Il fotovoltaico fatto in comunità rende di più

Uno studio condotto da ricercatori della Oregon University e pubblicato su Applied Energy spiega come gruppi di 10-20 famiglie che installano e gestiscono i propri impianti fotovoltaici con un approccio "comunitario" riescano ad avere una produzione del 5-10% più alta e rischi minori rispetto ad un approccio individuale.

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Mettiamo il caso di essere in un quartiere o in una piccola cittadina. Se ognuno monta il proprio impianto fotovoltaico sul tetto e lo gestisce per conto proprio, l’elettricità pulita prodotta sarà inferiore al caso in cui la stessa potenza FV venga installata (sempre su tetto) nell’ambito di un progetto comunitario e gestita in collaborazione con altri.

A mostrarlo è un nuovo studio condotto da ricercatori della Oregon University. Secondo la ricerca, pubblicata su Applied Energy con il titolo “Mean-variance portfolio analysis data for optimizing community-based photovoltaic investment” (abstract in basso), l’approccio comunitario all’installazione e gestione degli impianti permetterebbe di avere una produzione del 5-10% più elevata, oltre a ridurne la variabilità e a migliorare la prevedibilità.

“Raggruppando 10 o 20 case i cui proprietari siano tutti interessati ad avere energia solare, possiamo ottimizzare l’uso e il posizionamento dei moduli FV, dividendo i risparmi tra tutti. Un approccio del genere è particolarmente indicato in vicinati in cui vi siano ampie variazioni in termini di irraggiamento e disposizione degli edifici”, spiega Mahmoud Shakouri, uno degli autori.

L’approccio usato prende a prestito formule dalla teoria economica, come quelle usate per valutare la gestione dei rischi nella gestione di portafogli di investimento. Dato l’alto costo di investimento iniziale di un impianto FV, si spiega, ridurre i rischi sui ritorni nel lungo termine è molto importante per chi è interessato a questa tecnologia.

In un caso di studio citato nella ricerca, 24 abitazioni a Corvallis, in Oregon, con estati particolarmente assolate ma inverni con scarsa radiazione solare, quindi in un contesto non ideale per il FV, l’approccio comunitario ha permesso di migliorare nettamente le prestazioni: +4,6% nella produzione e una volatilità dell’output ridotta del 4,3%.

Nel mondo sono diverse le nuove esperienze interessanti di solare di comunità.  Recentemente abbiamo raccontato come sia negli Usa che in Germania si stanno sperimentando sistemi peer to peer, da utente a utente, mutuati da Internet, che permettono lo scambio diretto dell’energia rinnovabile.

Sempre negli Stati Uniti c’è un grande interesse per le reti di quartiere, che permettono di essere autonome o parzialmente autonome dalla rete cittadina; sono state incoraggiate a New York dopo l’uragano Sandy, e si è dmostrato come queste unità di produzione e distribuzione dell’elettricità siano state le uniche sopravvissute al blackout di quei giorni.

Al solare condiviso nelle sue varie declinazioni, il NREL di recente ha dedicato uno studio: queste configurazioni al 2020 potrebbero contribuire per il 32-49% del mercato statunitense del FV su tetto, portando ad un installato cumulativo, nel periodo 2015-2020, che va da 5,5 a 11 GW, per investimenti tra 8,2 e 16,3 miliardi di dollari.

Un vero e proprio giacimento di energia da sfruttare portando benefici ai molti consumatori coinvolti.

Mahmoud Shakouri, Hyun Woo Lee. “Mean-variance portfolio analysis data for optimizing community-based photovoltaic investment” (abstract in pdf)

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