Edilizia rigenerata, una leva importante per lo sviluppo

Per far tornare il comparto delle costruzioni al peso che ha sempre avuto per l’economia e per il lavoro occorre accompagnare il settore verso un nuovo ciclo industriale basato sulla rigenerazione urbana. Serve un'analisi dell'efficacia degli attuali sistemi incentivanti per ottimizzarli. Ma la politica ignora la questione.

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Cosa deve succedere ancora nel settore edilizio per catturare l’attenzione della politica? I numeri della crisi sono ripetuti oramai quasi stancamente – 530mila posti di lavoro persi in 8 anni secondo l’Ance, 800mila se si considera tutta la filiera, con 80mila imprese uscite dal mercato – ma a ricordare come qui, più che in qualsiasi altro settore, l’impatto sia stato davvero devastante. Nel dibattito politico sul rilancio del Paese questi temi semplicemente non compaiono, malgrado siano significativi i segnali positivi che si possono scorgere e la sfida stia ora nell’accompagnare il settore verso un nuovo ciclo industriale incentrato sulla rigenerazione urbana, lasciando per sempre alle spalle quello del consumo di suolo e della crescita quantitativa.

Non è uno slogan o un sogno quello di far tornare il settore delle costruzioni al peso che storicamente ha sempre avuto dal dopoguerra per l’economia e il lavoro in Italia. Del resto in Germania, dove la scelta di ridefinire il profilo del settore è stata presa da tempo e portata avanti coerentemente, non solo non si sono persi posti di lavoro ma si sono migliorate competenze e creata una nuova filiera imprenditoriale.

La terapia della rigenerazione può funzionare proprio perché sono notevoli i cambiamenti già avvenuti. In questi anni di crisi il settore delle costruzioni infatti non si è solo ridimensionato ma ha anche spostato il proprio baricentro verso il recupero (nel 2015 +3,5%, a fronte di -3,4% delle nuove costruzioni; nel 2014 il recupero ha mosso 118 miliardi di investimenti, di cui 82 nella manutenzione straordinaria e 36,3 in quella ordinaria) che oggi risulta largamente prevalente, rappresentando circa il 70% del mercato complessivo. Dal 1998 a oggi sono stati realizzati quasi 9 milioni di interventi di recupero edilizio grazie alle detrazioni fiscali e dal 2007 oltre 2 milioni di efficientamenti energetici.

Nelle analisi del Cresme si evidenzia come il crollo degli investimenti nelle costruzioni non sia stato negli ultimi anni ancora più significativo, grazie al recupero edilizio spinto dalle detrazioni fiscali (nel 2014 gli investimenti che si sarebbero persi senza incentivi sarebbero stati pari a 15,9 miliardi di Euro, mentre la perdita in termini di occupazione diretta sarebbe stata di oltre 158mila posti di lavoro).

È da questi risultati che si deve partire per rendere le detrazioni strutturali (ogni anno sono a rischio di cancellazione) e più efficaci rispetto agli obiettivi che si intende raggiungere. I dati dicono infatti che hanno funzionato molto bene al Centro-Nord, mentre al Sud non hanno attratto investimenti perché i lavori in nero, una storica piaga dell’edilizia, continuano a risultare più vantaggiosi.

È importante in particolare analizzare l’accesso da parte delle famiglie agli incentivi, e da questo punto di vista si evidenzia come siano risultati di fatto inaccessibili per le fasce sociali più deboli e non abbiano inciso rispetto alla riqualificazione di edifici condominiali. Inoltre, un bilancio da un punto di vista energetico degli incentivi evidenzia alcuni problemi. Le detrazioni per le ristrutturazioni edilizie (nel 2015 pari al 50% delle spese) sono accessibili a prescindere dagli obiettivi energetici conseguiti, mentre quelli per l’efficienza energetica (la detrazione nel 2015 è del 60%) hanno premiato soprattutto alcune soluzioni, come la sostituzione di infissi, le caldaie e gli impianti solari termici. È importante guardare ai risultati, ai costi e benefici degli incentivi proprio per le difficoltà nella spesa pubblica e per l’importanza degli obiettivi che si vogliono conseguire.

Del resto problemi di scarsa efficacia, per ragioni diverse, hanno evidenziato anche gli altri sistemi di incentivo introdotti in questi anni: dai titoli di efficienza energetica (praticamente inapplicati nel settore edilizio) al conto energia termico (dove il patto di stabilità per le amministrazioni pubbliche si è rivelato un ostacolo spesso insormontabile). Un primo punto da cui partire per una nuova politica per l’edilizia, semplice e a costo zero, è dunque proprio il monitoraggio delle politiche di innovazione in modo da rafforzarne l’efficacia.

