Trivelle, posti di lavoro, rischi ambientali e mistificazioni fossili

  • 1 Aprile 2016

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Enzo Di Salvatore, costituzionalista e cofondatore del Coordinamento nazionale No Triv, ha parlato oggi a Roma del referendum del 17 aprile, spiegando quanta esagerazione ci sia sulla perdita di posti di lavoro. Il traffico per la raffinazione all'estero del nostro greggio è un altro rischio per i nostri mari.

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Sulla vicenda trivelle “si sta facendo molta confusione, specialmente per quanto riguarda la perdita dei posti di lavoro. Ma la verità è che, se dovesse vincere il SI, il giorno dopo non si perderà un solo posto di lavoro”. Lo dice Enzo Di Salvatore, costituzionalista e docente di diritto costituzionale all’Università di Teramo e cofondatore del Coordinamento nazionale No Triv, che oggi in un convegno a Roma ha parlato del referendum che il 17 aprile manderà gli italiani alle urne per decidere se bloccare le trivellazioni di idrocarburi entro le 12 miglia.

Si afferma che l’importazione di gas e petrolio spaventerebbe coloro che temono disastri ambientali nei nostri mari. “È sbagliato – avverte Di Salvatore  – perché solo il 7% del gas viaggia su navi, il resto tramite gasdotti”. Piuttosto, è continuando a seguire questo spartito che si rischia grosso. “La raffinazione del nostro greggio avviene spesso all’estero – ricorda Di Salvatore – ed è quello il traffico che può diventare pericoloso. Il Golfo di Taranto è una bomba ad orologeria, anche per questa ragione”.

“La norma – ricorda Di Salvatore, più volte interpellato anche da QualEnergia.it – incide sia sulle concessioni che sui permessi di ricerca già rilasciati. Le concessioni al momento sono 44 – 39 di gas, 5 di petrolio – i permessi già rilasciati sono invece 12″.

Secondo cofondatore del Coordinamento nazionale No Triv sulla questione regnano ancora “confusione e mistificazioni, ognuno da’ i suoi numeri. Siamo passati da 2.500 a oltre 130mila lavoratori nel settore a rischio, ma dagli unici dati ufficiali che ho trovato sono quelli dell’Unione Petrolifera e sono aggiornati al 2010, quando nell’intero comparto (mare e terra) c’erano 34mila lavoratori”.

Quasi tutte le concessioni scadranno tra 5-10 anni, quindi ci sarebbe anche il tempo di gestire eventualmente l’aspetto occupazionale. Respinte poi al mittente anche le ragioni del fabbisogno di gas e petrolio in Italia. “La perdita in termini di incidenza – dice Di Salvatore – è minima. Stiamo parlando dell’1% del petrolio estratto entro le 12 miglie, e del 2% di gas. Anche i posti di lavoro vanno commisurati a questa eventuale perdita”.

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