perderebbero moltissimo del loro vantaggio sulle tecnologie verdi.

Un altro studio americano recente, condotto dal prof. Drew T. Shindell della Duke University, ha sostenuto che un kWh prodotto con il carbone dovrebbe costare il triplo di un kWh fotovoltaico, dopo aver incluso nel conteggio totale costi/benefici tutti gli impatti ecologici e sanitari della generazione fossile.

Le morti premature

Altre stime molto complesse riguardano il numero di morti premature originate dall’inquinamento atmosferico. Tra gli ultimi rapporti disponibili c’è quello dell’EEA (European Environment Agency) sulla qualità dell’aria in Europa, secondo cui una buona parte della popolazione cittadina continua a essere esposta a livelli di smog ritenuti eccessivi e insicuri dall’Organizzazione mondiale della sanità.

Ecco perché, secondo l’agenzia UE, l’inquinamento causerebbe ogni anno circa 520.000 decessi prematuri nel Vecchio continente, di cui ben 84.000 in Italia. Il nostro paese figura purtroppo in cima alla lista, con quasi 60.000 morti attribuibili al solo PM 2,5 nel 2012.

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