Nell’Italia che frena le rinnovabili le emissioni di CO2 tornano a salire

Invertendo la tendenza, le emissioni di CO2 del nostro sistema energetico nel 2015 sono aumentate del 3,5% rispetto all'anno precedente. Visto anche il brusco rallentamento delle rinnovabili è il caso di ricominciare ad accelerare nella transizione energetica.

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Le energie rinnovabili rallentano la loro crescita, diminuisce la loro produzione per circostanze meteorologiche, ed ecco che le emissioni di gas serra tornano ad aumentare, ricordandoci che non è assolutamente il caso di tirare i remi in barca o, ancor peggio, di ostacolare le fonti pulite come questo governo sta facendo.

Sì può commentare così il dato preliminare diffuso ieri da Eurostat sulle emissioni di CO2 del nostro sistema energetico, che nel 2015 sono cresciute del 3,5% rispetto all’anno precedente, mentre a livello europeo sono salite dello 0,7%.

Nel 2014, ricordiamo, le emissioni dell’UE erano scese del 5% e quelle dell’Italia del 6,9% (vedi allegati in basso).

I nuovi dati Eurostat

Guardando ai vari Stati membri (grafico sotto) si vede che l’Italia nel 2015 è al sesto posto tra i Paesi in cui le emissioni per usi energetici sono cresciute di più.

Il peggiore risultato lo ha ottenuto la Slovacchia (+9,5% nei confronti del 2014), seguita da Portogallo (+8,6%), Ungheria (+6,7%), Belgio (+4,7%) e Bulgaria (+4,6%), mentre a tagliare di più le emissioni è stata Malta (-26,9%), seguita da Estonia (-16%), Danimarca (-9,9%), Finlandia (-7,4%) e Grecia (-5%).

A livello assoluto (si veda tabella nell’allegato), l’Italia è terza per emissioni legate all’energia nell’UE e contribuisce al 10,6% della CO2 rilasciata nell’Unione. Lo Stato membro che emette di più è la Germania (23% dei rilasci totali UE), seguita dal Regno Unito (12,5%); dopo il nostro Paese, la Francia (9,9%), e la Polonia (9,2%).

Emissioni, domanda, Pil e rinnovabili

Come dicevamo è difficile non collegare l’aumento delle emissioni in Italia alla frenata che le fonti rinnovabili hanno registrato a livello nazionale.

Anche se va detto che la domanda elettrica, per la prima volta dopo quattro anni, nel 2015 è tornata a crescere (+1,5 con 315,2 TWh, +1,3% in termini decalendarizzati), la maggior quantità di CO2 emessa difficilmente può essere ricondotta alla (quasi impercettibile) ripresa economica. Nel 2015, infatti, il Pil è aumentato solo dello 0,8% rispetto al 2014 e sappiamo che il rapporto tra prodotto interno lordo e fabbisogno energetico è sempre più debole nel nostro Paese: è sceso di quasi 9 punti percentuali dal 2010 al 2014.

Più della variazione della domanda sembra contare il fatto che nel 2015, per la prima volta negli ultimi anni, questa è stata soddisfatta meno con le rinnovabili e più con le fossili. Sui consumi elettrici il termoelettrico ha dato l’anno scorso 13 TWh in più rispetto al 2014 (elaborazione QualEnergia.it da dati Terna), mentre la produzione da rinnovabili è scesa di ben 11,6 TWh, circa il 9,6% in meno sul 2014, passando da 120,8 a 109,1 TWh, un livello più basso anche di quello del 2013.

La frenata delle rinnovabili

Ovviamente non è che l’anno scorso che si siano smantellati impianti a rinnovabili: il crollo è stato dovuto soprattutto alle condizioni meteo, che hanno portato a un fortissimo calo nella produzione da idroelettrico che nel 2015 ha pesato per il 40,7% della produzione da rinnovabili e nel 2014 contava per il 49,3%.

È vero però che la crescita delle altre rinnovabili, dal 2014 quasi ferma rispetto agli anni precedenti, non è bastata a compensare la defaillance dell’idro. E la situazione non è per niente rassicurante: nel 2015, stimano gli analisti dell’Energy & Strategy Group, il valore degli investimenti in rinnovabili elettriche in Italia si è fermato a 2 miliardi di euro, contro gli oltre 10 del 2010.

Complessivamente la potenza da FER installata è cresciuta solo dell’1,8% rispetto al 2014, arrivando a 50,3 GW, con un parco impianti che è composto per un terzo della sua capacità da idroelettrici (il 95% dei quali in esercizio ben prima del 2008)

Nemmeno le prospettive per i prossimi anni sono buone e la causa è lo stallo del mercato che si sta producendo per questioni politiche: in primis le riforme che ostacolano la diffusione del FV (spostando verso le componenti fisse i costi elettrici) e la mancanza di un meccanismo incentivante stabile per le altre rinnovabili elettriche. Il nuovo Renewable Energy Report dell’E&S Group (che sarà presentato domani) prevede per il periodo 2016-2020 una crescita delle rinnovabili elettriche rispetto all’installato alla fine del 2015 del +7%, da confrontare con l’aumento del 43% che si è avuto dal 2010 al 2015.

Sonni sotto gli allori e target 2020

Chi vuole mettere un argine alle rinnovabili (e come visto ci è riuscito) fa presente che con un ampio anticipo siamo già oltre l’obiettivo UE 2020 sulle energie pulite. In effetti già nel 2014 i consumi complessivi di energia da rinnovabili (elettricità, consumi termici e trasporti) erano a 20,2 Mtep e al 17,07% dei consumi finali, sopra l’obiettivo assegnatoci dall’UE per il 2020, del 17%.

Non ci si può però addormentare sotto agli allori: nel 2015 il contributo delle rinnovabili è cresciuto solo di 0,9 Mtep e, se ora siamo al 17,3% dei consumi finali, va ricordato che la ripresa economica e il relativo aumento della domanda di energia potrebbe rimandarci sotto al target.

Al di là di questo, infine, va sottolineato che parlando di investimenti in energia non si può guardare a un orizzonte che si ferma a tra 4 anni, cioè al 2020: dobbiamo prepararci già ora per i target 2030 e 2050.

Anche perché con ogni probabilità la transizione energetica, incalzata dall’emergenza clima, dovrà accelerare nei prossimi anni e, come ci insegnano i lavori su clima ed energia di vari economisti, quelli di lord Nicholas Stern in primis, chi agisce prima spende meno.

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