Le energie rinnovabili per la crescita e il clima

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Secondo gli scenari delineati dai vari Governi per contenere il cambiamento climatico le rinnovabili dovranno avere un ruolo sempre più importante. Quali sono i trend recenti e le previsioni di queste tecnologie nei prossimi cinque anni? Con quali politiche sostenerle?

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Nelle prime due settimane di dicembre avrà luogo a Parigi la 21a Conferenza delle Parti (COP21). Ci sono molte attese attorno a questo evento potenzialmente storico, il cui obiettivo principale è il raggiungimento di un nuovo accordo globale sul clima. A fronte di forti attese, vi sono anche timori che si possa ripetere un fallimento come avvenuto alla COP15 a Copenhagen nel 2009.

L’energia sarà al centro del dibattito. La produzione e gli usi energetici sono infatti responsabili per i due terzi delle emissioni globali di gas a effetto serra. Il settore energetico si trova quindi davanti alla necessità di tagli molto significativi alle emissioni, ma al contempo deve garantire la sicurezza degli approvvigionamenti, la disponibilità di energia a prezzi accessibili per sostenere la crescita economica, nonché assicurare l’accesso all’energia ai miliardi di persone che ancora non ne dispongono. È una sfida enorme, che richiede una transizione senza precedenti nelle modalità di produzione e usi dell’energia a livello mondiale. Anche se le tecnologie per effettuare tale transizione sono conosciute e disponibili, vi sono grandi divergenze nella valutazione e soprattutto nell’allocazione dei costi a esse associate. Questa è forse la sfida principale.

Quale sarà il risultato della COP21? Alcuni segnali recenti ispirano ottimismo. Tra essi la storica dichiarazione congiunta sui cambiamenti climatici di Cina e Stati Uniti. Come pure l’approvazione di ambiziosi obiettivi di riduzione delle emissioni (-40%) da parte dei Governi dell’Unione Europea. Soprattutto, per la prima volta gli impegni dei vari Governi sono formalizzati nei cosidetti Intended Nationally Determined Contributions (INDCs), che non solo riportano gli obiettivi in termini di riduzioni delle emissioni ma dettagliano la maniera in cui i Paesi si impegnano a raggiungere tali traguardi. Anche se il livello di dettaglio è molto variabile tra i vari Paesi, molti forniscono informazioni importanti e obiettivi in termini di sviluppo e diffusione delle tecnologie a basso tenore di carbonio, nonché di politiche e azioni necessarie a supporto. È un cambio molto importante, perché rappresenta un passaggio da un’agenda “negativa” – incentrata sul problema delle emissioni – a un’agenda “positiva” più focalizzata sulle soluzioni e sulle tecnologie.

Questa è la notizia positiva: gli INDC rappresentano senz’altro un importante primo passo nella giusta direzione. Meno positivo è il fatto che purtroppo la totalità degli INDC rallentano sì la crescita delle emissioni ma non sono sufficienti a rovesciare il trend – ovvero disaccoppiare completamente la crescita economica dall’aumento delle emissioni di anidride carbonica e portare a un picco delle emissioni entro il 2030.

Nel giugno scorso la IEA ha pubblicato il ‘World Energy Outlook Special Report on Energy and Climate Change‘. Sulla base degli INDCs disponibili al 14 maggio 2015, il rapporto mostra come, a fronte di una crescita economica dell’88% tra il 2013 e 2030, le emissioni del settore energetico continuano a crescere, seppure solo dell’8%, superando i 37 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno. Tale livello è molto lontano dall’obiettivo di riduzione delle emissioni a circa 25 miliardi di tonnellate annue di CO2 nel 2030, come indicato nello “scenario 450”, compatibile con una probabilità del 50% di limitare l’aumento della temperatura media globale entro i due gradi centigradi.

Nel ‘World Energy Outlook Special Report on Energy and Climate Change’ la IEA propone una strategia capace di indurre un picco delle emissioni di gas effetto serra da usi energetici entro il 2020. L’Agenzia ritiene che raggiungere tale picco in tempi brevi darebbe un segnale molto importante di credibilità riguardo alla reale determinazione e capacità dei Governi di affrontare i cambiamenti climatici. Tale strategia si basa unicamente sull’utilizzo di tecnologie note e disponibili oggigiorno e sarebbe in grado di ridurre le emissioni a circa 31 miliardi di tonnellate di CO2 annue al 2030, mantenendo lo stesso livello di crescita economica in tutte le macro-regioni del mondo. Tale scenario, denominato “Bridge”, funzionerebbe appunto da ponte lasciando una prospettiva aperta e credibile verso lo “scenario 450” più ambizioso in termini di riduzione delle emissioni.

