Crisi del termoelettrico, il rischio che la paghino le rinnovabili

Prezzi negativi, capacity market e addirittura un mercato “ghetto” dove rinchiudere le energie rinnovabili. Mentre i sindacati sono giustamente preoccupati per l'occupazione nelle centrali a fonti fossili, si pensa a come cambiare le regole per alleviare la crisi del termoelettrico. Ma alcune soluzioni sono molto pericolose per l'energia pulita.

ADV
image_pdfimage_print

Il termoelettrico italiano, cicli combinati a gas in primis, è in una crisi probabilmente senza soluzione e i sindacati, preoccupati per i posti di lavoro, fanno pressing sul Governo. Intanto sullo sfondo si affacciano misure e proposte per affrontare il problema che, se da una parte difficilmente riuscirebbero a garantire la sopravvivenza delle grandi centrali, avrebbero comunque come effetto collaterale quello di stroncare le rinnovabili.

Ieri Filctem-Cgil, Flaei-Cisl e Uiltec-Uil hanno annunciato lo stato di agitazione e un presidio davanti alla Presidenza del Consiglio dei Ministri il 19 giugno  per “sensibilizzare il Governo sulla gravità della situazione” di un settore “drammaticamente a rischio”, tra “chiusure di centrali già annunciate, ridimensionamenti di produzione e pesanti ricadute sul piano occupazionale sia diretto che nell’indotto”. Il comunicato sindacale riporta i dati di uno studio RSE presentato lo scorso 18 dicembre al tavolo del ministero, nel quale si evidenzia un’overcapacity di “oltre 50 GW”.

Che il termoelettrico – travolto da una tempesta perfetta fatta di overcapacity, calo della domanda e crescita delle rinnovabili – sia in una crisi probabilmente irreversibile è ben noto ai lettori di QualEnergia.it: nell’ultimo anno il Ministero dello Sviluppo Economico ha autorizzato chiusure per circa 3,7 GW di potenza, l’anno precedente erano andati in pensione 2,1 GW di impianti a fonti convenzionali, mentre è in corso l’istruttoria per chiudere altri 4,1 GW. Analisti come l’economista Alessandro Marangoni prevedono che l’overcapacity nei prossimi 2-3 anni faccia chiudere centrali per altri circa 20 GW.

A soffrire di più sono i cicli combinati a gas, gli impianti con i costi di produzione più alti, che risentono molto anche della concorrenza, sul Mercato del Giorno Prima, dell’offerta a costo marginale pressoché nullo di eolico e fotovoltaico.

Questi impianti, progettati e finanziati con business plan che prevedevano 4-5000 ore l’anno, stanno lavorando in media sulle 1.500 ore. A rischio oltre ai posti di lavoro ci sono i capitali delle banche che vi hanno (incautamente) investito: tanto che si dice che alcuni istituti stiano facendo pressione perché certe centrali a ciclo combinato, ancora relativamente nuove, vengano ‘smontate’ e rimontate all’estero, in mercati elettrici che garantirebbero ritorni maggiori.

Quello che servirebbe per dare un po’ di ossigeno a questi impianti, spiegano gli analisti di Energy Advisors, “è il taglio di un 10.000 MW di cicli combinati, senza il quale l’overcapacity non si riduce in misura tale da riflettersi sullo spark spread (cioè il margine tra costi di produzione e prezzo di vendita dell’energia, ndr)”.

Come risolvere la situazione? I sindacati puntano ad evitare il più possibile le chiusure: per loro “sarebbe opportuna una sospensione temporanea del mercato“, oltre a “una ‘cabina di regia’ che ponga al centro strumenti di solidarietà, di reimpiego all’interno del settore energetico, di nuova formazione professionale”. Si chiede al Governo di “riprendere il confronto e di adottare le misure necessarie alla salvaguardia di un asset strategico come quello elettrico, oltre ad una garanzia sociale per gli addetti”.

