Alla ricerca della sostenibilità degli accumuli

Fra le diverse tecnologie dell'accumulo in competizione tra loro per veicoli e applicazioni stazionarie, la vincente, per ragioni tecniche o economiche, sarà anche quella più sostenibile? Vista la certa limitatezza delle risorse sarà necessario riciclare il più possibile, a cominciare dalle batterie al litio.

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Il 23 settembre Enel ha inaugurato il primo grande impianto di accumulo collegato a un impianto fotovoltaico in Italia: una batteria sodio-nichel da 1MW/2MWh, che renderà programmabile parte dell’elettricità prodotta dall’impianto Catania 1 da 10 MW. Negli stessi giorni scoppiava lo scandalo Volkswagen, che rischia di avere pesanti ricadute sul futuro del motore a scoppio e quindi favorire mezzi che incorporano batterie.

Due notizie molto diverse, ma che puntano nelle stessa direzione: un mondo in cui i sistemi di accumulo elettrici diventeranno parte integrante e fondamentale. Però, educati da decenni di promesse tecnologiche diventate incubi ambientali (basti pensare all’amianto) viene da chiedersi: ma fra le tante tecnologie di accumulo che sgomitano per farsi largo, la vincente, per ragioni tecniche o economiche, sarà anche quella più sostenibile?

Domanda a cui è difficile rispondere, sia perché le tecnologie in gioco sono molto diverse fra loro (dall’idrogeno alle batterie, dai supercondensatori all’aria compressa, dai volani ai pompaggi), sia perché la ricerca scientifica potrebbe rivoluzionare il settore da un giorno all’altro. Proviamo a girarla a Luigi De Rocchi, Responsabile Studi e Ricerca del COBAT, il più importante consorzio di riciclo delle batterie in Italia.

«Per quanto riguarda la tecnologia vincente nel mondo degli accumuli per la mobilità, dove conta il rapporto fra energia e peso, direi che sembra essere sicuramente il litio. E questo sia perché si tratta dell’elemento più adatto allo scopo, per la sua leggerezza e per ragioni elettrochimiche, ma anche perché l’industria sta puntando decisamente in quella direzione: che cambi idea nel breve-medio periodo è improbabile. Inoltre futuri miglioramenti nella tecnologia, per esempio negli elettrodi, ne aumenteranno ancora economicità e prestazioni. Infine, a proposito di sostenibilità, va notato anche che le batterie al litio consentono oggi di eliminare le batterie con elementi tossici, come il cadmio».

Nelle applicazioni stazionarie, dove non conta tanto la densità di energia, ma piuttosto il costo al kWh accumulato, il quadro è molto più vario: batterie al piombo, al sodio-nichel, al sodio-zolfo, al vanadio a flusso o idrogeno accoppiato a celle a combustibile. Per non dire poi delle tecnologie elettromeccaniche, come i pompaggi idro o l’aria compressa, che non sembrano presentare particolari problemi di sostenibilità, ma che sono però molto meno versatili e scalabili delle batterie. «Non escludo che pure per lo stazionario il litio, una volta che grandi volumi di produzione ne abbiano fatto scendere il costo, alla fine possa prevalere», ci dice De Rocchi.

Lo strapotere delle batterie al litio viene confermato da uno studio (pdf) realizzato da Christophe Pillot, della società di consulenza Avicenne Energy, che calcola come il mercato di queste batterie potrebbe passare da 60 GWh attuali a 180-200 entro il 2025, trainato soprattutto dalle auto ibride ed elettriche. Questo comporterà che l’estrazione di litio per allora triplichi rispetto alle attuali 25.000 tonnellate annue. Ma sarà un aumento sostenibile? Una risposta arriva da una recente ricerca (pdf) condotta dal tedesco Öko-Institut, presentata pochi giorni fa al “20th International Congress for Battery Recycling” di Ginevra.

Lo studio prende in considerazione sia gli accumuli per la rete, che per la mobilità in una Germania del 2050 dove l’80% dell’energia venga da rinnovabili: in totale serviranno 5 GW di stoccaggio a breve-medio termine (di cui 1,4 con batterie al litio montate su 43 milioni di veicoli elettrici o ibridi) e 17 GW a lungo termine, per un totale di circa 7,5 TWh di accumulo totale.

