Clima, con la siccità rischia molto anche il termoelettrico

Secondo un nuovo studio, la carenza di acqua prevista in varie zone del Pianeta potrebbe portare a forti cali della produzione elettrica nel 60% degli impianti. Colpite, oltre all'idroelettrico, le centrali termoelettriche a partire da nucleare e carbone che hanno i fabbisogni di acqua più ingenti.

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La siccità associata al cambiamento climatico potrebbero portare, oltre alle altre conseguenze negative, anche notevoli problemi al sistema elettrico mondiale, almeno se questo resterà centrato su fossili, nucleare ed idroelettrico. In un futuro prossimo la sempre maggiore carenza di acqua  – dal 2040 al 2069 – potrebbe infatti portare a cali di produzione elettrica nel 60% delle centrali elettriche, avverte un nuovo studio pubblicato su Nature Climate Change.

Le centrali e le aree più colpite

Il 98% della produzione elettrica mondiale, premette lo studio, viene da centrali termoelettriche – alimentate a fonti fossili, nucleari o a biomasse – o da idroelettrico. Impianti che dipendono dall’acqua di fiumi e canali, l’idro per la produzione stessa, il termoelettrico per il raffreddamento degli impianti.

I modelli climatici prevedono che con il cambiamento climatico in atto le risorse idriche in vaste aree del pianeta saranno sempre più scarse, mentre la temperatura dell’acqua aumenterà. Già in uno studio precedente il gruppo di ricercatori, coordinato da Michelle Van Vliet, dell’International Institute for Applied Systems Analysis (IIASA) in Austria, aveva mostrato come questo potesse portare a significative riduzioni della produzione da termoelettrico in Europa e negli Stati Uniti. Il nuovo studio estende l’analisi a livello mondiale.

Le aree più colpite sarebbero Europa centrale e meridionale, Stati Uniti, America Latina, Sudest asiatico e Australia meridionale. Per affrontare il problema, secondo lo studio, bisognerà adottare soluzioni di adattamento come raffreddare le centrali con sistemi ad aria o che usano l’acqua del mare.

Costretti a scegliere se usare l’acqua per le centrali o per altri usi

Oltre a dipendere dall’acqua, le centrali termoelettriche ne consumano in grandi quantità contribuendo ad aggravare il problema. Un’altra ricerca di cui abbiamo parlato qualche tempo fa, condotta da studiosi della Aarhus University riassume la situazione tracciando uno scenario preoccupante: se continuiamo a basarci su nucleare e fossili – è la previsione – entro il 2020 la scarsità idrica colpirà il 30-40% delle aree del Pianeta ed entro il 2040 la situazione sarà insostenibile; dovremmo cioè scegliere tra destinare l’acqua al raffreddamento delle centrali termoelettriche o agli altri usi essenziali alla sopravvivenza umana.

Tutte le centrali termoelettriche hanno bisogno di ingenti quantità di liquido per il raffreddamento e il nucleare è in assoluto il modo di produrre energia più dispendioso in termini di risorse idriche, seguito dal carbone con tecnologia per la cattura della CO2. Si veda la tabella sotto, tratta dal report, che indica per ogni MWh prodotto con le diverse tecnologie il prelievo (withdrawal) e il consumo (consumption) di acqua.

Nel 2005, si fa notare come esempio, negli Stati Uniti i prelievi di acqua per il termoelettrico hanno pesato per il 41% del totale: addirittura più di quelli destinati all’agricoltura. Carbone e nucleare (e seppur in misura minore anche il gas) hanno bisogno di tanta acqua e ciò si ripercuote sia sulla scarsità idrica in generale che sulle performance di questi impianti, che nei momenti di siccità devono ridurre la produzione o addirittura fermarsi.

Il caso del carbone in Cina

L’allarme lanciato non è tuttavia una novità. Già nel 2012, la International Energy Agency lo faceva presente, mentre in un report del 2013 Bloomberg New Energy Finance ha fatto notare come l’85% della potenza elettrica cinese sia situato in zone soggette a scarsità idrica. In Cina il carbone – spiega BNEF –  tra estrazione e produzione elettrica succhia circa 98 miliardi di metri cubi di acqua l’anno (dato riferito al 2010): il 15% dell’intero prelievo idrico nazionale che potrebbe diventare il 25% se i piani di sviluppo su questa fonte verranno realizzati. Le 5 grandi compagnie dell’energia nel paese – Huaneng, Datang, Huadian, Guodian e China Power Investment – possiedono circa un centinanio di GW di potenza termoelettrica in aree soggette a carenze idriche. Per mettere queste centrali al sicuro dallo stress idrico, stima BNEF, servirebbero almeno 20 miliardi di dollari di investimenti.

Una situazione destinata a peggiorare. Nel 2040 – rileva il nuovo studio – la domanda di elettricità nel nord della Cina potrebbe essere più che doppia rispetto al 2010 e in India più che tripla. È urgente affrontare il problema subito, anche perché bisogna fare i conti con l’altro braccio della tenaglia: l’aumento della popolazione mondiale e i cambiamenti climatici, che renderanno ancora più grave il problema acqua.

Il nuovo studio pubblicato su Nature Climate Change e il comunicato stampa in inglese

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