Il barile low-cost spinge le rinnovabili nei Paesi esportatori

CATEGORIE:

Le nazioni che esportano greggio, messe in difficoltà dal barile a prezzi stracciati, stanno puntando sempre di più sulle fonti rinnovabili. L'obiettivo è di tagliare i consumi interni. Una strategia che darà benefici anche per quel che riguarda occupazione e consumi idrici. Un nuovo report dell'organizzazione IRENA.

ADV
image_pdfimage_print

Il petrolio a basso prezzo non rallenta la corsa delle rinnovabili. Lo conferma il record di investimenti in energia pulita registrato nel 2015 (329 miliardi di $), e lo ribadisce quanto sta avvenendo nei Paesi che esportano greggio: i petrolieri, messi in difficoltà dal barile a prezzi stracciati, stanno puntando sempre di più su rinnovabili ed efficienza energetica.

Una scelta quasi obbligata visti gli ingenti vantaggi che le nuove fonti energetiche possono dare a quei Paesi: secondo un nuovo report dell’International Renewable Energy Agency (IRENA), nei del Golfo, gli obiettivi sulle fonti pulite creeranno oltre 200mila posti di lavoro e taglieranno di un quarto il consumo di petrolio nel settore elettrico.

Obiettivo: tagliare i consumi interni

Con il barile sui 30$ – e le previsioni di prezzi bassi almeno fino al 2017 – i Paesi produttori come Arabia Saudita, Russia, Iran, Kuwait, Emirati Arabi e altri stanno cercando alternative energetiche: lo spiega bene un articolo del Guardian scritto a margine dell’incontro organizzato dall’IRENA che si è tenuto la settimana scorsa ad Abu Dhabi.

Obiettivo della spinta verde che accomuna i petrolieri è tagliare i consumi interni, per attutire l’impatto economico del crollo del barile. Dal 2000 la domanda di energia dei Paesi del Golfo, infatti, è cresciuta del 5% l’anno, più rapidamente in confronto a potenze emergenti come Cina e India. L’Arabia Saudita, maggior esportatore al mondo di greggio, è il settimo consumatore mondiale di combustibili fossili, con una domanda po-capite altissima.

Una spinta a rinnovabili ed efficienza energetica, anche in Iran

Da quando è iniziato il declino dei prezzi del greggio, Arabia Saudita, Iran, Kuwait, Emirati Arabi e altri esportatori hanno messo in campo misure per contenere i consumi, come tagli ai sussidi per l’energia e l’acqua e incentivi all’autoproduzione da fonti rinnovabili.

Ad esempio, tra le interviste realizzata dal Guardian c’è quella a Jafar Mohammadnejad Sigaroudi, dirigente del ministero dell’Energia dell’Iran, che con la fine delle sanzioni torna ad essere un grande esportatore di petrolio e di gas. Sigaroudi annuncia misure di efficienza energetica e di sostegno alle rinnovabili, tra cui i prezzi garantiti e una tassa sulla CO2. “Speriamo di usare il gas per altri scopi, come l’export”, spiega semplicemente.

Il report IRENA sulle ricadute positive

Risparmiare petrolio e gas per venderli, è cosa intuitiva, è una strategia vincente sia nel caso i prezzi siano elevati sia quando siano bassi. Anche perché porta importanti benefici per quel che riguarda i consumi idrici – critici in molti dei Paesi produttori – l’occupazione e la riduzione delle emissioni di gas serra.

Lo mostra chiaramente il nuovo report IRENA (allegato in basso e grafici sotto) sui Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo.

Perseguendo gli obiettivi che si sono dati per il 2030, Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman e Qatar taglieranno i loro consumi di acqua del 16%, ridurranno le emissioni dell’8%, creeranno oltre 200mila posti di lavoro e risparmieranno 400 milioni di barili di petrolio, cioè il 25% dei consumi del settore elettrico.

Il report IRENA “Renewable Energy Market Analysis: The GCC Region” (pdf)

ADV
×