Sulla definizione di “asset strategico” non tutti sono però d’accordo: “Non si può difendere a priori ogni impianto”, commenta GB Zorzoli, presidente onorario del Coordinamento FREE per le rinnovabili e l’efficienza energetica. “I sindacati – continua – ad esempio vorrebbero che rimanesse aperta anche l’inquinante e inefficiente centrale a olio combustibile di San Filippo del Mela. O le centrali a carbone, come quella di Vado Ligure. Vanno chiuse. Anche una fetta di cicli combinati dovrà fermarsi perché sono troppi, mentre i rimanenti, come succede in Germania, devono essere flessibilizzati per fare da back-up alla generazione da rinnovabili. Ci sono delle alternative che permettono di conservare l’occupazione, si tratta di ragionare su queste.”.

Intanto però per salvare le centrali termoelettriche sono in arrivo riforme e si sentono proposte  che potrebbero anche costare care alle fonti rinnovabili.

Il capacity market, che remunera tramite aste la potenza messa a disposizione, nasce proprio come soccorso ai cicli combinati a gas. Nel mondo delle rinnovabili il timore è che, per non gravare di altri oneri la bolletta, a pagare questo aiuto ai fossili possano essere le FER. Ma il capacity market – fanno notare altri –  potrebbe avere anche altri effetti nefasti per eolico e solare: toglierà infatti spazio alla contrattazione a lungo termine, vista da molti come essenziale per il futuro delle rinnovabili, e ritarderà l’applicazione commerciale degli accumuli.

Il capacity market doveva iniziare nel 2017, ma l’Autorità per l’Energia ha anticipato la prima asta al 2015. Enel – che praticamente non ha cicli combinati a gas nel suo parco elettrico italiano – è relativamente critica nei confronti della misura. Assoelettrica ha una posizione più sfumata, mentre l’altra associazione di grandi produttori, Energia Concorrente, è tra chi lo caldeggia di più. La Commissione europea è da sempre sospettosa verso questo meccanismo e considera la presenza del floor price – il prezzo minimo nelle aste – una forma di indebito aiuto di Stato, mentre sembrano esserci perplessità anche da parte di uomini del MiSE sia sul floor price che sull’assenza della domanda fra i soggetti che possono partecipare alle aste.

Altro strumento di “riequilibrio del mercato” che danneggerebbe le rinnovabili è la prevista introduzione dei prezzi negativi nella Borsa elettrica. Dal 2016 infatti diventerà esecutiva un’indicazione della Commissione europea secondo la quale nei momenti di prezzo negativo le fonti che offrano a quei prezzi inferiori a zero – leggasi fotovoltaico ed eolico – non hanno diritto a incentivi per quell’energia.

Ma il cambiamento forse più pericoloso per le rinnovabili, al momento, è solo una proposta, quella del “ghetto” per le rinnovabili cui accennavamo nel sosttotitolo. L’associazione “Nuova Economia Nuova Società“, fondata da Pier Luigi Bersani e Vincenzo Visco, infatti suggerisce di creare un mercato separato per le FER non programmabili. L’esito del MGP sarebbe quindi definito attraverso due “marginal price” di cui quello delle FER risulterebbe di norma inferiore. In questo modo si avrebbe un maggior valore della produzione programmabile – quella da termoelettrico – ma è chiaro che le rinnovabili sarebbero gravemente danneggiate, costrette a combattere tra di loro per portarsi a casa un prezzo molto più basso. Questa proposta ha il supporto esplicito di Energia Concorrente e trova consensi in Assoelettrica e di conseguenza anche in Confindustria. Fra i suoi sostenitori sembra esserci anche il presidente della X Commissione del Senato, ma l’idea sembrerebbe non essere gradita a Enel.

Insomma, i cantieri per cambiare il mercato elettrico sono aperti. E le associazioni delle rinnovabili sembrano aver capito che, se restano con le mani in mano o si limitano all’opposizione, i cambiamenti che si faranno danneggeranno pesantemente le fonti pulite. Per questo stanno preparando una piattaforma di proposte, che ha come perno un rilancio della contrattazione a lungo termine e la piena partecipazione delle rinnovabili al mercato, alla quale questi impianti possono arrivare agendo in forma aggregata. Ma di questo parleremo in un prossimo articolo.

ADV
×