Accumulo, il pompaggio conviene se alimentato da eolico e FV

Per utilizzare il pompaggio come moderno ed efficiente sistema d'accumulo va modificato il mercato elettrico, permettendo ad esempio di alimentare le centrali di pompaggio con eolico o fotovoltaico, che hanno un costo marginale quasi nullo. Alcune soluzioni vengono proposte da G.B. Zorzoli in un articolo sulla rivista QualEnergia.

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Nella seconda metà del secolo scorso Enel – salvo alcune eccezioni (aziende municipalizzate, autoproduzione industriale) monopolista pubblico – individuò negli impianti di pompaggio lo strumento più adeguato in appoggio al programma nucleare del Paese. Se il piano energetico nazionale, varato nel 1975 dall’allora ministro dell’industria Donat-Cattin, fosse stato effettivamente realizzato, nel 1985 l’Italia avrebbe prodotto circa 140.000 GWh per via nucleare, cioè intorno al 70% della domanda elettrica in quello stesso anno. Una situazione, quindi, analoga a quella francese (dove il nucleare è al 75%).

Ora, a prescindere da considerazioni economiche, per motivi tecnologici un impianto nucleare è molto rigido, per cui è impensabile accenderlo e spegnerlo frequentemente per seguire l’andamento della domanda. Tenuto conto dell’orografia dell’Italia, le centrali di pompaggio rappresentavano la soluzione più appropriata per mantenere in esercizio gli impianti nucleari, anche quando la domanda non lo avrebbe giustificato.

Come mette in evidenza la figura riportata di sopra (clicca per ingrandire), ancora poco più di dieci anni fa, durante le ore notturnequando la domanda è bassa, parte della potenza elettrica disponibile era infatti utilizzata per azionare le pompe di tali impianti, che trasferiscono acqua da un serbatoio idrico inferiore (di aspirazione) a uno superiore (di mandata) (vedi grafico al seguente link), da cui è di nuovo veicolata a valle, dove alimenta la turbina di una centrale idroelettrica.

Poiché l’energia consumata per il pompaggio riduce al 70% o poco più il ricupero commerciale dell’energia spesa, l’economicità o meno dell’operazione dipende dal prezzo dell’energia prodotta nelle ore di massima domanda e dal costo marginale dell’elettricità utilizzata per il pompaggio. Non a caso questi impianti furono concepiti per riempire il serbatoio di mandata con l’energia prodotta da centrali nucleari, che sono a costo marginale basso (circa 20% del costo totale di produzione). Meglio fanno solo gli impianti eolici e fotovoltaici, il cui costo marginale è pressoché nullo (vento e sole sono gratuiti).

Concettualmente gli impianti di pompaggio garantiscono quindi prestazioni analoghe agli accumuli elettrochimici, ma con prestazioni sotto il profilo quantitativo di gran lunga superiori in termini sia di potenza, sia di energia erogabile. Gli impianti di pompaggio possono pertanto svolgere: servizio di potenza, di rampa, di riserva rotante e di regolazione. Hanno quindi un loro naturale sbocco nei servizi di dispacciamento (sia a salire che a scendere).

L’oggi

Attualmente l’Italia ha 7.659 MW di impianti di pompaggio, di cui 4.017 MW di pompaggio puro. Malgrado il fallimento del programma nucleare, questi impianti, man mano che entravano in funzione, sono stati ampiamente utilizzati fino al 2002, dopo di che è incominciato il loro declino (vedi figura di seguito).

Dato che questo incomincia nel 2003, verrebbe spontaneo individuarne la causa nel contemporaneo dispiegarsi della liberalizzazione del mercato elettrico. In realtà i fattori in gioco sono più d’uno.

Innanzi tutto, fino al 2002 i cicli combinati in esercizio erano ancora relativamente pochi e funzionavano per un numero sostenuto di ore/anno, mentre il contributo delle rinnovabili non programmabili era trascurabile (vedi tabella di seguito).

In particolare, l’assenza praticamente totale di energia fotovoltaica (meno dello 0,02‰ della produzione elettrica nel 2002) faceva sì che il divario fra giorno e notte della potenza richiesta fosse molto elevato (vedi figura di seguito).

Poiché fino ai primi anni del decennio scorso l’energia richiesta dalle pompe era essenzialmente fornita da impianti a costo marginale sufficientemente ridotto (in primis quelli a carbone) e il sostanzioso divario fra domanda diurna e notturna si traduceva in un corrispondente differenziale fra prezzi dell’energia, anche in assenza di impianti nucleari, esisteva quindi la convenienza a un ampio utilizzo degli impianti di pompaggio.

La situazione è radicalmente cambiata con la realizzazione di un numero elevato di cicli combinati e il parallelo, forte sviluppo delle fonti rinnovabili. Da 3.626 MW in puro assetto elettrico in esercizio a fine 2002 siamo infatti passati a 25.220 MW a fine 2013, col risultato di abbassarne il numero medio di ore di funzionamento al 31% di quello nel 2002.

