Clima, giustizia e democrazia diretta: Naomi Klein spiega il Leap Manifesto

“È il tempo della democrazia energetica”. L'autrice di "This Changes Everything", "Shock Economy" e "No Logo" parla del nuovo manifesto per per una società più giusta, sostenibile e al 100% a energia rinnovabile. Un documento made in Canada ma che piace ai movimenti di tutto il mondo.

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Leap” in inglese significa “balzo” o “salto”, ma “leap year” è anche l’anno bisestile, come il 2016. E per affrontare la sfida del clima, strettamente legata a quella della giustizia sociale e della democrazia, serve “un grande balzo in avanti”, nonostante la citazione semi involontaria del piano maoista, ammette Naomi  Klein, strida con quel che si vuole fare. 

Si può riassumere così la spiegazione che Naomi Klein dà sul Guardian dell’origine del nome del Leap Manifesto, la piattaforma di idee per una società più equa e al 100% a rinnovabili, nata per il Canada, ma adottata da vari movimenti in giro per il globo.

Nel suo intervento sul quotidiano britannico, Klein, che ha dedicato al cambiamento climatico il suo ultimo saggio, “This Changes Everything” (traduzione italiana “Una rivoluzione ci salverà. Perché il capitalismo non è sostenibile”), spiega qual è il salto che bisogna compiere: tra quello che bisogna fare per evitare il disastro e ciò che si sta facendo in realtà.

Il gap, scrive, è quello tra l’obiettivo sbandierato dopo l’accordo di Parigi – fermare il global warming a 1,5-2 °C dai livelli preindustriali – e il comportamento di politici (il riferimento è a quelli canadesi, ma andrebbe bene anche per il governo italiano), “che una volta tornati a casa (dalla CoP 21, ndr) autorizzano nuove trivellazioni, nuovi oleodotti, nuove autostrade”.

“I climatologi – si legge nel manifesto (link in fondo) – ci hanno annunciato che le azioni decisive per evitare un riscaldamento globale del pianeta devono essere attuate nel corso di questi decenni. Ciò vuol dire che non possiamo più giungere alla meta a piccoli passi. Noi dobbiamo fare un passo in avanti.”

Il momento per fare il salto, “è quello buono”, spiega sul giornale britannivo l’autrice di “No Logo”, citando le recenti vittorie dei movimenti contro l’oleodotto Keystone XL, contro le trivellazioni di Shell nell’Artico e “la forza sorprendente della campagna di Bernie Sanders” nelle primarie democratiche per le presidenziali americane.

Il leap manifesto ha raccolto moltissime adesioni di associazioni, movimenti e singoli in Canada, dove il 29 febbraio – il “Leap Day”, il giorno in più dell’anno bisestile – ci saranno eventi, convegni e seminari dedicati a questa piattaforma. Ma come detto sta rimbalzando anche tra i movimenti del resto del pianeta ed europei.

Più di altri documenti, infatti, il Leap Manifesto mostra come giustizia sociale, democrazia partecipativa e lotta ai cambiamenti climatici non possano che andare di pari passo.

“È giunto il tempo – si legge – della democrazia energetica: crediamo non solamente che abbiamo bisogno di nuove risorse di energia, ma anche che le comunità dovrebbero, fin dove possibile, controllare collettivamente questi nuovi sistemi di produzione energetica. Per sostituire le strutture di proprietà che servono il profitto delle imprese private e la distante burocrazia di certi Stati centralizzati, noi ne possiamo creare delle nuove, innovatrici, democraticamente governate, che fornirebbero dei salari sufficienti e permetterebbero di dare alle comunità le entrate di cui hanno gran bisogno.”

Sotto accusa sono, infatti, decisioni di investimento che ci legano a modelli di sviluppo autodistruttivi, alimentati da interessi che non sono quelli della collettività: “nulla – recita il documento – può giustificare la costruzione di nuovi progetti di infrastrutture che ci obbligano a continuare ad accelerare il ritmo di estrazione di risorse nei decenni che verranno.”

Tra i passaggi del manifesto ci sono vari richiami ai benefici che la green economy può produrre per le fasce più deboli della popolazione. Si parla ad esempio di “un programma universale che miri a costruire delle case eco-energetiche e a rinnovare le dimore esistenti, assicurando che le comunità e i quartieri più svantaggiati saranno i primi a beneficiarne e potranno offrire formazione professionale ai loro abitanti e cogliere altre occasioni per lottare contro la povertà in maniera duratura.”

Anche l’abbandono delle fossili dovrà essere gestito in maniera socialmente sostenibile: “Essenziale – si continua – che i lavoratori dei settori d’impiego a forte emissione di carbonio abbiano accesso a una formazione e risorse adeguate affinché tutte e tutti abbiano la capacità di contribuire ad una economia energetica verde .”

Non manca ovviamente l’attacco agli accordi internazionali, come il TTIP, che potrebbero danneggiare ambiente e diritti, solo per tutelare delle imprese: bisogna “porre un freno agli accordi commerciali che danno alle imprese il potere di alimentarsi con gli sforzi che noi facciamo per ricostruire le economie locali, per regolamentare le società private e fermare le attività di estrazione dannosa.”

Per finanziare il cambiamento poi va riformata la fiscalità in modo da ricomprendere nel conto anche i costi per ambiente e collettività. Per questo si invita a “mettere un termine alle sovvenzioni destinate allo sfruttamento e al consumo delle energie fossili, imporre una tassa sulle transazioni finanziarie, accrescere i canoni petroliferi, aumentare l’imposta sui proventi delle imprese private e dei più ricchi, introdurre una tassa progressiva sul carbone, tagliare le spese militari. Tutte queste misure si ispirano al principio del ‘chi inquina paga’ e sono molto promettenti.”

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