Ma per capire dove e come intervenire nel patrimonio edilizio italiano occorre anche un’attenta lettura delle differenze e articolazioni presenti negli oltre 14milioni di edifici con quasi 29milioni di abitazioni che esistono nel nostro Paese. Perché conoscere l’età e i problemi, gli usi e la situazione proprietaria, la distribuzione geografica risulta indispensabile per individuare le priorità di intervento.

Incrociando i dati sull’età del patrimonio edilizio con un’analisi dei risultati delle detrazioni per gli intervento di recupero si ha già una fotografia piuttosto chiara della realtà italiana. La quota più consistente di edifici è stata costruita tra il secondo dopoguerra e gli anni Ottanta, ossia prima che fossero approvate norme in materia di sicurezza sismica e isolamento energetico, e quando l’abusivismo edilizio rappresentava ancora una quota significativa delle nuove costruzioni (con materiali e progetti scadenti). Una fetta consistente di questi edifici sono condomini che, per diverse ragioni, hanno visto interventi di recupero limitati ai singoli alloggi o a interventi di manutenzione ordinaria e non a una riqualificazione statica ed energetica complessiva. Anzi, si può sostenere senza tema di smentita che, se non si metteranno in campo nuove politiche di intervento e finanziamento, continuerà a non esistere alcuna speranza di cambiamento per chi abita in quelle realtà.

La stessa semplificazione in edilizia che è stata al centro del dibattito politico negli ultimi quindici anni, con molteplici interventi normativi, non ha inciso rispetto a questo scenario. Attraverso acronimi sempre diversi (Dia, Scia, Cil, Cila) si sono riscritte le procedure per rendere sempre più semplici gli interventi, ma senza produrre alcun risultato.

L’accanimento terapeutico è continuato fino alle ultime settimane, con una modifica normativa che ha introdotto il silenzio assenso per gli interventi che riguardano edifici in aree con vincoli paesaggistici e ambientali. C’è da scommettere che tra qualche tempo gli storici dell’economia si interrogheranno sulle ragioni che hanno spinto ad applicare per così lungo tempo e senza sosta una terapia così fallimentare, e ancora legata a un’idea delle costruzioni ferma agli anni Sessanta.

Nel 2015 in Italia per tornare a produrre investimenti da parte di famiglie, imprese, Enti Locali occorre guardare in modo nuovo al settore delle costruzioni, puntando a semplificare e rendere convenienti gli interventi di rigenerazione urbana e di retrofit degli edifici condominiali (i grandi esclusi dagli interventi di semplificazione). Ridefinendo gli obiettivi e cambiando prospettiva ci si rende immediatamente conto di come le potenzialità siano significative, e al contempo di come il problema sia la mancanza di una politica per le aree urbane e la casa, ricordiamolo, nell’unico Paese dell’Ocse senza un Ministero che si occupi di questi temi.

Europa importante

Oggi sono le politiche europee ad aiutarci nell’individuare una rotta fuori dalla crisi. Del resto è merito delle Direttive l’esistenza in Italia di obiettivi di prestazione energetica per le nuove costruzioni (che oggi riguardano sia i comportamenti invernali che quelli estivi) e una chiara traiettoria verso costruzioni “near zero energy” dal 2021. Ed è sempre grazie alle Direttive in materia di efficienza che disponiamo di un quadro di obiettivi e strumenti di intervento che riguarda anche la riqualificazione degli edifici esistenti.

Il nostro Paese deve però cambiare marcia sia rispetto al recepimento delle Direttive (sempre tardivo e dopo l’apertura di procedure di infrazione) che alle politiche attive di riqualificazione, che oggi possono usufruire di risorse UE. I ritardi nei controlli e sanzioni sulle certificazioni energetiche (un’autentica vergogna contro gli interessi delle famiglie), quelli nell’elaborazione del piano di recupero del patrimonio edilizio pubblico e nell’istituzione del fondo per l’efficienza energetica previsti dalle Direttive, risultano sempre più inaccettabili.

A motivare il cambio radicale delle priorità è l’idea che l’edilizia rappresenti un settore strategico per l’economia e lo sviluppo, e che il suo profilo debba essere ridefinito per migliorare la qualità e le prestazioni, per scongiurare i rischi per persone e ridurre il peso in termini di emissioni di gas serra e consumi energetici. E che per riuscirci sia indispensabile una regia pubblica nazionale e scelte chiare: target, risorse, supporto e accompagnamento nell’innovazione (si veda Lo Stato innovatore, Mazzuccato 2014) che contribuisca in questo modo anche ad aiutare un diffuso protagonismo dei soggetti privati, sia imprese che famiglie.

