Ilva, Volkswagen e le rinnovabili: sull’ambiente si giochi tutti con le stesse regole

La difesa del profitto continua in alcuni casi a guidare le scelte imprenditoriali italiane e straniere verso l’elusione dei vincoli ambientali. "E' preoccupante che taluni esseri umani ritengano di poter giocare sulla pelle della popolazione mondiale a meri fini speculativi". Una nota di Simone Togni, Presidente ANEV.

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“I recenti e numerosi scandali sulle vicende ambientali sono l’ennesima e probabilmente definitiva riprova del fatto che le questioni relative alla salvaguardia del mondo sono ritenute soccombenti nei confronti della competizione e del profitto“. Si apre cosí la nota di Simone Togni, presidente dell’Associazione Nazionale Energia del Vento, pubblicata oggi, 23 novembre, sul sito ufficiale dell’ANEV e che riportiamo integralmente.

“Analizziamo due dei più clamorosi casi recenti, l’Ilva di Taranto e Volkswagen. Nel caso Ilva sembra che, al fine di ridurre i costi di produzione dell’acciaio, manager e proprietà cercassero di limitare le tutele ambientali non ottemperando alle prescrizioni cogenti imposte dalle autorità. Nel secondo caso, quello della casa automobilistica tedesca, per essere concorrenziali sul mercato si sarebbero manomesse le centraline elettroniche degli autoveicoli in vendita per farli rientrare nei limiti di emissione previsti dalle varie normative sui livelli di fumi degli scarichi. In entrambi i casi il profitto ha guidato i responsabili delle due realtà verso l’elusione dei vincoli ambientali al fine di ottenere il medesimo prodotto senza dover sopportare i costi di tali interventi.

Il punto è che, se è vero, come è vero, che le emissioni climalteranti sono la causa principale del surriscaldamento globale e che l’attuale complesso di norme vigenti non è sufficiente a mantenere tale innalzamento della temperatura al di sotto dei 2°C (stando all’IPCC, che è il massimo organismo intergovernativo sui mutamenti climatici), è altamente preoccupante che taluni esseri umani ritengano di poter giocare su questi temi, sulla pelle del resto della popolazione mondiale, a meri fini speculativi.

Se infatti dai mutamenti climatici estremi deriveranno, secondo il parere unanime degli scienziati, morti, carestie, guerre e migrazioni, queste conseguenze non potranno essere circoscritte ad alcune parti della terra, ma riguarderanno ognuno di noi, o direttamente o indirettamente. Come può una mente umana arrivare a pensare così biecamente al proprio interesse personale (o aziendale) e non capire che senza un cambio drastico di rotta non ci sarà un futuro nel quale questi schemi funzioneranno? Come possono costoro non considerare che i loro discendenti si troveranno a fronteggiare calamità climatiche enormi?

La situazione è ancor meno giustificabile se si considera che l’elusione delle norme vigenti sarebbe stata ottenuta grazie alla compiacenza o alla incapacità dei controllori che avrebbero chiuso un occhio o non saputo controllare. Se poi ragioniamo sul fatto che l’attuale schema normativo che impone dei limiti alle emissioni nei vari settori è insufficiente a determinare quella riduzione della temperatura terrestre necessaria a evitare disastri naturali nei prossimi anni, comprendiamo anche che i comportamenti posti in essere e i mancati controlli (dolosi o colposi che siano) sono qualcosa da colpire con decisione per il bene di tutti.

In particolare sembra necessario un drastico intervento, in ogni settore, sul sistema dei controlli. Infatti, se da un lato c’è necessità, condivisa, di attuare controlli che non blocchino l’attività industriale, dall’altro il limite deve essere l’utilità e l’efficacia dei controlli stessi. Quindi è indispensabile, se vogliamo essere seri e consequenziali, rivedere in profondità tutti i sistemi di controllo e i soggetti preposti a tale funzione, in modo da rendere gli obblighi uguali per tutti e i prodotti equiparabili.

Questo passaggio, però, può passare solo da una uniforme applicazione delle norme sulla riduzione delle emissioni, infatti, fin tanto che avremo in diverse aree commerciali differenti norme ambientali, esisterà la possibilità di fare dumping e, in conseguenza di ciò, vi sarà un maggiore rischio di elusione delle normative ambientali. Su questo tema probabilmente la soluzione più efficace è quella di una regolamentazione dei regimi fiscali che bilanci, quantificandoli e internalizzandoli, i costi esterni di ogni prodotto sulla base della cosiddetta impronta ambientale lasciata.

Questo, ovviamente, può essere fatto in un contesto internazionale di individuazione condivisa degli obiettivi ambientali da perseguire e degli strumenti necessari. Così facendo si potrà finalmente arrivare ad avere un insieme di strumenti condivisi e obiettivi efficaci che, tuttavia, saranno tali solo ed esclusivamente in un quadro di controlli seri, terzi e non eludibili. Crediamo che lo sforzo sia indispensabile visto che, senza voler esagerare, ne va del futuro del mondo”.

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