La strategia dello “scenario Bridge” si basa su cinque misure principali:

  • l’aumento dell’efficienza energetica nei settori industriale, edilizio e dei trasporti
  • l’aumento degli investimenti annui in tecnologie energetiche rinnovabili per la produzione di elettricità da 270 a 400 miliardi di dollari all’anno entro il 2030
  • la riduzione delle emissioni di metano da processi upstream del petrolio e del gas
  • la riforma per graduale eliminazione dei sussidi alle fonti fossili
  • la riduzione progressiva e il divieto di costruire nuove centrali a carbone a bassa efficienza e più inquinanti.

Nonostante rappresenti generalmente una soluzione economicamente favorevole, a oggi l’efficienza energetica rimane largamente sottoutilizzata in molti Paesi, sopratutto nelle economie emergenti e nei Paesi in via di sviluppo. Non deve quindi sorprendere che essa contribuisca per quasi la metà alla riduzione delle emissioni al 2030 nello “scenario Bridge” rispetto allo “scenario INDC”. Gli investimenti nelle rinnovabili (già molto presenti nello scenario INDC) rappresentano il secondo contributo più importante, con il 17% delle riduzioni (si veda la tabella di seguito).

Ma quali sono i trend recenti e sopratutto le previsioni di mercato per le rinnovabili nei prossimi cinque anni? Sono in linea con le proiezioni dello “scenario Bridge” o, ancora di più, dello “scenario 450”? Il recentissimo rapporto della IEA (pubblicato il 2 ottobre 2015) Medium-Term Renewable Energy Market Report (MTRMR 2015) fornisce un’analisi molto dettagliata dello stato attuale e delle previsioni di diffusione delle rinnovabili nei settori elettrico, termico e dei trasporti.

Ne esce un quadro misto. Da una parte le rinnovabili sono in forte crescita, sopratutto nel settore elettrico, e i loro costi continuano a diminuire. D’altro canto però, a una più attenta analisi, ci si accorge che esse non crescono abbastanza velocemente rispetto al loro potenziale, né per la produzione di elettricità, né tantomeno per la produzione di energia termica e di biocombustibili per i trasporti.

Salto positivo

Il 2014 è stato un anno molto positivo per l’elettricità rinnovabile, cresciuta del livello record di 130 GW annui, valore che rappresenta il 45% della nuova capacità globale di centrali elettriche costruite nell’ultimo anno. Il costo della generazione di elettricità da fonti rinnovabili continua a diminuire in molti Paesi del mondo. La forza dei driver che spingono alla diffusione delle rinnovabili, quali la diversificazione delle fonti energetiche, la sicurezza di approviggionamento, la riduzione dell’inquinamento locale e la mitigazione dei cambiamenti climatici, è rimasta generalmente intatta, nonostante la mutazione del quadro macro-economico e la forte diminuzione dei prezzi del petrolio e dei combustibili fossili.

Il MTRMR 2015 prevede un’ulteriore crescita del 40% delle capacità installate di elettricità rinnovabile dal 2014 al 2020. In quell’anno si prevede che la generazione di elettricità da fonti rinnovabili raggiunga i 7.150 TWh, equivalenti alla domanda odierna cumulata di Cina, India e Brasile. L’idroelettrico rimane la fonte più importante in termini di generazione, ma l’eolico, il solare e la bioenergia raggiungono quasi il 40% del totale (si veda il grafico di seguito). Al 2020, si prevede che le rinnovabili forniscano oltre il 26% dell’elettricità mondiale, oltre quattro punti percentuali in più rispetto al 2013.

La crescita si sposta sempre di più verso le economie emergenti e dei Paesi in via di sviluppo. Infatti, se da un lato nei Paesi OCSE le rinnovabili costituiscono di fatto il 100% della capacità aggiuntiva netta di potenza elettrica (ovvero tenendo conto dello smantellamento delle centrali fossili e nucleari) nei prossimi cinque anni, la crescita in termini assoluti è limitata, principalmente a causa del quadro macro-economico e della crescita debole della domanda di elettricità. Viceversa, la Cina è responsabile da sola per il 40% dell’aumento di elettricità rinnovabile a livello mondiale, e rappresenta il mercato principale per la metà delle tecnologie rinnovabili per la produzione di elettricità (si veda tabella di seguito).

