Alla ricerca dell’indipendenza energetica. Il caso tedesco e l’Italia

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I costi per le importazioni da fonti fossili in diversi Paesi europei sono diventati negli anni un vero fardello per l’economia, superando anche il 3% del Pil. In Germania la quota di import di energie fossili in continua crescita è stata però attenuata dallo sviluppo delle rinnovabili e dell'efficienza energetica. E in Italia?

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Un tema discusso in questi giorni, ai margini delle vicende sullo scandalo Total e del referendum sulle trivelle, è quello della sicurezza e dell’indipendenza energetica del Paese. Secondo il governo, le fonti fossili (nazionali poche e importate la quasi totalità) continueranno ad essere una parte rilevante del mix energetico del futuro. Un giorno il presidente del consiglio afferma che le rinnovabili hanno da noi raggiunto un livello pressoché massimo e, il giorno seguente, che si vuole coprire il 50% del fabbisogno elettrico con le fonti pulite, addirittura entro il 2018. Ma al momento non c’è nessuna visione a medio termine per dire sia una cosa o l’altra.

Prima di rivedere la fattura energetica italiana, vediamo chi ha messo veramente in piedi negli anni una strategia concreta al 2050 per ridurre anche i costi dell’import di energia: la Germania.

Nel 1990 quasi il 60% dell’energia primaria sui consumi tedeschi era importata; una quota che è arrivata al 70% nel 2000. I costi per le importazioni da fonti fossili in Germania, come in altri Paesi europei, sono diventati negli anni un vero fardello per l’economia. Nel 2011 hanno raggiunto la cifra di 85 miliardi di euro, pari al 3,3% del Pil (+0,8% rispetto al 1995).

Secondo alcuni analisti ogni aumento del prezzo del petrolio di 10 $ a barile si tradurrebbe per la Germania in un costo della bolletta energetica annuale di 6,5 mld di euro. Con l’aumento dei costi del greggio degli scorsi anni, IRENA (International Renewable Energy Agency) ha mostrato come nel 2013 il costo dell’import di fossili del Paese abbia superato i 110 miliardi di dollari, di cui 50 solo per il gas proveniente soprattutto da Russia, Olanda e Norvegia.

La quota di import di energia fossile in continua crescita è stata però attenuata dallo sviluppo spinto di politiche pro-rinnovabili. In seguito, è grazie all’Energiewende, il programma di transizione energetica del Paese, che si è potuto evitare un costo delle importazioni ancora più elevato. Proprio con lo sviluppo delle fonti rinnovabili e di misure per l’efficienza energetica nel 2011 si stima siano stati risparmiati 31 miliardi di euro, di cui oltre 7 mld direttamente legati alla generazione da rinnovabili (nel 2012 i risparmi per import ammontavano a 36 mld di €). Una cifra importante anche per una grande nazione industrializzata come la Germania, che al 2020 potrebbe arrivare a 50 miliardi di € di riduzione dell’import di fossili, solo grazie alle fonti rinnovabili (vedi grafico).

Uno studio del 2014 del Fraunhofer IWES ha dimostrato che la crescita delle rinnovabili prevista al 2030 potrebbe sostituire completamente l’equivalente degli attuali consumi tedeschi di gas russo.

Nei prossimi mesi avremo i dati ufficiali del 2015 per la Germania. Ma intanto sappiamo che nei primi sette mesi dello scorso anno le rinnovabili hanno prodotto il 35% dell’elettricità tedesca: per capire meglio, oggi solare ed eolico producono quanto le centrali alimentate a lignite (un combustibile fossile domestico, ma con elevatissime emissioni). Quindi i passi fatti finora sono significativi.

Le rinnovabili hanno dunque abbassato la dipendenza media annuale dalle importazioni energetiche, come si può anche vedere nel grafico sotto (clicca per ingrandire). Una quota di rinnovabili “domestiche“ prevista al 60% per il 2050 sui consumi finali di energia potrebbe portare, come si vede, ad una considerevole indipendenza energetica della Germania.

Si valuta che un risparmio di energia dell’1% all’anno consenta una riduzione dell’import di circa 2,4 mld di euro/anno; un contributo stimabile pari al doppio di quello legato alle installazioni da fonti rinnovabili. Ma entrambe devono essere le strade da percorrere.

Parlando dell’Italia, si stima che per il 2015 la fattura energetica dell’anno registrerà probabilmente un calo di quasi 10 miliardi di euro, pari al 22% rispetto al 2014: 34,7 miliardi di euro contro i 44,6 miliardi del 2014. La riduzione della spesa è connessa soprattutto all’andamento delle quotazioni petrolifere ed è avvenuta nonostante nel 2015 i consumi totali di energia italiani siano cresciuti del 3% (QualEnergia.it).

L’Italia ha raggiunto oggi il livello di dipendenza energetica più basso dal 1990: la quota delle importazioni nette sul consumo interno lordo in Italia è scesa al 76,9%. Una percentuale ancora molto più alta della media europea (53,2%), ma che in 10 anni si è ridotta di oltre 7,1 punti percentuali.

È chiaro come questi dati siano collegati al crollo del prezzo del petrolio avvenuto nella seconda metà dell’anno e alla crisi economica, ma il “merito” è anche da ascrivere alla crescita delle rinnovabili. Daremo presto una stima di quanto è realmente il peso su questo aspetto delle politiche per le rinnovabili e l’efficienza.

Intanto per il 2016, ipotizzando un prezzo del barile di greggio tra 45 e 55 $, e un cambio euro-dollaro tra 1,05 e 1,15, la forchetta della probabile fattura petrolifera sarà tra 15,3 e 20,5 miliardi, cioè si va da un calo di 900 milioni a un aumento di 4 miliardi di euro. Di conseguenza la fattura energetica potrà oscillare dai 34 ai 37,5 miliardi.

Allora la domanda al nostro governo è: non sarà arrivato il momento di accelerare nella produzione da rinnovabili elettriche e termiche e rafforzare le misure di risparmio ed efficienza energetica, riuscendo così a liberare un po’ di risorse per il Paese? Non vogliamo che la risposta implicita sia ancora: “dalle fossili arriva un bel gettito, dal sole e dal vento molto molto meno?” Tutto ciò – sia detto – al netto del ruolo delle lobby dell’energia tradizionale.

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