Multinazionali dell’energia, venti di transizione e di reazione ai cambiamenti

Il trend ribassista di carbone, petrolio e gas colpisce le multinazionali del settore, ma non impedisce la crescita delle rinnovabili. Alcune compagnie energetiche si adeguano o diversificano gli investimenti. Altre resistono opponendosi alle politiche climatiche. L'editoriale di Gianni Silvestrini.

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In passato in presenza di alti prezzi degli idrocarburi i guadagni delle multinazionali dei fossili aumentavano e, contemporaneamente, anche gli investimenti sulle energie rinnovabili risultavano più interessanti.

Oggi, viceversa, il trend ribassista di carbone, petrolio e metano colpisce con forza le multinazionali del settore, ma non impedisce la rapida crescita delle rinnovabili. E, considerata la riduzione dei prezzi di solare ed eolico prevista nel medio e lungo periodo, l’avanzata di queste tecnologie non potrà essere più fermata.

È interessante capire come questa tendenza influisca sulle strategie delle aziende elettriche e in quelle petrolifere. I loro bilanci verranno, infatti, messi sempre più in difficoltà dalla rapida crescita delle soluzioni alternative. Oggi la diffusione delle rinnovabili determina un calo del prezzo dell’elettricità, con notevoli impatti sulle quotazioni delle utilities; domani l’esplosione di eolico e solare da un lato e della mobilità elettrica dall’altro incideranno sulla domanda di gas e petrolio contribuendo alla riduzione del prezzo dei fossili.

Ma come reagiscono le compagnie energetiche al drastico cambio del contesto in cui hanno storicamente operato? Nel caso di alcune utilities elettriche, sono proprio le rinnovabili a risanare bilanci a fronte delle difficoltà della generazione tradizionale. Emblematico il caso di Enel che ha totalmente cambiato il proprio modello di business, tanto da incorporare Enel Green Power, diventata ormai motore del cambiamento. Altre utilities sono a metà del guado e qualcuna, a livello internazionale, sparirà.

Un’analoga trasformazione sta avvenendo nel mondo dei fossili. In qualche caso il salto del fossato è già completamente avvenuto, come dimostra la storia di ERG che ha smobilitato le proprie raffinerie per lanciarsi nell’eolico.

Guardando alle società più importanti, la situazione è variegata, ma si intravvedono segnali di una diversificazione delle attività. Questo cambio di marcia è più evidente nella francese Total da tempo impegnata nel solare, o nella norvegese Statoil lanciatasi nell’eolico off-shore galleggiante. Come è noto, e come era prevedibile, anche Eni ha timidamente annunciato programmi per 1 miliardo di euro nel fotovoltaico. La stessa Arabia Saudita ha avviato un cambio di strategia.

All’altro estremo si situano le big statunitensi. Proprio in questi giorni si tiene l’assemblea degli azionisti della Exxon e il suo amministratore Rex Tillerson, a fronte della crescente pressione di alcuni investitori che chiedevano un cambio di approccio visti i rischi climatici, ha candidamente affermato che la riduzione delle produzione di petrolio ”non è accettabile per l’umanità”. Malgrado questo, il 38% degli azionisti hanno votato una mozione per richiedere una rendicontazione annuale sull’impatto delle politiche climatiche dopo Parigi sui profitti dell’azienda. Anche il 41% degli azionisti della Chevron hanno sollecitato uno “stress test climatico.

La transizione non sarà quindi così banale, ma lascerà sul campo morti e feriti. Ne è un esempio il caso delle grandi società del carbone che non hanno avuto il tempo di diversificare in un contesto di calo della domanda e dei prezzi e sono fallite.

È importante focalizzare l’attenzione sui produttori di combustibili fossili perché è evidente che il processo di decarbonizzazione in atto, comportando la ridiscussione della loro stessa esistenza, alimenterà inevitabilmente azioni contro le politiche climatiche.

È vero che solo la capacità di definire rapidamente strategie alternative determinerà la possibilità di una loro sopravvivenza, come sottolinea un numero crescente di autorevoli osservatori. Ma non dobbiamo aspettarci che questa prospettiva venga accettata pacificamente. Visti gli enormi interessi in gioco, è chiaro che verrà esercitata un’enorme pressione nei confronti dei governi per evitare l’adozione di incisive politiche di contenimento delle emissioni.

La Exxon deve difendersi in questi mesi nei tribunali dall’accusa di avere finanziato gruppi negazionisti e di avere nascosto informazioni sui rischi climatici che pure i suoi stessi scienziati avevano evidenziato. Possiamo immaginare il ruolo che queste compagnie potranno esercitare nei prossimi delicati e decisivi anni. E l’elezione del nuovo presidente Usa è alle porte …

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