Come accelerare la decarbonizzazione dell’economia italiana

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Con il calo dei prezzi del petrolio lo shale oil va incontro a un periodo difficile, mentre torna in auge l'idea di una carbon tax che potrebbe agevolare la decarbonizzazione dell'economia. Quali altre misure per accelerare questo processo in Italia? Alcune proposte di FREE in un articolo di Gianni Silvestrini.

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L’accordo con l’Iran, che dovrebbe essere siglato entro giugno (repubblicani permettendo), comporterà un aumento progressivo delle esportazioni di petrolio lasciando presagire un contesto internazionale di prezzi bassi attorno ai 40-60 $/barile sia nel 2016 che nel 2017.

Questo scenario avrà riflessi non indifferenti sulla produzione di shale oil, la cui rapida crescita è stata, insieme alla decisione saudita di mantenere i propri livelli produttivi, la causa del crollo delle quotazioni mondiali del greggio. Finora, l’estrazione statunitense di greggio, pur rallentando, era ancora in crescita. Stringendo i denti, i piccoli operatori hanno ridotto i costi e limitato le nuove trivellazioni, concentrandosi nello sfruttare al massimo i pozzi attivi (con il re-fracking) per riuscire a pagare i debiti. Una situazione che però non è destinata a durare a lungo, come dimostrano i primi licenziamenti. Ma la produzione petrolifera americana inizierà ora a calare.

Rimane sullo sfondo il rischio di una bolla destinata a scoppiare, alimentando fallimenti a catena. A meno che intervengano le majors ad acquistare a prezzi stracciati terreni, pozzi e diritti di esplorazione. E qui si innesta un altro rischio molto più di fondo, un brontolio lontano: parliamo della possibilità per le multinazionali e le aziende di Stato di ritrovarsi con ampie riserve in portafoglio potenzialmente svalutate in presenza di un serio accordo sul clima. Ad alimentare le preoccupazioni si aggiunge l’estensione in Europa del movimento “Divest Fossil”.

Una decisa spinta è venuta dalla decisione di Alan Rusbridger, direttore del Guardian, di spendere il prestigio del suo giornale in una campagna sul clima con una mobilitazione volta a convincere istituzioni e fondi a disinvestire dai combustibili fossili. Il buon esempio è venuto dall’interno, con la decisione di ripulire il portafoglio di 800 milioni di sterline gestito dal Guardian Media Group. Quale differenza con i nostri media, dove capita ancora di leggere articoli “negazionisti”, in un contesto di generale sottovalutazione delle trasformazioni in atto e dei rischi che ci aspettano.

E veniamo a un’arma che il contesto di bassi prezzi di petrolio ha riportato in auge, una carbon tax fiscalmente neutra (o utilizzata in parte per agevolare la decarbonizzazione dell’economia) che accelererebbe gli investimenti in efficienza e nelle rinnovabili.

Hanno sollecitato decisioni in questo senso istituzioni insospettabili come la IEA e la Banca Mondiale, ma le resistenze politiche sono e saranno fortissime.

Alla fine di marzo, per esempio, il Congresso Usa ha bocciato, seppure di misura, una proposta che avrebbe aperto le porte a questo tipo di fiscalità e un analogo stop è arrivato da un referendum in Svizzera. Ma la situazione potrebbe cambiare in presenza di un chiaro accordo sul cima a Parigi, che consentirebbe di rilanciare con più efficacia la carbon tax in un contesto sovranazionale.

Proposte per il Green Act

In un Paese debole e fiaccato è difficile identificare priorità, tante sono le problematicità da affrontare. È allora utile analizzare i possibili interventi alla luce di alcuni chiari parametri.

Andrebbero individuate misure in grado di ridurre le emissioni climalteranti, aumentare la sicurezza energetica e che contemporaneamente offrano interessanti opportunità occupazionali.

