Trasformare un’auto in elettrica: kit, regole, costi. Un nuovo mercato?

Dopo la pubblicazione del decreto ora ci sono le regole e si potrà trasformare un'automobile a benzina o a gasolio in un veicolo elettrico. Come si fa? Quanto costa? In Italia c'è un mercato potenziale tale da far nascere competenze e un'industria dedicata al mezzo elettrico riconvertito?

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Nel 2005 al geologo fiorentino Pietro Cambi venne in testa un’idea meravigliosa: trasformare una Fiat 500 degli anni ’70, in un’auto elettrica. Lui, il professore di chimica dell’Università di Firenze Ugo Bardi e altri “visionari”, si misero all’opera e nel 2007 portarono a compimento l’impresa: con 12.000 euro avevano ottenuto un cinquino che correva per 100 km fra una ricarica e l’altra, senza emettere una sola molecola di CO2.

Finalmente ci sono le regole per farlo

La 500 neo elettrica, aveva un unico difetto: poteva circolare solo con una targa prova, non essendo previsto in Italia quel tipo di cambio di propulsione.
Da allora Cambi, Bardi e altri riuniti nell’associazione Eurozev hanno lottato direttamente, o attraverso vari rappresentanti politici, come gli ex 5 Stelle Ivan Catalano e Mara Mucci e il Pd Andrea Lulli, per ottenere un cambio delle norme.

Con il passare del tempo altri appassionati all’idea di convertire vecchie auto in mezzi elettrici, si sono uniti alla lotta, aumentando la pressione sulla politica nazionale, fino ad ottenere nel 2012 la legge che consente questa conversione, e infine, pochi giorni fa, il decreto attuativo, che fissa le norme pratiche secondo cui la Motorizzazione Civile validerà questo cambio di propulsione nelle auto (QualEnergia.it Trasformare l’auto in elettrica, ora si può: il decreto in Gazzetta).

Pietro Cambi, ci dice che «si tratta del primo regolamento europeo sul tema, dopo che per un decennio si è andati avanti con escamotage molto costosi, come far immatricolare l’auto convertita elettrica come “modello unico”, nei paesi che lo consentivano, come Germania, Malta o Spagna.» Adesso, invece, la conversione da motore a scoppio a motore elettrico dovrebbe diventare una procedura non molto diversa dall’installazione di un impianto di alimentazione a metano o Gpl.

Come avverà l’omologazione e quanto costa

«In pratica – dice Luigino Bari, titolare di una impresa di elettromeccanica e assessore di Confartigianato Vicenza, altra associazione che si è battuta per l’emanazione del regolamento – la procedura ora dovrebbe essere questa: le aziende creeranno dei kit di conversione, composti di motore elettrico, batteria, parti meccaniche ed elettronica, specifici per i vari modelli di auto, facendoli validare dalla Motorizzazione Civile, come accade già per quelli per Gpl. Contemporaneamente si formeranno e si certificheranno officine autorizzate, che monteranno sulle auto i suddetti kit e poi porteranno il mezzo così modificato agli uffici locali della Motorizzazione, che controlleranno il corretto montaggio e daranno, come accade per gli impianti a gas, l’omologazione finale.»

«Mentre il costo della validazione dei kit da parte delle aziende sarà probabilmente piuttosto alto, richiedendo test di laboratorio, l’omologazione per il cliente finale dovrebbe costare poche centinaia di euro, contro le  migliaia di euro che richiedeva finora quella fatta all’estero come “esemplare unico”».

Insomma, si può dire che con queste norme finisce l’era pionieristica, “fai da te” e legalmente border line della conversione elettrica, e si entra in quella che dovrebbe trasformarla in un riconosciuto settore artigianale, se non industriale.

Come si converte un’auto in elettrica e quanto costa

«Essenzialmente – spiega Luigino Bari che con i suoi soci ha creato una Panda elettrica a partire da un modello del 2007, spendendo 20.000 euro – si tratta di togliere il motore a scoppio e attaccare quello elettrico alla frizione con un giunto. I motori elettrici potrebbero anche fare a meno di cambio e frizione, ma attaccare il motore elettrico direttamente agli assi comporterebbe l’uso di componenti meccanici progettati appositamente e purtroppo molto costosi, per cui in genere cambio e frizione si mantengono. Fra l’altro, in caso di pendenze molto ripide, abbiamo constatato che disporre di marce inferiori può essere utile anche per l’elettrico. Bisogna poi sistemare il pesante e ingombrante pacco batterie: noi l’abbiamo messo nel bagagliaio, ma probabilmente la soluzione migliore è alloggiarlo al posto del serbatoio della benzina. Infine, va creata un’elettronica di controllo, che gestisca le batterie per farle durare il più a lungo possibile ».

