Aziende del solare, attente: il gas è un falso alleato

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Il gas è una fonte dannosa per il clima, soprattutto a causa delle perdite lungo la filiera di estrazione e trasporto. Nel campo dello shale si sta dimostrando economicamente insostenibile. "Le aziende del solare ne stiano alla larga". Un articolo di Jeremy Leggett.

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Le compagnie dell’Oil&Gas sostengono che l’industria del gas naturale e quella del solare dovrebbero essere alleate, lavorare assieme per un supposto mutuo beneficio. È una strategia che dovrebbe essere evitata da tutte le aziende del solare che possono farlo, cioè da tutte quelle che non sono controllate dalle compagnie delle fonti fossili

Le ragioni principali sono due: l’aritmetica delle emissioni e le perdite di metano in atmosfera.

L’accordo sul clima uscito dalla CoP 21 di Parigi, adottato da tutte le nazioni indipendenti lo scorso dicembre, impegna la comunità internazionale a fermare il global warming ben al di sotto del 2 °C. I migliori climatologi del mondo sono chiari su ciò che questo significa in termini di riduzione delle emissioni: decarbonizzazione totale nel più breve tempo possibile e certamente nel giro di pochi decenni.

Non c’è spazio per nient’altro che una ritirata, ben gestita, dal gas; ma le compagnie petrolifere e del gas sostengono che l’economia mondiale sarà in gran parte dipendente da forniture fossili crescenti ancora per diversi decenni.

Ad esempio, BP nel suo recente Global Energy Outlook  prevede per il 2035 un probabile contributo sulla domanda di energia dei combustibili fossili – soprattutto petrolio e gas naturale – dell’80%. Il solare, secondo le previsioni di BP, potrà crescere, ma avrà ancora un ruolo secondario. E attenzione: questo è il futuro che la maggior parte delle compagnie dell’Oil&Gas vorrebbero.

L’industria ripete a ogni occasione un mantra: che il gas è meno dannoso del carbone in quanto a effetto climalterante, riferendosi al fatto che la combustione di una unità di gas naturale comporta emissioni di gas serra minori rispetto a quella di una unità di carbone. Questo è vero, ma non tiene conto delle perdite di gas.

Le fughe di gas aggiungono metano, un potente gas a effetto serra, in atmosfera. Se anche solo il 2% del metano utilizzato venisse disperso in atmosfera prima di essere bruciato, ecco che il gas diventerebbe altrettanto dannoso del carbone in termini di riscaldamento globale.

Vi è un crescente numero di prove che lungo la filiera della fornitura mondiale del gas di perdite ce ne sono ben oltre il 2%. A livello individuale certe aziende possono anche essere brave a controllare le loro emissioni, ma l’industria nel suo complesso non passa il test. Già nel 2011, gli scienziati della Cornell University hanno stimato che la perdita di gas da un pozzo di shale negli Usa potrebbe essere del 7,9% durante la sua vita (QualEnergia.it, Shale gas, per il clima è peggio del carbone, ndr).

La lobby del gas ha fatto sì che vi siano stati pochi monitoraggi sistematici, ma dal 2013 è emerso un flusso costante di misurazioni e osservazioni che mostrano enormi perdite come racconto nel mio libro The Winning of the Carbon War.

Nel marzo di quest’anno, ricercatori della Harvard University hanno usato rilevazioni satellitari per mostrare un aumento “sorprendente” delle concentrazioni di metano degli Stati Uniti, e hanno suggerito che il fracking per ottenere lo shale gas sia la causa più probabile.

Come ha ammesso la direttrice dell’Environmental Protection Agency, Gina McCarthy, “le emissioni di metano da fonti esistenti nel settore del petrolio e del gas sono di molto superiori a quello che pensavamo”.

La maggior parte del gas estratto negli Stati Uniti, con fracking da scisti o in altro modo, viene stoccato sottoterra, in giacimenti di petrolio e di gas abbandonati. Nel mese di ottobre 2015, uno di questi, vicino a Los Angeles ha iniziato a perdere gas copiosamente, tanto da diventare la più grande fonte di emissioni di metano della California. Quando la fuga è stata finalmente fermata, 112 giorni dopo, quasi 100.000 tonnellate di metano erano state rilasciate in atmsofera: la quantità di gas consumato ogni anno da un Paese europeo di medie dimensioni (QualEnergia.it, Il disastro di Porter Ranch e l’evanescente mano che dà il metano, ndr).

Con il dibattito pubblico che ne è seguito, è diventato chiaro che la regolamentazione scadente significa che molti più di 400 siti stoccaggio in America sono a rischio perdite. E questo è prima di dare inizio alla parte restante della filiera della fornitura.

Come può l’industria del gas continuare a ripetere il suo mantra “il gas è un bene per il clima”, vi chiederete, di fronte a tali prove preoccupanti? La risposta più ragionevole è che la cecità delle aziende è cosciente e voluta.

Questo introduce una terza ragione per cui i sostenitori del solare devono evitare l’alleanza proposta: la malafede dimostrata di molte azioni di lobbying dell’Oil&Gas.

Lo mostra chiaramente un caso recente. I governi di Stati Uniti e Canada hanno deciso di affrontare il problema delle perdite di gas come meglio possono, annunciando un impegno a ridurre le emissioni di metano dalle loro industrie del petrolio e del gas del 40-45%. La reazione dell’American Petroleum Institute non è stata certo quella di accogliere con gratitudine l’aiuto in un percorso cruciale per la riduzione le perdite. Al contrario: porterà in tribunale l’amministrazione Obama per aver caricato di costi “inutili” la rivoluzione dello shale.

La rivoluzione di cui si parla è in realtà un’esplosione al rallentatore, nella quale fallimenti colpiscono azienda dopo azienda, perché non si riesce più ad onorare la montagna di debito spazzatura che si è creata per perseguire un modello di business in cui i costi di estrazione superano i ricavi.

Non abbiamo questo problema dei costi nel solare. E questo è un altro motivo per evitare qualsiasi collaborazione a livello di settore con il gas.

Jeremy Leggett, britannico, geologo di fama internazionale, ha lavorato per un decennio nell’industria petrolifera, lasciandola per il solare e le rinnovabili. Nel 1997 ha fondato Solarcentury, la maggiore società del solare privata in UK. Autore di diversi libri sul settore energetico.

(Articolo pubblicato in origine su Recharge Magazine e riprodotto su QualEnergia.it con il consenso dell’autore, traduzione a cura di QualEnergia.it)

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