Quei pregiudizi e ostacoli mentali contro le rinnovabili

Il presidente della Commissione Industria del Senato, Massimo Mucchetti, è solito denigrare, come ha fatto anche di recente, le energie rinnovabili. Il suo approccio rappresenta un esempio del pensiero dominante che si basa su preconcetti e assiomi ritenuti ovvi, ma mai veramente messi in discussione. Le analisi di qualche anno fa di Hermann Scheer ci aiutano a capire questo atteggiamento mentale che ostacola lo sviluppo delle fonti pulite.

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“Meglio mettere le risorse per attirare gli investimenti esteri nell’industria dell’automobile piuttosto che finanziare le rinnovabili, attività irrilevanti dal punto di vista economico”. Questa recente dichiarazione è del Presidente della Commissione Industria del Senato Massimo Mucchetti, che peraltro non si riferisce all’auto elettrica o ibrida, per lui “solo uno slogan”, ma alla filiera dell’automotive, settore, a suo dire, “moltiplicatore di occupazione e di valore aggiunto e tecnologico” in cui lo Stato dovrebbe investire soldi pubblici.

Ci sarebbe molto da dire in proposito: sugli aiuti di Stato, sulla sua visione arretrata dell’oggetto automobile, sulla necessaria spinta a un comparto che è ovunque in declino,  sul disinteresse alla questione dell’inquinamento legata ai veicoli privati (responsabili ad esempio del 25% dei gas serra in Italia).

Ma quello che è interessante notare nelle cicliche dichiarazioni pubbliche di Mucchetti è la sua ostilità, ‘senza se e senza ma’, per le fonti rinnovabili. Qui ci interessa più che altro quello che Mucchetti rappresenta: il classico esempio di pensiero dominante che si basa su preconcetti e assiomi ritenuti ovvi, ma mai messi in discussione perché basati su premesse tecniche ed economiche consolidate e ormai istituzionalizzate e anche costantemente introiettate nell’opinione pubblica grazie ai mass media, di cui conosciamo la proprietà.

Per comprendere queste dubbie premesse che sono alla base della conservazione del sistema energetico convenzionale ci viene in aiuto Hermann Scheer, padre delle politiche di sviluppo delle rinnovabili e della feed in tariff, la cui analisi sociologica del conflitto tra poteri energetici tradizionali e sistema basato sulle rinnovabili resta ancora oggi validissima e per certi versi insuperata.

Secondo Scheer basarsi su confutabili premesse tecnico-scientifiche sulle rinnovabili, anche solo una di esse, non consente di comprendere il potenziale di trasformazione tecnologica e socio-economico legato allo sviluppo delle energia pulite, condizionando dunque ogni rapida mobilitazione verso la transizione energetica.

A proposito di luoghi comuni, ad esempio, quante volte abbiamo sentito dire “le rinnovabili non bastano per sostituire le fonti fossili e nucleari”. Vorrebbe dire che il nostro futuro dovrà basarsi inevitabilmente su fonti pericolose ed esauribili? L’analisi sul potenziale delle fonti rinnovabili ci dice invece esattamente il contrario.

Altra convinzione (o scusa): “sì va bene, le potenzialità ci sarebbero, ma per sostituire le fonti convenzionali con quelle rinnovabili ci vorrà tanto tempo”. Aspettiamo la loro maturità, ci dicono, e intanto non si può prescindere dall’investire nel settore energetico tradizionale, ovviamente basato su grandi centrali che, altro assioma ritenuto ovvio, sono ancora l’unica soluzione per soddisfare il fabbisogno di una società industriale e urbanizzata. Ecco l’approccio ideale per ritardare l’introduzione delle rinnovabili e considerare trascurabili gli impianti decentralizzati che, sappiamo, più rapidamente introducibili e diversificati e che si avvarranno nei prossimi anni di diversi sistemi di stoccaggio.

In fondo, ci dice il pensiero dominante, l’efficienza energetica è la prima fonte rinnovabile: “basta migliorare l’efficienza degli impianti energetici convenzionali e si darebbe già un notevole beneficio all’ambiente”. Ognuno può capire le implicazioni di questo approccio dicotomico: efficienza contro rinnovabili. Invece di considerarle le due gambe del cambiamento che devono muoversi insieme.

Scheer ci spiega poi che le infrastrutture di approvvigionamento dei due modelli energetici non sono spesso compatibili, ma i fautori dello status quo ritengono che esse siano neutrali rispetto a tutte le fonti energetiche. Ciò comporta una sudditanza della generazione distribuita e pulita al modello di produzione energetica convenzionale. Questa è un’altra condizione che ci vorrebbe dire che la transizione energetica sarebbe possibile solo attraverso un accordo con il sistema tradizionale, l’unica garanzia per soddisfare il fabbisogno di energia dell’umanità. Un’alleanza mortale, invece.

E ancora: le rinnovabili sono costose e un loro massiccio sviluppo andrebbe ad intaccare gli investimenti e i capitali dell’industria energetica fossile e nucleare. In questa visione, che è accettata perfino da una parte del mondo ambientalista, si può delineare la profonda connessione che esiste tra la politica energetica e gli interessi consolidati dell’industria dell’energia tradizionale: “gli interessi delle economie nazionali sono sempre equiparati a quelli dell’industria energetica nazionale”, spiega Hermann Scheer.

A questi luoghi comuni, che andrebbero sempre opportunamente criticati e svelati (ma a cui ci siamo abituati passivamente), si aggiungono i classici: “le rinnovabili dipendono solo dalle sovvenzioni” (come se fonti fossili e nucleari non dipendessero da sussidi in quantità maggiori e da più molto più tempo) oppure “le rinnovabili devono ancora diventare competitive sul mercato dell’energia” (come se socializzare i costi delle fonti fossili e nucleari sia un modo di rispettare i dogmi del libero mercato). Una visione economicista e razionale a proprio uso e consumo, che va adottata, ma solo quando conviene. E infine, “le rinnovabili hanno i loro impatti ambientali non trascurabili” (come se non vi siano differenze sostanziali tra distruzione effettive ed emissioni inquinanti e interventi relativamente marginali sull’ambiente, oppure tra impatto irreversibile e reversibile).

Siamo certi che molti dei nostri lettori saprebbero scardinare molto bene questi pregiudizi, uno ad uno, e spostare il dibattitto sull’energia in un quadro d’insieme, più ampio e meno ristretto mentalmente, che alla fine farebbe arrivare a considerare il cambiamento come inevitabile. Il sistema energetico convenzionale però proverà a preservare la sua esistenza avvalendosi dei Mucchetti di turno, ma alla fine saranno le miriadi di decisioni autonome di investimento nelle fonti rinnovabili che renderanno il potere energetico attuale sempre più debole e obsoleto. E senza più scuse.

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