La percentuale sale ai due terzi con India, Brasile e gli altri Paesi emergenti e in via di sviluppo. Nell’Africa Subsahariana, le rinnovabili coprono il 63% della crescita totale della domanda elettrica nei prossimi cinque anni. Il continente africano ha un potenziale rinnovabile immenso, ma presenta anche enormi barriere in termini di accesso al mercato e ai finanziamenti. Il Sudafrica ha dimostrato che, favorendo la competizione con un sistema trasparente di aste, si possono ridurre drasticamente i costi delle rinnovabili. Tale esempio – unito a quello di altri Paesi leader quali Etiopia, Kenya, Nigeria, Ghana, nonché Marocco, Egitto e Tunisia – suggerisce che tutto il continente potrebbe basare in futuro il proprio sviluppo economico sulla disponibilità di fonti rinnovabili a prezzi accessibili, a patto di adottare politiche, governance e mercati trasparenti.

Un ruolo centrale lo gioca la continua diminuzione dei costi di generazione, in particolare per le tecnologie più dinamiche quali l’eolico onshore e il solare fotovoltaico. In passato tale riduzione era principalmente legata all’apprendimento tecnologico. Più di recente si è assistito a una decrescita dei costi più rapida grazie alla combinazione dei progressi tecnologici, di migliori condizioni di finanziamento e della diffusione in nuovi mercati con migliori risorse. I maggiori risultati sono stati ottenuti in presenza di aste basate sulla competizione dei prezzi, legate a contratti a lungo termine. Tali condizioni permettono di ridurre il rischio di investimento, contenere i costi di finanziamento e quindi ridurre il costo finale di generazione. Di recente sono stati annunciati contratti a lungo termine per nuovi impianti eolici onshore, con entrata in funzione prevista per il 2015-2019, e costi di generazione dell’ordine di 60-80 $ per MWh, con punte minime di 50 dollari in Brasile, Egitto, Sudafrica e Stati Uniti (si veda la cartina di seguito).

I corrispondenti valori per impianti di grandi dimensioni di solare fotovoltaico sono tra 80 e 100 dollari per MWh, con punte minime attorno ai 60-70 dollari negli Emirati Arabi Uniti, Giordania, Sudafrica e in alcuni degli Stati Uniti. Queste condizioni favorevoli non sono replicabili in tutti i mercati e pertanto sia l’eolico sia il fotovoltaico non possono generalmente ancora considerarsi pienamente competitivi con le fonti fossili (in assenza di un prezzo robusto del carbonio). Tuttavia è ragionevole asserire che esse costituiscono sempre di più opzioni valide in un portfolio di investimenti energetici ben diversificato e bilanciato.

Nonostante questi trend positivi, l’analisi dettagliata contenuto nello studio della IEA evidenzia un netto rallentamento della crescita dell’elettricità rinnovabile rispetto al passato. Di fatto, a livello globale, nel main case lo studio prevede che le capacità installate annualmente rimangano stabili nei prossimi cinque anni. Ciò non è dovuto tanto alla diminuzione dei prezzi delle fonti fossili quanto a due altri fattori principali: il persistere di incertezze nelle politiche dei Paesi OCSE e di problemi non risolti in termini di accesso al mercato, disponibilità e costi di finanziamento e integrazione in rete nei Paesi emergenti.

Ritornando alla questione iniziale sulle rinnovabili, la risposta è quindi netta: le previsioni di crescita delle rinnovabili sono sostanzialmente in linea con lo “scenario INDC”, e quindi non sono sufficienti a contribuire a condurre il sistema energetico mondiale sulla traiettoria del contenimento dell’aumento di temperatura entro i due gradi centigradi.

Politiche per la crescita

Tuttavia, il Medium-Term Renewable Energy Market Report 2015 evidenzia anche come tale rallentamento della crescita possa essere evitato tramite l’adozione di migliori politiche. L’accelerated case analizza una serie di possibili miglioramenti nelle politiche dei principali Paesi, in grado di accelerare la diffusione del mercato dell’elettricità rinnovabile del 25% rispetto al main case, ricondurre a una crescita annuale delle nuove installazioni, maggiormente in linea con gli “scenari Bridge” e “450”. Esempi di tali politiche includono:

  • un segnale chiaro riguardo alla previdibilità degli incentivi fiscali federali e all’implementazione del Clean Power Plan negli Stati Uniti
  • misure più efficaci per l’integrazione in rete degli impianti eolici e fotovoltaici in Giappone e in alcuni Paesi europei, nonché in Cina e Sudafrica
  • misure di attuazione concrete e credibili per il raggiungimento di target ambiziosi (per esempio in India)
  • misure di supporto per l’accesso ai finanziamenti, sopratutto nei Paesi in via di sviluppo
  • un chiaro segnale riguardo all’inclusione del prezzo del carbonio nei prezzi dell’energia.