Strategia per l’efficienza

Pochi temi godono di un consenso tanto ampio e trasversale come l’efficienza energetica in Italia e al contempo sono così ignorati dalle politiche. Ora è il momento di un cambio di passo, perché si realizzi qui quanto fatto dal Governo Renzi in materia di dissesto idrogeologico e di scuole, dove i primi risultati si intravedono proprio perché sono chiari i programmi di intervento, le risorse a disposizione, i cantieri prioritari.

Per l’efficienza energetica serve una volontà politica altrettanto convinta per recuperare i ritardi rispetto alle Direttive, e non sprecare le risorse della programmazione europea 2014- 2020 e del Piano Juncker. Serve soprattutto una regia per definire gli obiettivi prioritari, coordinare il ruolo dei diversi Ministeri, delle Regioni, dei Comuni e dell’Enea, ma anche per avviare programmi innovativi di intervento (per esempio in programmi industriali per il retrofit dei condomini, copiando dall’esperienza tedesca e olandese), per monitorare i risultati e proporre modifiche normative.

I temi prioritari sono noti: la semplificazione per gli interventi di retrofit energetico e adeguamento statico degli edifici, una revisione degli incentivi per permettere finalmente di aprire i cantieri della riqualificazione nei condomini. La chiave con cui affrontare una nuova politica per l’edilizia è quella di premiare l’innovazione che genera risultati quantificabili in termini di riduzione dei consumi energetici (con vantaggi per il sistema Paese, l’ambiente e direttamente per le famiglie) e di miglioramento del comportamento anti sismico degli edifici. Obiettivi di questo tipo sono infatti coerenti con gli impegni europei sul Clima – oltre che con le direttive sull’efficienza energetica e con la programmazione 2014-2020 – e con l’interesse generale a recuperare il patrimonio edilizio riducendo i rischi per la salute e l’impatto sull’ambiente, e dunque motivano l’esistenza di risorse pubbliche, programmi e incentivi per interventi che vanno in questa direzione a fronte di interventi “tradizionali”.

Agenzia per la rigenerazione urbana

Il secondo grande campo di intervento per rilanciare il settore edilizio riguarda oggi le periferie, dove faticano a realizzarsi interventi di rigenerazione urbana con obiettivi urbanistici, energetici e sociali ambiziosi e che incidano nelle aree più degradate delle città. Le ragioni di questa situazione sono individuabili da un lato nella complessità degli interventi nelle aree urbane, e dall’altro nell’assenza di una politica nazionale che accompagni i Comuni che vogliono intraprendere la realizzazione di interventi complessi, che individui le risorse statali, comunitarie e i programmi che possono essere indirizzati per la riqualificazione sociale, edilizia, ambientale.

Per cambiare questo stato di cose occorre affrontare e sciogliere alcuni nodi importanti che impediscono questi interventi:

  • introdurre una procedura di intervento che consenta la rigenerazione di ambiti degradati da un punto di vista sociale, urbanistico, ambientale. Una semplificazione degli interventi che valga a regime (che dunque prescinda da piani e programmi speciali, grandi eventi) e che permetta così ai Comuni di immaginare e programmare interventi capaci di ripensare i tessuti della città, anche come alternativa in termini di densificazione al consumo di suolo;
  • legare assieme vantaggi procedurali e fiscali, per gli interventi in questi ambiti, con chiari obiettivi prestazionali di tipo energetico e ambientale, e con procedure che consentano di garantire la qualità dei progetti, attraverso i concorsi, e l’informazione e partecipazione dei cittadini;
  • istituire un’agenzia nazionale per la rigenerazione urbana che, sul modello dell’ANRU francese, svolga un ruolo di supporto agli Enti Locali nelle politiche di rigenerazione urbana, e di coordinamento di politiche, obiettivi e risorse statali ed europee in materia di smart city, efficienza energetica, edilizia sociale, e che promuova ricerche e sperimentazioni di carattere nazionale per la rigenerazione e la bonifica di aree degradate e inquinate.

L’articolo di Edoardo Zanchini, Vicepresidente Nazionale Legambiente, è stato pubblicato sul n.4/2015 della rivista bimestrale QualEnergia con il titolo “L’edilizia rigenerata”.

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