Referendum, come rispondere a 10 luoghi comuni

  • 15 Aprile 2016

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Le risposte del WWF a 10 luoghi comuni sul Referendum del 17 aprile, con cui si chiede se cancellare o meno la norma che consente alle società petrolifere di cercare ed estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia marine dalle coste italiane senza limiti di tempo. Votando “Sì” i cittadini avranno la possibilità di cancellare la norma.

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Domenica 17 aprile saremo chiamati a votare per stabilire se cancellare o meno la norma che consente alle società petrolifere di cercare ed estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia marine dalle coste italiane senza limiti di tempo.  Votando “Sì” i cittadini avranno la possibilità di cancellare la norma sottoposta a referendum.

Ribadendo l’importanza della vittoria del Sì, il WWF risponde a 10 luoghi comuni sul Referendum:

  1. Il quesito è troppo tecnico – È il Governo che ha introdotto una norma nella Legge di Stabilità 2016, approvata dal Parlamento, che chiede di non tenere conto del termine delle concessioni offshore entro la fascia delle 12 miglia vietata alle trivellazioni. Ed è la Corte Costituzionale che ha deciso di sottoporre la norma a referendum popolare, perché ha ritenuto che la norma contenga una proroga indefinita e ingiustificata.
  2. Il voto è irrilevante – Non è indifferente che si decida di prorogare di fatto, in contrasto con le norme comunitarie, le concessioni a 88 piattaforme che per il 48% ha più di 40 anni di età e che per il 35% viene classificato “non erogante”; si rischia così di avallare l’interesse delle aziende (in primis ENI) a non smantellare le piattaforme e procedere al ripristino ambientale dei luoghi.
  3. Tutto bene per l’ambiente – Il WWF ha dimostrato che ben il 47,7% delle piattaforme per l’estrazione di gas e petrolio (42 su 88) entro la fascia delle 12 miglia, sono state costruite prima del 1986 (data di entrate in vigore in Italia della VIA) e quindi mai sottoposte a Valutazione di Impatto Ambientale, 40 delle quali sono in Adriatico (26 davanti alla costa romagnola).
  4. Non c’è alcun rischio di incidente – Dal 1955 ad oggi (secondo i dati SINTEF – Offhsore Blowout Database) ci sono stati 573 sversamenti di petrolio in tutto il mondo (blowout). Un incidente grave come quello della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon del 2010 ha provocato il più grave inquinamento mai prodotto nei mari USA e un danno (anche all’ambiente) stimato in 20 miliardi di dollari.
  5. Le attività di estrazione offshore non inquinano – Nella fase di ricerca geosismica l’air-gun genera “esplosioni” che possono provocare danni permanenti ai cetacei o la loro morte (fonte: ISPRA, istituto di ricerca del Ministero dell’Ambiente). Nella fase di estrazione possono generarsi fenomeni di subsidenza (con abbassamento dei fondali e erosione delle spiagge) e vengono usate sostanze pericolose o tossiche contenute nelle “acque di produzione” e nei “fanghi perforanti”.
  6. Lo Stato ci guadagna – Come dimostrato dal WWF solo 18 (21%) delle 69 concessioni off-shore pagano le royalty del 7% sul valore del petrolio e del 10% sul valore del gas estratto in mare. Su 53 aziende estrattive solo 8, grazie ad un sistema di esenzioni, sono quelle che pagano le royalty allo Stato e alle Regioni. L’IRES, la tassa sul reddito delle aziende, è al 27,5%, come per ogni altra impresa. E numerosi sono gli incentivi e le agevolazioni.
  7. Aumenta l’occupazione – Assorinovabili (l’associazione delle aziende delle energie rinnovabili) ha calcolato che solo il decreto “Spalma Incentivi” ha fatto perdere almeno 10mila posti di lavoro. In Basilicata, che produce il 70% del petrolio italiano e il 20% del gas, sono solo 1600 le persone occupate nel settore dell’estrazione degli idrocarburi e 2400 nell’indotto. Le attività estrattive mettono a rischio 47mila aziende turistiche costiere e 60mila posti di lavoro nella pesca.
  8. La biodiversità prospera – Le sostanze inquinanti prodotte a regime, e a maggior ragione in caso di incidente, sono pericolose o tossiche (le “acque di produzione” provenienti da installazioni a gas sono 10 volte più tossiche di quelle petrolifere). Gli idrocarburi policiclici aromatici contenuti nel greggio hanno effetti anche cancerogeni e mutageni. L’inquinamento chimico di routine e l’onda nera hanno effetti mortali a lungo termine o immediati su pesci, cetacei e uccelli marini.
  9. Le scelte istituzionali sono meditate –  È dal 1988 che in Italia non viene fatto un Piano Energetico Nazionale. La Strategia Energetica Nazionale pro-fossili del 2013 è nata morta e non ha mai avuto alcuna credibilità. Nella Legge di Stabilità 2016 è stato cancellato il Piano delle aree per lo svolgimento delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi che doveva essere sottoposto a Valutazione Ambientale Strategica (VAS).
  10. Le fonti fossili sono fondamentali – Secondo stime del Ministero dello Sviluppo Economico le riserve di petrolio individuate in mare coprirebbero il fabbisogno energetico nazionale per sole 7 settimane e le piattaforme offshore nella fascia offlimits delle 12 miglia producono solo l’1.9% del fabbisogno nazionale di gas. Mentre per il WWF l’obiettivo 100% rinnovabili entro il 2050 in Italia è conseguibile.
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