L’Europa merita un discorso a parte. Nonostante rappresenti nel suo complesso il secondo mercato più importante a livello mondiale dopo la Cina, la crescita delle rinnovabili in Europa è destinata a rallentare notevolmente se non cambiano alcune condizioni, sopratutto nel settore elettrico. Vi sono ragioni comprensibili che giustificano questo rallentamento: esse includono il contesto macro-economico, la crescita limitata della domanda elettrica, il basso prezzo del carbonio, il differenziale dei prezzi del gas rispetto al carbone, nonché l’impatto della diffusione delle rinnovabili sui prezzi finali dell’elettricità, un mercato in sovracapacità e un prezzo dell’elettricità wholesale depresso. Tutte queste condizioni hanno messo in grave difficoltà le società elettriche e hanno rallentato o bloccato gli investimenti, nonché indotto cambi nelle politiche di vari Governi.

Tuttavia ora l’Europa, l’Italia compresa, si trova di fronte a una situazione paradossale. Dopo avere pagato – e continuando a pagare – una buona parte dei costi di apprendimento tecnologico delle rinnovabili per tutto il resto del mondo, ora rischia di non profittare dei benefici proprio nel momento in cui le rinnovabili diventano più convenienti. L’industria rinnovabile europea resta a livelli di eccellenza ma sarà difficile mantenerne la competitività in assenza di un mercato forte a livello europeo.

Questa prospettiva non è inevitabile e un cambiamento è possibile. Esso passa attraverso il riconoscimento di alcuni fatti essenziali:

  • una politica di decarbonizzazione coerente con gli obiettivi europei ambiziosi a lungo termine implica necessariamente una roadmap bilanciata per lo smantellamento delle centrali in eccesso più inquinanti, meno efficienti e non in linea con gli obiettivi medesimi;
  • la necessità di riformare il mercato elettrico in maniera più coerente con le tecnologie a disposizione, in particolare le rinnovabili;
  • l’urgenza di investire nelle infrastrutture, soprattutto reti elettriche e interconnessioni, e facilitare altre forme di flessibilità necessarie per integrare grandi quantità di eolico e solare fotovoltaico;
  • la necessità di riformare l’ETS e ottenere in tempi rapidi prezzi del carbonio in grado di influenzare realmente gli investimenti.

Il recente documento della Commissione Europea sull’Unione Energetica e le comunicazioni sul market design sono primi passi nella giusta direzione, ma è palese la necessità di raggiungere un accordo coerente tra i vari Paesi, anche riguardo alla governance necessaria per raggiungere gli obiettivi prefissati al 2030.

In conclusione, grazie alla riduzione dei costi, alla maturazione dell’industria e a un maggiore ricononoscimento negli ambiti finanziari, le rinnovabili rappresentano sempre di più una soluzione win-win per garantire al contempo la sicurezza energetica e la mitigazione delle emissioni climalteranti a costi accessibili. Questi trend hanno implicazioni positive sui negoziati sui cambiamenti climatici e ne stanno già cambiando l’agenda, come dimostrato dagli INCDs di vari Paesi.

Tuttavia, importanti barriere e interessi contrapposti permangono in tante parti del mondo e un successo non è scontato. Dal suo canto, un accordo sul clima a Parigi rappresenterebbe un ulteriore fattore di stabilizzazione e prevedibilità delle politiche di supporto alle rinnovabili, in grado di indurre un ciclo virtuoso in termini di minori rischi di investimento, minori costi di generazione e maggiore competitività delle stesse. La COP21 è un’occasione storica per condurre il sistema mondiale sui binari di una transizione energetica più determinata, chiara, condivisa – e quindi meno costosa. Ma il suo successo dipende dalla lungimiranza e leadership strategica dei politici. È un’occasione da non perdere assolutamente.

L’articolo di Paolo Frankl, Capo Divisione Energie Rinnovabili dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, è stato pubblicato sul n.4/2015 della rivista bimestrale QualEnergia con il titolo “Un ‘Bridge’ per il clima”.

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