Secondo Bari, nel caso delle Panda, sarà possibile arrivare alla conversione a costi inferiori ai 10.000 euro. Può sembrare tanto, ma se l’auto originale vale poche migliaia di euro (o addirittura nulla se fosse da rottamare per guasti al motore), si può ottenere un mezzo dalle prestazioni simili a quelle della Nissan Leaf a metà o anche meno del costo.

Verso una filiera italiana, ma resta qualche ostacolo

Tutto ciò fa intravedere una succosa linea tutta italiana di produzione di neo mezzi elettrici, visto che gli altri Stati europei osserveranno il funzionamento del nostro decreto, prima di imitarci.

«Io non ne sono ancora così sicuro», smorza però gli entusiasmi Cambi. «Il decreto contiene ancora ostacoli che speravamo fossero rimossi. Uno di questi è l’obbligo di avere il nulla osta per la conversione da parte dei produttori originali dell’auto, se si modificano parti diverse dal motore. E questa è una cosa inevitabile, visto che pare verrà considerato “diverso da motore” anche il giunto fra questo e la frizione. È vero che un successivo comma afferma che questo nulla osta può essere dato dalla Motorizzazione stessa, ma a mio parere resta una ambiguità che porterà a interpretazioni diverse nei vari uffici locali, che già non brillano per entusiasmo nell’accogliere modifiche ai mezzi.»

«Inoltre – continua – c’è il fatto che la conversione a elettrico comporterà il cambio dei numero di telaio, come se l’auto diventasse un mezzo del tutto diverso da prima. Questi passaggi “vessatori” non sono molto comprensibili: in fondo è molto più delicato e rischioso aggiungere un secondo serbatoio di materiale infiammabile, come nel caso del Gpl o metano, che aggiungere delle batterie.»

Comunque il primo passo è stato fatto e, eventualmente, in futuro le norme potranno essere aggiustate, soprattutto se nascerà un’industria dedicata, con un suo relativo “potere lobbystico”.

Il mercato potenziale: non solo auto

Ma, viene da chiedersi, esiste davvero un mercato per questi mezzi convertiti? In fondo, nel 2015, di auto elettriche se ne sono state vendute intorno ai 1500 esemplari appena.

Luigino Bari è certo che i risparmi consentiti dalla riconversione, cambieranno la situazione e già sogna la nascita di una rete di produttori di kit e installatori in tutta Italia. «Io invece non sono molto convinto che ci sia tutta questa domanda», dice Cambi «chi produce già questo tipo di mezzi, come la Newtron, che converte le vecchie 500 all’elettrico, immatricolandole all’estero, ha sempre lavorato per un piccolo mercato di nicchia.»

Ma Cambi vede invece delle opportunità in altri settori, come il trasporto merci leggero: «Noi di Eurozev vorremmo valutare la possibilità di rendere elettrici mezzi come gli ape, gli apecar e simili, che sono spesso usati nelle città e talvolta equipaggiati con inquinanti motori a due tempi.» E c’è poi tutto il mare magnum della riconversione degli autobus.

Autobus da riconverire e supercondensatori

«Si sta creando la “tempesta perfetta” per quanto riguarda il trasporto urbano», spiega l’ingegner Paolo Bernardini, della valdostana Electric&Hybrid-Drive Company, o ECo, una spin off del Politecnico di Milano che si occupa di progettare sistemi per la trazione elettrica e ibrida. «Le amministrazioni cittadine nei prossimi anni dovranno mandare in pensione migliaia degli attuali autobus, troppo inquinanti e costosi da gestire, ma al tempo stesso non hanno le risorse per sostituirli con mezzi nuovi, che costano sui 400.000 euro ciascuno.»

La soluzione? «Ora che finalmente si può, è quella di retrofittare con motori elettrici i mezzi, che magari, motore a parte, sono ancora validi. Possono scegliere tra sistemi a batteria, che già montiamo su autobus nuovi in cooperazione con la Rampini di Arezzo, oppure puntare a un sistema più innovativo, che stiamo mettendo a punto: affiancare a una batteria di dimensioni ridotte dei supercondensatori, che consentono una ricarica rapidissima

In questo modo, spiega Bernardini, si possono realizzare autobus urbani che compiono in modalità elettrica tutto il loro percorso e si ricaricano in pochi minuti durante la sosta al capolinea: «questo sistema consente di spendere circa 200.000 euro per la riconversione di un autobus usato, recuperando poi velocemente l’investimento, risparmiando decine di migliaia di euro in carburante e manutenzione. Abbiamo già una lunga lista di richieste da parte delle municipalizzate, interessate alla riconversione dei propri autobus.»

Insomma, per una volta, pare che siamo in pole position e che, levato il tappo dell’impedimento normativo, in Italia potrebbe veramente nascere la nuova industria europea del “mezzo elettrico riconvertito”, pronta a invadere il mondo con prodotti ingegnosi e a basso costo.

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