Lo stoccaggio a lungo termine per la rete, e in parte per la mobilità, dovrebbero essere assicurato soprattutto dall’uso di idrogeno, ma con le tecnologie attuali questo sarebbe proibitivo. Infatti, sia per l’elettrolisi che nelle fuel cell a membrana, l’uso di platino e iridio come catalizzatori è insostenibile: del primo, la Germania del 2050 avrebbe bisogno di 1,5 volte la produzione mondiale attuale, del secondo addirittura 12 volte. Solo un’alternative all’uso di questi metalli, peraltro già in corso di sviluppo nei laboratori, renderà questa opzione realistica.

Per quanto riguarda lo stoccaggio di breve termine, il rapporto immagina che questo avvenga in batterie di 8 tipi diversi (di cui 4 al litio). Di nuovo, considerando le necessità di materiali, se ognuno di queste tipologie coprisse l’intera richiesta di stoccaggio (con il litio come esclusiva per la parte mobilità), si avrebbero notevoli criticità: la Germania del 2050 avrebbe bisogno di 10 volte la produzione attuale di litio, 4 volte quella di cobalto, 1,4 volte quella di grafite e tutta quella di titanio o vanadio.

Un quadro preoccupante, che diventa un po’ meno nero, se si pensa che nella realtà si avrà sicuramente un mix di sistemi all’opera. Inoltre potranno esserci sviluppi tecnologici inaspettati, come le nuove batterie a flusso, dove la carica è contenuta in liquidi immagazzinabili a piacere, come annunciato ad Harvard; queste batterie non usano il raro vanadio, ma ferro, potassio e comuni sostanze organiche.

Incrociando i problemi legati alla richiesta di materiali, il costo per kWh accumulato e le possibilità di riciclo, il rapporto indica nelle batterie al cromo-ferro il compromesso sostenibilità/prestazioni migliore. Ma, ancora, le caratteristiche uniche di quelle al litio, fanno sì che non si riuscirà comunque a prescindere da queste.

E allora, avverte il rapporto, c’è una sola strada: riciclare il litio il più possibile, in modo che gran parte della nuova produzione di batterie usi quello estratto dalle vecchie. Se non si farà così le 28 milioni di tonnellate di risorse minerarie oggi stimate dureranno troppo poco e questo elemento rischierà di diventare un destabilizzante “nuovo petrolio”, appannaggio dei pochi paesi che ne detengono le riserve.

«Al momento, però il litio non si ricicla proprio», avverte De Rocchi. «Nelle batterie al litio l’interesse dei riciclatori – spiega il responsabile Cobat – è rivolto solo al recupero del cobalto che contengono, un metallo di alto valore; così come dagli altri tipi di batterie si recuperano quasi integralmente gli elementi di valore, come nichel e piombo. Il cobalto della batterie al litio basta a coprire le percentuali minime di riciclo previste per legge, mentre il litio stesso non interessa per il suo basso valore economico e per gli alti costi necessari alla sua raffinazione. Così come accade del resto per altri metalli di scarso interesse economico, come lo zinco e il manganese delle batterie alcaline che vengono recuperati come ossidi, ma al momento, non avendo sbocchi sul mercato, finiscono spesso in discarica. Tuttavia le cose cambieranno in futuro, perché il cobalto, tossico, col tempo sparirà dalle batterie al litio, e non si potrà più evitare di recuperare il litio, tanto più che il suo valore è destinato ad aumentare con il crescere della domanda».

Il rapporto dell’Öko-Institut conferma che le cose dovranno cambiare, e presto: entro il 2025 ci dovranno essere in Europa abbastanza centri di recupero del litio da intercettare la prima ondata di batterie esaurite delle auto elettriche.

«Per questo motivo – conclude De Rocchi – il Cobat, insieme al Cnr, ha avviato un’iniziativa di ricerca per mettere a punto un procedimento di recupero del litio che, se attuato, renda il nostro paese uno dei primi ad avere una tecnologia all’avanguardia per il trattamento di questo tipo di accumulatore, al passo con le sfide di riciclo del futuro».

Studio su problemi riciclo del litio (pdf)

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