Il Giappone tra corsa alle rinnovabili e zombie nucleari

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Il disastro nucleare ha fatto danni incalcolabili. Fermate le centrali, il Paese ha puntato tantissimo su efficienza energetica e rinnovabili, fotovoltaico in primis. Ora il governo Abe sta riavviando alcuni impianti atomici, scontrandosi con opinione pubblica e problemi di sicurezza. Ma Fukushima, per questa tecnologia, è stata l'inizio della fine.

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A cinque anni dal disastro atomico di Fukushima, il primo ministro del tempo, Naoto Kan, dichiara: “il futuro del Giappone era a rischio. Stavamo pensando di evacuare 50 milioni di persone, Tokyo inclusa, e di dichiarare la legge marziale: siamo stati a un soffio da una tragedia incalcolabile”. E il responsabile dell’impianto Masao Yoshida ha confessato che, nella confusione più totale seguita all’incidente, aveva pensato di fare hara-kiri.

Danni incalcolabili e difficili da sanare

Le responsabilità della società elettrica che gestiva l’impianto sono notevoli, sia per errori nella fase progettuale, sia nella gestione dell’evento. Un processo è in corso perché, pur sapendo che l’impianto non avrebbe retto ad uno tsunami, la Tepco aveva sottodimensionato le difese. Un’ora dopo il terremoto dell’11 marzo 2011, un’ondata di 15 metri si abbatté sui reattori interrompendo l’erogazione di energia elettrica, mandando in tilt tutti i sistemi di sicurezza e provocando la fusione delle barre di uranio di tre reattori.

Ma qual è la situazione attuale, quali sono i rischi ancora presenti, come avanza l’opera di decontaminazione della centrale e dei territori circostanti? Gli impatti ambientali e sanitari si prolungheranno per molte decine di anni. Secondo Greenpeace, che ha condotto in questi anni 25 campagne di monitoraggio, nove milioni di metri cubi di sostanze contaminate sono sparsi nella provincia di Fukushima: una parte degli elementi radioattivi assorbiti dalle piante e dagli animali verrà rilasciata nel corso dei prossimi decenni nei terreni o andrà a finire nell’oceano.

La costruzione di una gigantesca parete lunga 780 metri e inserita per 30 metri nel sottosuolo dovrebbe ridurre da 400 a 10 le tonnellate di acqua contaminata da cesio-137 e stronzio-90 riversate giornalmente in mare.  Infine, per isolare gli edifici dei quattro reattori distrutti evitando la contaminazione del sottosuolo, la Tepco intende congelare il terreno in profondità, una volta ottenuta l’approvazione dell’Autorità di controllo nucleare che, al momento, nutre qualche perplessità sull’impatto di questa opera.

La regione è ancora sotto choc. Oltre 100.000 persone sono state infatti evacuate e, secondo le valutazioni del governo, potranno ritornare nelle loro case nel 2021.

Ci vorrà ancora parecchio tempo per una valutazione precisa dei costi dell’incidente. Si parla comunque di cifre gigantesche, che potrebbero superare i 250 miliardi di dollari, di cui 57 miliardi solo per le compensazioni alle popolazioni locali (42 miliardi già erogati).

La corsa alle rinnovabili e all’efficienza energetica

L’impatto del disastro è stato enorme, sia in Giappone che a livello internazionale. Nel paese tutte le 54 centrali nucleari sono state fermate. La necessità di sostituire rapidamente il loro contributo ha portato ad adottare soluzioni diverse.

Sono aumentate le importazioni di combustibili fossili ed è partita la corsa alle rinnovabili che ha visto, tra il 2013 e il 2015, l’installazione record di 26 GW fotovoltaici, con altri 9 GW previsti per il 2016.

La prefettura di Fukushima, drammaticamente colpita dal disastro, vuole arrivare a soddisfare il 100% dei consumi elettrici dei due milioni di abitanti con le rinnovabili entro il 2040.