Accenniamo qui a tre proposte del Coordinamento Free, che vengono presentate in maniera più approfondita in un articolo della rivista, che rispondono in maniera efficace a questi criteri e che garantiscono benefici multipli, trasversali a diversi settori, coerenti con un’impostazione olistica alla soluzione dei problemi.

1) Riqualificazione edilizia “spinta” 

La prima idea, già trattata nell’editoriale del numero scorso, riguarda il graduale passaggio dalla ristrutturazione di singoli appartamenti alla riqualificazione energetica, e sismica dove necessario, di interi edifici e quartieri.

Lo sforzo richiesto non è da poco, visto che si tratta di arrivare entro il 2025-2030 a decuplicare la quota di energia risparmiata annualmente. Finanza innovativa e riorganizzazione dell’industria del settore sono elementi chiave per l’avvio di un processo che può garantire significativi risultati, grazie alla messa a punto di tecnologie e materiali coerenti con le alte prestazioni richieste, innescando un deciso rilancio occupazionale.

Vanno studiate soluzioni finanziarie che consentano, al limite, di avviare i lavori senza anticipare propri capitali. La revisione del Conto termico che diventerà a breve operativa apre uno spazio molto interessante, garantendo un contributo del 65% nel caso di riqualificazioni in grado di rendere gli immobili pubblici “a energia quasi zero”. Questo incentivo facilita la predisposizione di un mix di finanziamenti pubblici e privati in grado di avviare riqualificazioni energetiche “spinte” senza intaccare le scarse risorse degli Enti locali.

L’accompagnamento di un processo di certificazione energetica ambientale validata da terzi può garantire la qualità del processo di risanamento e il raggiungimento dei risultati finali.

Sul resto del parco edilizio le risorse necessarie sono decisamente più elevate (per gli edifici pubblici il Conto termico mette a disposizione 200 milioni €). È stato proposto l’uso dei Titoli di Efficienza Energetica, estendendo la loro applicazione alla riqualificazione di interi edifici, un intervento che potrebbe essere da subito inserito nelle Linee guida in via di definizione. Posto che queste verranno pubblicate entro l’estate, si tratterebbe di uno strumento rapidamente operativo, utile per aprire il terreno, ma che non ha la possibilità di garantire adeguate risorse per la rapida crescita degli interventi.

Per arrivare a decuplicare i risparmi di energia andranno dunque predisposte nuove misure. Una proposta riguarda l’apertura di un apposito fondo da parte della Cassa Depositi e Prestiti in grado di erogare finanziamenti del 65% per interventi spinti di riqualificazione; lo Stato riconoscerebbe al Fondo un credito di imposta decennale di misura analoga alle attuali detrazioni fiscali. Una soluzione in grado di superare molte delle difficoltà che si incontrano nel caso dei condomini. Il restante 35% potrebbe essere anticipato dalle banche che verrebbero garantite dalle riduzioni dei consumi o attraverso le bollette, come nel Green Deal inglese, o attraverso l’Imu, come nello schema statunitense dei Pace. Anche nel settore privato sarebbe possibile quindi anticipare l’intero ammontare degli investimenti necessari, avviando un processo di riqualificazione su larga scala in grado di sfruttare il nostro giacimento di “shale gas” rappresentato dall’energia dispersa da un parco edilizio inefficiente.

2) Mobilità elettrica

E veniamo a una seconda proposta, quella di avviare una seria politica di promozione della mobilità elettrica, un settore nel quale il nostro Paese arranca in modo imbarazzante agli ultimi posti.

Non ci ha mai creduto la Fiat e di conseguenza non ci hanno puntato i vari Governi. Ma perché oggi è importante porsi seriamente questo obiettivo? La risposta sta in una congiuntura particolarmente favorevole. Le case automobilistiche, per soddisfare gli obiettivi climatici della UE, dovranno, nei prossimi anni, immettere sul mercato una quota crescente di veicoli elettrici. Parallelamente il calo dei prezzi delle batterie renderà questa forma di mobilità sempre più interessante. Tesla sta realizzando una “gigafactory” nel Nevada con una capacità produttiva uguale a quella esistente oggi nel mondo. La cinese BYD ha risposto con una proposta produttiva analoga per dimensioni. Samsung, Foxconn, la stessa Apple e molte altre società stanno coltivando progetti ambiziosi.

