COP 21, ecco di cosa si discuterà a Parigi. Il documento preliminare

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Pubblicata la bozza che fungerà da base per i colloqui preliminari che si terranno a Bonn dal 19 al 23 ottobre, verso l'appuntamento parigino di dicembre. Anche l'India ha presentato il suo impegno al 2030: un taglio della carbon intensity dell 33-35% sul 2005. Ora i dieci maggiori emettitori hanno messo tutte le loro carte sul tavolo.

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Con la COP 21 di Parigi alle porte (inizierà il 30 novembre) la macchina dei negoziati internazionali per la lotta al global warming è ormai in attività e si cominciano definire i termini della discussione. Ieri dalle Nazioni Unite è uscita la bozza che dovrà essere lavorata alla conferenza sul clima e che fungerà da base per i colloqui preliminari che si terranno a Bonn dal 19 al 23 ottobre.

Si tratta di un testo (allegato in basso) striminzito – dalle 89 pagine della versione iniziale si è arrivati a 20 – e pieno di parentesi quadre, ma è la traccia di cosa, forse, si deciderà e indica quali elementi del trattato che uscirà dalla COP 21 porteranno ad impegni legalmente vincolanti e su quali invece a Parigi verranno prese decisioni, per così dire, “in evoluzione”.

Il documento, firmato dai due copresidenti della COP 21, il diplomatico algerino Ahmed Djoghlaf e lo statunitense Dan Reifsnyder, conferma ad esempio che ogni 5 anni le nazioni aderenti al trattato dovranno presentare dei piani, in modo che gli obiettivi nazionali, noti come Intended Nationally Determined Contributions (INDC), possano essere adeguati al fine di raggiungere l’obiettivo di fermare il riscaldamento globale entro la soglia critica due 2 °C dai livelli preindustriali.

Per le decisioni in evoluzione, il documento prevede l’opzione di un incontro da tenersi nel 2018 o nel 2019, per fare il punto con un certo anticipo sui progressi prima di annunciare i successivi impegni di riduzione delle emissioni. La bozza, al solito, resta sul vago su molti aspetti.

Si cita ad esempio la questione del loss and damage, il risarcimento che dovrebbe spettare a quei Paesi che subiranno gli impatti peggiori pur non avendo contribuito che in minima parte all’effetto serra. Si parla del fondo da 100 miliardi di dollari all’anno dal 2020 che dovrà aiutare i Paesi più poveri ad affrontare la sfida, specificando che potrà essere successivamente incrementato.

Si glissa poi sulle emissioni di aviazione e trasporti marittimi: la bozza precedente parlava di ridurre le emissioni dei due settori, non soggetti a restrizioni nazionali, ma sembra che l’opposizione delle due lobby per ora abbia avuto la meglio.

Mel complesso il testo pubblicato ieri ha ben 231 parentesi quadre; sono quelle che dovranno essere riempite a Parigi. Dunque c’è molto lavoro da fare. Intanto molti Paesi, 49 per la precisione, non hanno ancora presentato i loro impegni volontari di riduzione delle emissioni, sforando così rispetto alla deadline che era prevista per lo scorso primo ottobre. Tra questi 49 ritardatari ci sono alcuni dei più grandi produttori di petrolio, come Arabia Saudita e Iran – mentre i 10 maggiori emettitori hanno tutti già inviato i loro INDC.

L’ultimo grande paese a farlo è l’India che si è impegnata a ridurre la carbon intensity (cioè le emissioni di CO2 in rapporto al PIL) del 33-35% rispetto ai livelli del 2005 entro il 2030. Un obiettivo che farebbe comunque aumentare le emissioni indiane come valore assoluto, vista la attesa crescita economica. Per lo stesso anno l’India punta ad avere da fonti non fossili il 40% della sua domanda elettrica e attiverà politiche forestali tali da assorbire 2,5-3 miliardi di tonnellate di CO2.

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