Nucleare, il Giappone al bivio tra ritorno al passato ed Energiewende

Nel Paese del Sol Levante si frena sulle energie rinnovabili e sta invece prevalendo l’enorme pressione delle società elettriche che vogliono a tutti i costi riavviare i propri impianti atomici. Ma sotto la pressione dell’opinione pubblica il Giappone potrebbe avviare una “Energiewende” analoga a quella tedesca, invece di essere costretto a inseguire i modelli energetici del passato.

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Occhi puntati sul Giappone che vuole fare ripartire il nucleare. Entro la fine di questa settimana infatti la centrale Sendai, costruita 31 anni fa a 50 chilometri dal vulcano attivo di Sakurajima, dovrebbe iniziare a generare energia elettrica a quattro anni dall’incidente di Fukushima che ha portato ad una progressiva chiusura di tutti i 48 reattori atomici.

Una decisione fortemente voluta dal premier Abe, nonostante un’autorizzazione che i critici intendono contestare anche legalmente e un’opinione pubblica contraria al nucleare. Per ridurre le ostilità, il governo ha accelerato i piani di rientro di una parte dei 160.000 cittadini fatti sgomberare dopo l’incidente di Fukushima. Nel marzo 2017 i primi abitanti potrebbero tornare nel distretto di Iitate ad una trentina di chilometri da Fukushima, dove è in atto un gigantesco forzo di decontaminazione. Greenpeace contesta questo piano facendo notare che si sta lavorando solo su un quarto della superficie del distretto, decontaminando le aree urbane, i campi e una fascia di 20 metri attorno alle strade, nell’impossibilità di intervenire nelle foreste che circondano i villaggi.

Per capire le evoluzioni future è interessante analizzare com’è stata gestita in questi anni l’eliminazione della quota nucleare, che copriva il 29% dei consumi elettrici. La domanda si è ridotta dell’1-9% nei vari dipartimenti (-9,4% in quello di Tokyo) grazie a interventi di efficienza energetica, sono partiti programmi ambiziosi sulle rinnovabili, si è incrementato il ricorso a carbone e gas. Il nuovo governo conservatore lo scorso anno ha però messo un freno alle rinnovabili riducendo gli incentivi ed eliminando la norma che imponeva alle utility di immettere in rete tutta l’elettricità verde generata (come avviene in Europa).

La struttura elettrica del Giappone, strettamente divisa in aree geografiche gestite in maniera monopolistica da diverse utility, rende più difficile assorbire la quota crescente di rinnovabili.  Ma invece di accelerare il passaggio ad una smart grid sta prevalendo l’enorme pressione delle società elettriche che vogliono a tutti i costi riavviare i propri impianti atomici.

Il governo ha così sbloccato la situazione e conta di arrivare a soddisfare con il nucleare il 20-22% della domanda elettrica nel 2030.  Osservatori esterni, come Bloomberg, ritengono che non si supererà il 10%, vista l’anzianità di molti reattori e gli insormontabili problemi di sicurezza di alcuni siti. Greenpeace abbassa l’asticella al 2%. Inoltre il governo ha ipotizzato un tasso annuo di crescita della domanda elettrica del 2%, irrealistico considerando che nel 2030 si avrà un calo di 10 milioni di abitanti. La Banca Mondiale, ad esempio, limita la crescita annua all’1%, ma potrebbe esserci una riduzione dei consumi in presenza di seri programmi di efficienza.

Le rinnovabili, e in particolare il fotovoltaico (24 GW in funzione e 58 GW approvati), potrebbero svolgere un ruolo molto importante nel futuro elettrico giapponese. Il governo conta di arrivare a 64 GW solari nel 2030, Bloomberg ritiene più ragionevole un obiettivo di 95 GW, 12% della produzione elettrica, ma soluzioni solari in combinazione con l’agricoltura e il calo dei prezzi degli accumuli consentirebbero di andare decisamente oltre.

Insomma, sotto la pressione dell’opinione pubblica il Giappone potrebbe avviare una rivoluzione energetica, una “Energiewende” analoga a quella tedesca, invece di essere costretto a inseguire modelli del passato. I prossimi anni ci diranno quale sarà il percorso vincente.

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