Utilizzare per il pompaggio i cicli combinati oggi scarichi, i quali hanno un costo marginale che, col gas costoso, può tranquillamente arrivare all’80%, è poco o per nulla rimunerativo. Infatti, con un 30% di energia persa nel pompaggio, questa tecnologia può difficilmente tenere basso il costo dell’elettricità successivamente prodotta.

Inoltre, per effetto della crescente incidenza del fotovoltaico proprio nelle ore diurne, nel frattempo è variato anche il profilo orario del PUN. Come mette in evidenza la figura di seguito, il differenziale di prezzo fra le diverse fasce orarie è ormai estremamente ridotto.

Tuttavia, è possibile rendere di nuovo remunerativo il pompaggio, purché si introducano modifiche all’attuale modo di funzionamento del mercato elettrico.

Soluzioni facili

Oggi sono ampiamente disponibili tecnologie impiantistiche (eolica, fotovoltaica) che generano energia elettrica a costo marginale pressoché nullo, pertanto ideali per alimentare le centrali di pompaggio. Nella situazione attuale ciò è reso impraticabile dalla modalità prevalente con cui esse accedono al mercato.

La figura in basso a sinistra mette in evidenza che la produzione eolica è in larga misura concentrata nell’Italia meridionale e insulare, mentre la produzione fotovoltaica è rilevante sia al nord, sia in alcune regioni del Mezzogiorno (figura in basso a destra).

 

Viceversa, l’apporto degli impianti di pompaggio, come indicano i dati del 2002 (l’anno di massimo contributo alla produzione nazionale) è principalmente concentrato nel settentrione del Paese, anche se in quell’anno circa il 39% del totale proveniva comunque dall’Italia meridionale e dalla Sicilia, l’apporto sardo essendo minore (vedi tabella di seguito).

Condizione necessaria perché le potenzialità dell’eolico e del fotovoltaico siano utilizzabili per alimentare gli impianti di pompaggio è l’aggregazione commerciale delle loro produzioni in ambiti territoriali omogenei, soluzione peraltro già inserita in una proposta del Coordinamento FREE per la riforma del mercato elettrico (G.B. Zorzoli, “Una riforma ineludibile”, QualEnergia, febbraio-marzo 2015).

Questo è realizzabile utilizzando un’offerta commercialmente aggregata della generazione fotovoltaica al Nord, di quella eolica e/o fotovoltaica al Sud. Infatti, quando l’apporto alla produzione elettrica di queste fonti è talmente rilevante rispetto alla domanda da rendere poco remunerativo il corrispondente prezzo zonale, può risultare conveniente utilizzarne una parte per alimentare gli impianti di pompaggio sufficientemente vicini a prezzi in grado di renderne conveniente l’utilizzo, nel contempo aumentando il PUN zonale.

Il ruolo dell’eolico potrebbe essere maggiore nelle ore notturne, quando la sua produzione è statisticamente più elevata e i prezzi zonali bassi, mentre l’opposto si verifica per il fotovoltaico, che in tal modo può evitare che nelle ore diurne centrali i prezzi si avvicinino allo zero o diventino addirittura nulli, ed è oltre tutto l’unico in grado di alimentare gli impianti di pompaggio situati nell’Italia settentrionale.

Poiché nella proposta di riforma di FREE come possibili aggregatori sono indicati consorzi fra operatori nell’ambito territoriale, grandi utility o importanti trader, potrebbe per esempio essere lo stesso Enel, che possiede gli impianti di pompaggio, a trovare conveniente la scelta di farsi promotore delle aggregazioni negli ambiti territoriali dove sono ubicati tali impianti.

Come è messo in evidenza nell’articolo citato, l’aggregazione dell’offerta rientra fra quelle previste dal Decreto Legislativo 102/2014 di recepimento della Direttiva europea sull’efficienza energetica, e dovrebbe diventare operativa a breve, in quanto entro l’anno è prevista una delibera in materia da parte dell’AEEGSI.

Inoltre, poiché con la normativa attuale Terna non può dispacciare insieme impianti allacciati in punti diversi della rete di trasmissione, rendendo impraticabile l’aggregazione degli impianti eolici connessi direttamente in alta tensione, va modificato l’odierno modus operandi, rendendolo analogo a quello per esempio in essere nel Regno Unito.

La soluzione qui proposta presenterebbe i vantaggi di:

  • richiedere poche modifiche alle regole esistenti, oltre tutto, tranne una, già previste;
  • ridare una funzione appropriata agli impianti di accumulo, che oggi sono un investimento poco sfruttato;
  • offrire nuove opportunità di business a diverse categorie di operatori;
  • ridurre le situazioni di prezzi zonali anormalmente bassi.

Insomma, la classica situazione win-win.

L’articolo di G.B. Zorzoli è stato pubblicato sul n.3/2015 della rivista bimestrale QualEnergia, con il titolo “L’acqua in salita”.

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