Possiamo dunque dire di essere alla vigilia del decollo della mobilità elettrica. Del resto, basta analizzare i dati dello scorso anno, con un boom di immatricolazioni che ha portato a un incremento del 43% dell’intero parco elettrico circolante. E la crescita è destinata a proseguire.

In Norvegia le vendite di marzo hanno raggiunto un quarto delle immatricolazioni totali. Siamo insomma in presenza dell’ingresso di una delle “disruptive technologies” descritte nel libro “2 °C”. La diffusione della mobilità elettrica consentirà di combattere l’inquinamento urbano, ancora elevato in molti centri, e di ridurre le emissioni di CO2.

D’altra parte, un forte contributo alla battaglia climatica verrà dalle rinnovabili. E la presenza di una rete di centinaia di migliaia di veicoli elettrici e di punti di ricarica “intelligenti” rappresenterà un anello fondamentale per stabilizzare la rete e garantire la diffusione del solare e dell’eolico. Ancora una volta i vari elementi del puzzle si inseriscono in una visione olistica che definiranno la mobilità e l’energia del futuro.

Per finire, in un gioco di alleanze internazionali, il nostro Paese potrebbe ricavarsi uno spazio industriale in questa rivoluzione

3) Recupero dei boschi

Dopo la riqualificazione del patrimonio esistente e l’aggancio alle nuove forme di mobilità, parliamo di un’altra opportunità interessante, la preziosa risorsa interna rappresentata dai nostri boschi, al momento in larga parte trascurata.

La contraddizione in questo settore è palese: a fronte di un raddoppio della superficie boschiva dal dopoguerra, spesso per l’abbandono di terreni coltivati, la produzione della legna si è dimezzata. In Italia si utilizza solo un quarto dell’incremento annuo della biomassa, molto meno di quanto avviene in altri Paesi europei.

Una situazione priva di senso se si pensa che il contributo della biomassa solida al fabbisogno energetico del Paese – 7,5 Mtep – risulta di poco inferiore a quello delle rinnovabili elettriche, la cui produzione “normalizzata” nel 2013 è stata di 8,9 Mtep.

L’anomalia è tanto più evidente se si pensa che una quota crescente di biomassa viene importata. Anche in questo caso, dunque, possiamo parlare di un giacimento di “shale gas” inutilizzato. La cura dei boschi avrebbe altri benefici collaterali. Consentirebbe di tenere sotto controllo il dissesto idrogeologico e gli incendi. Tenendo poi conto delle possibili applicazioni nella biochimica, da anteporre concettualmente come priorità alla stessa combustione.

Cos’hanno in comune queste tre proposte? Tutte possono contribuire a ridurre la nostra dipendenza dalle importazioni energetiche e a decarbonizzare l’economia.

Nel primo caso si riduce il consumo di gas grazie all’efficienza, nel secondo spostando la domanda dai carburanti a un’elettricità sempre più verde, nel terzo sostituendo direttamente il gas con le biomasse. Tutte lasciano intravedere l’apertura di spazi occupazionali molto concreti e interessanti. Ma implicano un cambiamento di modelli consolidati di business e di gestione, che si parli di riqualificare in maniera industrializzata gli edifici, di creare le infrastrutture per un diverso tipo di mobilità, di passare a un cura intelligente dei boschi come avviene in altri Paesi europei. E ovviamente tutto ciò può avvenire solo in presenza di scelte politiche convinte e lungimiranti. Da qui il loro inserimento nel “Green Act”. Qualcuno ascolterà?

L’articolo di Gianni Silvestrini, Direttore Scientifico di QualEnergia e di QualEnergia.it è stato pubblicato sul n.2/2015 della rivista bimestrale QualEnergia con il titolo ‘Clima sfavorevole per le fossili’.

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