Particolarmente interessanti sono i risultati con le misure di efficienza energetica, che hanno consentito nel 2013 di risparmiare 79 TWh, equivalenti alla produzione di 13 reattori.
Si è partiti, sull’onda dell’emozione, con interventi volontari mirati a ridurre i consumi di illuminazione, di climatizzazione e di altri usi elettrici, sostenuti da un movimento popolare, chiamato “Setsuden”, che ha coinvolto famiglie e imprese. Questi elementi comportamentali hanno garantito una loro efficacia anche dopo il primo periodo critico.

Si sono poi aggiunte misure più strutturali per innalzare l’efficienza energetica nell’industria e nel settore civile. Il conglomerato industriale Komatsu, per esempio, ha ridotto i costi energetici del 40% in tre anni. Nel settore domestico, la diffusione incentivata dei LED ha consentito a questa tecnologia di coprire nel 2013 il 54% del mercato dell’illuminazione, il doppio della media mondiale.

La difficoltosa e controversa ripartenza di alcune centrali

Il governo Abe, ribaltando le decisioni della precedente amministrazione, sta ora attivamente spingendo per il riavvio di una parte delle centrali che erano state fermate. E questo, malgrado l’opinione pubblica sia ancora ostile all’atomo, con meno di un terzo dei cittadini favorevole alla riavvio del nucleare.

Due reattori, Sendai 1 e 2, hanno ripreso l’attività alla fine del 2015. Altri due reattori, Takahama 3 e 4, erano stati riattivati nel 2016, ma proprio questa settimana il tribunale locale ne ha ordinato la chiusura per motivi di sicurezza, un duro colpo per il governo.

Nei prossimi tre-quattro anni si vedrà quante centrali effettivamente ricominceranno a produrre. Vista la notevole complessità delle procedure di riattivazione, anche a causa dei rischi sismici e vulcanici, sarà improbabile che il contributo arrivi a superare la metà di quanto forniva il nucleare prima dell’incidente (29%).

L’impatto sul nucleare nel mondo

Ma le onde d’urto di Fukushima si sono propagate in tutto il mondo, con un rallentamento delle realizzazioni di nuovi impianti, la costosa revisione dei reattori esistenti e l’uscita dal nucleare di alcuni paesi. L’indebolimento del ruolo dell’atomo appare ancora più marcato se si analizza il contributo alla produzione elettrica mondiale che dal 18% del 1996 è sceso all’11% nel 2014, anno che però sconta il blocco giapponese.

Visto la frenata dei nuovi impianti, non stupisce che l’età media dei reattori sia elevata, 29 anni, e che 54 impianti abbiano superato i 40 anni di vita.

La causa principale della crisi del settore è economica. I costi crescenti sono strettamente correlati all’ostilità e alla diffidenza nei confronti della tecnologia: i maggiori livelli di sicurezza hanno reso sempre meno competitivi gli impianti.

Il panorama generale del nucleare è piuttosto deprimente. Negli Usa, a fronte di quattro impianti in costruzione, ne sono stati chiusi cinque negli ultimi due anni. La realizzazione di due nuovi reattori in Europa – Olkiluoto e Flammanville – si è trasformata in un vero incubo con tempi dilatati di 13 anni e costi triplicati.

Clamoroso, infine, il caso della centrale inglese di Hinkley Point C: l’elettricità verrebbe infatti acquistata per 35 anni a un prezzo, 92,5 sterline a MWh, doppio rispetto ai valori di mercato. Malgrado queste condizioni, la francese EDF, che dovrebbe costruirla, continua a rimandare la firma del contratto per timore, come ritengono i lavoratori della società, che questo impegno decreterebbe il crollo della società. Una crisi che ha già investito il costruttore d’oltralpe di reattori nucleari, Areva, che ha i conti in rosso da cinque anni, con 2 miliardi € di perdite nel 2015.

In questo panorama di difficoltà fa eccezione la Cina che, per uscire dal carbone punta su tutte le tecnologie e conta di avere alla fine del decennio 58 GW nucleari, 100 GW solari e 200 GW eolici.

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